Tutto è olografico: l'intero Universo è un ologramma e il Cervello umano è un sintonizzatore olonomico
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Ci deve essere un importante motivo per cui l'olografia quantica (QH) si è creata nell'universo e nel cervello umano, e questo motivo riguarda la quantità elevata di informazione che riesce a immagazzinare e trasmettere. A questo riguardo l'astronauta Edgar Mitchell, in "Risacralizzare il cosmo" scrive (p.148): "Per oltre un secolo, tutti i tipi di eventi psichici sono stati negati dagli scienziati poiché non riuscivano a trovare una spiegazione scientifica. Ma improvvisamente, grazie all'olografia quantica, si è scoperto un meccanismo delle informazioni che non soltanto sembra spiegare questo ben noto fenomeno di gruppo, ma che apre una nuova porta a una linea di ricerca che offre la possibilità di rivoluzionare la teoria quantica dimostrando che le informazioni giocano un ruolo fondamentale nel modo in cui è organizzata la Natura su grande scala, nonché come meccanismo evolutivo. Per esempio, è normale definire l'intuizione come "sesto senso", sottolineando implicitamente che si tratta di un senso reale, ma il suo funzionamento è più periferico di quello degli altri cinque sensi. Ora però sembra chiaro che, tramite lo scambio di informazioni olografiche col campo circostante che Laszlo definisce Campo A, un organismo "impara" ad adattarsi all'ambiente. Nell'evoluzione planetaria, le informazioni olografiche quantiche sono più antiche e più fondamentali dei cinque sensi cui siamo abituati nelle specie biologiche evolute. Perciò l'intuizione e l'istinto dovrebbero essere più correttamente etichettati come "primo senso", essendo essi attributi più primitivi della nostra natura evolutiva rispetto agli altri nostri sensi."
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COSCIENZA E FRATTALI: Il nostro cervello è composto da cellule chiamate neuroni e si ritiene che la loro attività combinata generi la coscienza. Ogni neurone contiene microtubuli, che trasportano sostanze a diverse parti della cellula. La teoria di Penrose-Hameroff della coscienza quantistica sostiene che i microtubuli sono strutturati in uno schema frattale che consentirebbe il verificarsi di processi quantistici. I frattali sono strutture che non sono né bidimensionali né tridimensionali, ma sono invece valori frazionari intermedi. In matematica, i frattali emergono come bellissimi schemi che si ripetono all’infinito, generando ciò che è apparentemente impossibile: una struttura che ha un’area finita, ma un perimetro infinito. Questo potrebbe sembrare impossibile da visualizzare, ma in realtà i frattali si verificano frequentemente in natura. Se osservi attentamente le cime di un cavolfiore o i rami di una felce, vedrai che sono entrambi costituiti dalla stessa forma di base che si ripete più e più volte, ma a scale sempre più piccole. Questa è una caratteristica chiave dei frattali. Lo stesso accade se guardi all’interno del tuo stesso corpo: la struttura dei tuoi polmoni, ad esempio, è frattale, così come lo sono i vasi sanguigni nel tuo sistema circolatorio. I frattali sono presenti anche nelle incantevoli opere d’arte ripetute di MC Escher e Jackson Pollock, e sono stati usati per decenni nella tecnologia, come nella progettazione di antenne. Questi sono tutti esempi di frattali classici ovvero frattali che rispettano le leggi della fisica classica piuttosto che della fisica quantistica. È facile capire perché i frattali sono stati usati per spiegare la complessità della coscienza umana. Poiché sono infinitamente intricati, consentendo alla complessità di emergere da semplici schemi ripetuti, potrebbero essere le strutture che supportano le misteriose profondità delle nostre menti. Ma se questo è il caso, potrebbe accadere solo a livello quantistico, con minuscole particelle che si muovono secondo schemi frattali all’interno dei neuroni del cervello. Ecco perché la proposta di Penrose e Hameroff è chiamata teoria della “coscienza quantistica”. C’è un collegamento rigoroso e poetico tra la spirale aurea con la struttura del DNA e con la disposizione delle energie negli spazi “sacri”. Ogni luogo in cui si verifica una perfetta compressione frattale è un punto in cui le linee di forza si armonizzano: è il luogo dove un seme germoglia meglio, dove il corpo guarisce prima, dove l’intuizione si amplifica. Questa scoperta, oggi supportata da modelli di biofisica avanzata, ridefinisce l’architettura, la medicina ambientale e l’ecologia spirituale. Un tempio non è sacro per tradizione, ma perché crea le condizioni geometriche per l’emergere del sacro.
Frattali nel corpo umano
Uno dei passaggi più rivoluzionari riguarda il cuore. La medicina moderna ha scoperto che un cuore sano è un cuore frattale. La sua variabilità di ritmo, se analizzata correttamente, rivela un pattern armonico: più è frattale, più siamo resilienti, vitali e immunologicamente forti. È qui che entra in gioco la “coerenza cardiaca”, uno stato in cui cuore, cervello e respiro si sincronizzano. Quando entriamo in coerenza, il nostro campo elettromagnetico si espande, influenziamo positivamente l’ambiente e miglioriamo la nostra capacità di provare compassione, attenzione, presenza. In termini elettrofisiologici, la compassione diventa una funzione d’onda.
Come sperimentare la coscienza quantistica
Una delle questioni aperte più importanti nella scienza è come si stabilisce la nostra coscienza. Negli anni ’90, molto prima di vincere il Premio Nobel per la Fisica 2020 per la sua previsione dei buchi neri, il fisico Roger Penrose ha collaborato con l’anestesista Stuart Hameroff per proporre una risposta ambiziosa. Essi hanno affermato che il sistema neuronale del cervello forma una rete intricata e che la coscienza che questo produce dovrebbe obbedire alle regole della meccanica quantistica, la teoria che determina come si muovono le minuscole particelle come gli elettroni. Questo, sostengono, potrebbe spiegare la misteriosa complessità della coscienza umana. Penrose e Hameroff furono accolti con incredulità. Le leggi della meccanica quantistica di solito si applicano solo a temperature molto basse. I computer quantistici, ad esempio, attualmente operano a circa -272°C. A temperature più elevate subentra la meccanica classica. Dal momento che il nostro corpo lavora a temperatura ambiente, ti aspetteresti che sia governato dalle classiche leggi della fisica.
Per questo motivo, la teoria della coscienza quantistica è stata completamente respinta da molti scienziati, sebbene altri ne siano convinti sostenitori. Il nostro cervello è composto da cellule chiamate neuroni e si ritiene che la loro attività combinata generi la coscienza. Ogni neurone contiene “microtubuli”, che trasportano sostanze a diverse parti della cellula. La teoria di Penrose-Hameroff della coscienza quantistica sostiene che i microtubuli sono strutturati in uno schema frattale che consentirebbe il verificarsi di processi quantistici.I frattali sono strutture che non sono né bidimensionali né tridimensionali, ma sono invece valori frazionari intermedi. In matematica, i frattali emergono come bellissimi schemi che si ripetono all’infinito, generando ciò che è apparentemente impossibile: una struttura che ha un’area finita, ma un perimetro infinito.Questo potrebbe sembrare impossibile da visualizzare, ma in realtà i frattali si verificano frequentemente in natura. Se osservi attentamente le cime di un cavolfiore o i rami di una felce, vedrai che sono entrambi costituiti dalla stessa forma di base che si ripete più e più volte, ma a scale sempre più piccole. Questa è una caratteristica chiave dei frattali.Lo stesso accade se guardi all’interno del tuo stesso corpo: la struttura dei tuoi polmoni, ad esempio, è frattale, così come lo sono i vasi sanguigni nel tuo sistema circolatorio. I frattali sono presenti anche nelle incantevoli opere d’arte ripetute di MC Escher e Jackson Pollock, e sono stati usati per decenni nella tecnologia, come nella progettazione di antenne. Questi sono tutti esempi di frattali classici ovvero frattali che rispettano le leggi della fisica classica piuttosto che della fisica quantistica.È facile capire perché i frattali sono stati usati per spiegare la complessità della coscienza umana. Poiché sono infinitamente intricati, consentendo alla complessità di emergere da semplici schemi ripetuti, potrebbero essere le strutture che supportano le misteriose profondità delle nostre menti.Ma se questo è il caso, potrebbe accadere solo a livello quantistico, con minuscole particelle che si muovono secondo schemi frattali all’interno dei neuroni del cervello. Ecco perché la proposta di Penrose e Hameroff è chiamata teoria della “coscienza quantistica”.Non siamo ancora in grado di misurare il comportamento dei frattali quantistici nel cervello, ammesso che esistano. Ma con la tecnologia avanzata ora possiamo misurare i frattali quantistici in laboratorio.In una recente ricerca che ha coinvolto un microscopio a effetto tunnel (STM), sono stati disposti con cura gli elettroni in uno schema frattale, creando un frattale quantistico. Quando poi è stata misurata la funzione d’onda degli elettroni, che descrive il loro stato quantico, è stato scoperto che anche loro vivevano alla dimensione frattale dettata dal modello fisico che era stato creato. In questo caso, lo schema usato sulla scala quantistica era il triangolo di Sierpiński, che è una forma a metà tra unidimensionale e bidimensionale.Questa è stata una scoperta entusiasmante, ma le tecniche STM non possono sondare il modo in cui si muovono le particelle quantistiche, il che ci direbbe di più su come potrebbero verificarsi i processi quantistici nel cervello. Quindi, nell’ultima ricerca effettuata dalla Shanghai Jiaotong University, è stato fatto un ulteriore passo avanti. Utilizzando esperimenti di fotonica all’avanguardia, i ricercatori sono stati in grado di rivelare il movimento quantistico che avviene all’interno dei frattali con dettagli senza precedenti.Nell’esperimento che ha permesso di raggiungere questo obiettivo, sono stati iniettati fotoni (particelle di luce), in un chip artificiale che è stato accuratamente progettato in un minuscolo triangolo di Sierpiński. Iniettando fotoni sulla punta del triangolo si è osservato come si diffondano nella sua struttura frattale in un processo chiamato “trasporto quantistico”. È stato poi ripetuto questo esperimento su due diverse strutture frattali, entrambe a forma di quadrato anziché di triangolo. E in ognuna di queste strutture sono stati condotti centinaia di esperimenti.Le osservazioni fatte da questi esperimenti rivelano che i frattali quantistici in realtà si comportano in modo diverso da quelli classici. Nello specifico, è stato scoperto che la diffusione della luce attraverso un frattale è governata da leggi diverse nel caso quantistico rispetto al caso classico.Questa nuova conoscenza dei frattali quantistici potrebbe fornire le basi per gli scienziati per testare sperimentalmente la teoria della coscienza quantistica. Se un giorno le misurazioni quantistiche verranno prese dal cervello umano, potranno essere confrontate con i risultati per decidere definitivamente se la coscienza è un fenomeno classico o quantistico. Il lavoro effettuato potrebbe anche avere profonde implicazioni in tutti i campi scientifici.Indagando sul trasporto quantistico nelle nostre strutture frattali progettate artificialmente, si potrà dire di aver compiuto i primi piccoli passi verso l’unificazione di fisica, matematica e biologia, che potranno arricchire notevolmente la nostra comprensione del mondo che ci circonda e del mondo che esiste nelle nostre teste.
Punti di riflessione
Il cervello, e in particolare la corteccia, da questo punto di vista avrebbe la capacità di convertire le onde di interferenza in ricordi. Questo spiegherebbe, secondo Pribram, da un lato la capacità del cervello di immagazzinare un’enorme quantità di informazioni in uno spazio relativamente ridotto e dall’altro la sua ipotesi olografica, in quanto la distribuzione non locale delle informazioni permette una connessione immediata fra le parti come ipotizzato nell’Universo Olografico immaginato da Bohm. (Doriano Dal Cengio)
L'Universo è olografico e il cervello umano è olonomico, cioè predisposto ad accogliere l'informazione in modo olografico
La possibilità che l'intero universo sia un ologramma sta diventando reale e le ricerche in corso lo dimostrano, come nello studio congiunto UK, Italia e Canada (vedi bibliografia 2017). Il fisico Claudio Corianò scrive:
Fisici teoretici ed astrofisici che si interrogano da anni sulla “radiazione di fondo” (la traccia che si suppone sia stata lasciata dal Big Bang) sembrano orientarsi verso una spiegazione che tenga conto di una possibilità, quella di un universo olografico: l’universo, in altre parole, potrebbe essere un vasto e complesso ologramma. L'idea di un universo “olografico”, nata negli anni ’90, suggerirebbe che tutte le informazioni che compongono la nostra realtà “tridimensionale” (compreso il tempo) siano contenute nello spazio di una matrice a due dimensioni. Il prof. Kostas Skenderis, docente di Scienze Matematiche all’Università di Southampton spiega: “Immaginate che tutto ciò che vediate, sentiate e ascoltiate, e la vostra percezione del tempo provengano da un campo a due dimensioni. Un po’ come una immagine olografica su una carta di credito”. Negli ultimi decenni gli avanzamenti nel campo dell’osservazione spaziale hanno permesso agli scienziati di rilevare una enorme quantità di dati sotto forma di “rumore bianco” provenienti dal “momento” del Big Bang. “La possibilità di una ‘cosmologia olografica’ può essere una rivoluzione nel nostro modo di pensare alla creazione e alla struttura dell’universo,” dice il Prof. Skenderis. “La relatività generale di Einstein spiega quasi tutto il visibile, ma presenta parecchi problemi quando l’osservazione si sposta sui quanti. Il concetto di universo olografico potrebbe colmare questa mancanza. Speriamo di fare ancora passi avanti in questa direzione”.
Un nuovo studio, pubblicato su Physical Review Letters, ha fornito le prime importanti indicazioni scientifiche sulla compatibilità statistica con i dati sperimentali del modello olografico dell’universo, secondo il quale il nostro universo sarebbe, appunto, un grande e complesso ologramma.La ricerca ha coinvolto fisici e astrofisici teorici di Regno Unito, Italia e Canada, in particolare dell’Università di Southampton in Inghilterra, della Sezione di Lecce dell’INFN e dell’Università del Salento in Italia, del Perimeter Institute e dell’Università di Waterloo in Canada. La ricerca è frutto di un’analisi congiunta di aspetti teorici e fenomenologici della fisica dell’universo primordiale, uniti a studi di fisica delle interazioni fondamentali. I risultati di questa complessa analisi sono stati confrontati con i dati sperimentali satellitari sulla radiazione cosmica di fondo (Cosmic Microwave Background, CMB) e sono stati trovati in accordo con essi. Il modello corrente del nostro universo, che è in una fase di accelerazione dovuta alla presenza di energia oscura, prevede una cosiddetta ‘costante cosmologica’, introdotta da Einstein negli anni ’20 e chiamata Lambda, insieme a materia oscura fredda (Cold Dark Matter, CDM), e per questo prende il nome di modello Lambda-CDM. Questo modello è supportato dai dati sperimentali. La nuova ricerca prova che gli stessi dati sperimentali sono a favore anche di un modello di universo olografico. “L’ipotesi che il nostro universo funzioni come un enorme e complesso ologramma è stata formulata negli anni ’90 del secolo scorso da diversi scienziati, raccogliendo evidenze teoriche in vari settori della fisica delle interazioni fondamentali”, spiega Claudio Corianò, ricercatore dell’INFN e professore di fisica teorica dell’Università del Salento, che ha partecipato alla ricerca insieme ai colleghi Niayesh Afshordi, Luigi Delle Rose, Elizabeth Gould e Kostas Skenderis. “L’idea alla base della teoria olografica dell’universo – prosegue Corianò – è che tutte le informazioni che costituiscono la ‘realtà’ a tre dimensioni – più il tempo – siano contenute entro i confini di una realtà con una dimensione in meno”. Si può immaginare che tutto ciò che si vede, si sente e si ascolta in 3D – e la percezione del tempo – sia emanazione di un campo piatto bidimensionale, cioè che la terza dimensione sia ‘emergente’, se paragonata alle altre due dimensioni. L’idea, quindi, è simile a quella degli ologrammi ordinari, in cui l’immagine tridimensionale è codificata in una superficie bidimensionale, come nell’ologramma su una carta di credito, solo che qui è l’intero universo a essere codificato. In un ologramma la terza dimensione viene generata dinamicamente a partire dall’informazione sulle rimanenti due dimensioni. “Per creare un ologramma – spiega Corianò – si prende un fascio laser luminoso e lo si separa all’origine in due fasci: uno è inviato su un oggetto distante e quindi viene riflesso, mentre l’altro è inviato per essere registrato”. “Servono due coordinate per indirizzare il fascio incidente sull’oggetto, in modo da esplorarlo completamente, mentre è proprio l’interferenza tra il fascio originario e quello riflesso che permette di ricostruire l’immagine e dare il senso della profondità”, conclude Corianò. Si può rappresentare il concetto pensando al cinema in 3D. Anche in questo caso la visione 3D è il risultato di due immagini differenti inviate all’occhio destro e all’occhio sinistro, dove una scena viene ripresa da due angolature distinte, che il nostro cervello processa automaticamente generando il senso della profondità. L’informazione, in questo caso, viene da uno schermo piatto, ma è percepita dall’osservatore come tridimensionale. In ambito cosmologico, per avere una rappresentazione semplificata della formulazione olografica, possiamo immaginare che ci sia una superficie ideale, sulla quale tutta l’informazione dell’universo venga in qualche modo registrata, come in un ologramma: uno schermo che contiene la “scena” dell’intero universo.
Come si è formato l'universo olografico

Un disegno che sintetizza la teoria dell’universo olografico. Il tempo procede da sinistra verso destra: la prima parte del disegno è sfocata per sottolineare che il tempo e lo spazio non avevano una chiara definizione. Successivamente l’universo sarebbe entrato in una “fase geometrica”, le cui caratteristiche sono ben definite dalle teorie di Einstein.
La teoria di Penrose-Hameroff della coscienza quantistica sostiene che i microtubuli sono strutturati in uno schema frattale che consentirebbe il verificarsi di processi quantistici.
Il modello olografico dell'universo e del cervello
Bohm teorizza l'esistenza nell'universo di un ordine implicito (implicate order), che non siamo in grado di percepire, e di un ordine esplicito (explicate order), che percepiamo come risultato dell'interpretazione che il nostro cervello dà alle onde (o pattern) di interferenza che compongono l'universo. Bohm paragona l'ordine implicito a un ologramma, la cui struttura complessiva è identificabile in quella di ogni sua singola parte: il principio di località risulterebbe perciò falso. Poiché Bohm riteneva che l'universo fosse un sistema dinamico in continuo movimento, mentre il termine ologramma solitamente si riferisce a un'immagine statica, Bohm preferiva descrivere l'universo utilizzando il termine, da lui creato, di Olomovimento
Come funziona il cervello olonomico
Lo psicoterapeuta Doriano Dal Cengio scrive:
Il cervello umano è la cosa più complessa, affascinante e misteriosa del nostro organismo. Con i suoi 100 miliardi di cellule nervose, ognuna delle quali può entrare mediamente in contatto con 50 o 100mila altri neuroni, crea una rete enorme, una ragnatela di interconnessioni vastissima che ha portato gli scienziati ad ipotizzare che il numero di possibili contatti nervosi presenti nel cervello umano superi il numero stimato di corpi celesti presenti nell’Universo. Oggi le neuroscienze che vengono considerate la nuova frontiera della ricerca sul cervello e non solo, ci hanno svelato molto ma probabilmente non hanno scoperto ancora tutto.
Il cervello olografico e la natura quantistica della menteKarl Pribram è stato un neurochirurgo che a partire dagli anni del dopoguerra si è interessato molto al cervello. Di origine austriaca, cresciuto in America, ha preferito dedicarsi alla ricerca più che alla clinica. E’ stato professore di psichiatria a Stanford e presso varie università americane. E’ noto soprattutto per le ricerche che hanno permesso di definire meglio la natura del sistema limbico (quello che Joseph LeDoux chiama cervello emotivo) e dei legami fra questo sistema neurobiologico deputato alla rielaborazione degli stimoli emozionali e la corteccia frontale, ha inoltre approfondito il ruolo dei gangli della base nell’organizzazione delle emozioni e della motivazione. E’ conosciuto anche per l’ipotesi olografica del cervello (o modello olonomico) che ha elaborato in collaborazione con il fisico David Bohm che aveva a suo tempo suggerito l’idea di un Universo Olografico.Le posizioni di Pribram, che hanno trovato nel tempo un certo consenso nella comunità scientifica, partirono dai suoi interrogativi sulla memoria. Dove vengono custoditi i ricordi? La memoria, come la coscienza, è tuttora uno dei grandi misteri che riguardano il funzionamento e le potenzialità del nostro cervello. Tra l’altro va evidenziato il legame stretto che c’è fra memoria e coscienza, perché è ormai condivisa l’idea che non può esserci atto cosciente senza ricordi, in quanto i ricordi sono frutto delle esperienze vissute che vengono rielaborate e codificate in memoria, dando così origine all'insieme dei nostri apprendimenti e la coscienza con i suoi singoli atti coscienti, rappresenta la capacità della mente di interconnettere le esperienze passate (apprendimenti) con l’elaborazione degli stimoli proposti dall’esperienza vissuta nel presente. E’ ormai assodato che i ricordi non vengono conservati da qualche parte nel cervello, come si credeva in un primo momento, non esiste un luogo della memoria. Finora si è individuato il ruolo dell’ippocampo, una struttura appartenente al sistema limbico, che sembra svolgere un ruolo importante nell’elaborazione e selezione delle informazioni che passano dalla cosiddetta memoria a breve termine, quella in cui sono contenute le informazioni che elaboriamo nel presente, alla memoria a lungo termine dove risiedono le informazioni legate al passato. Attualmente si ritiene che i ricordi vengano ricostruiti o recuperati assemblando pacchetti di informazioni distribuite in tutto il cervello. Questo è quanto credeva anche Pribram, il quale arrivò a sostenere che le informazioni non vengono registrate nei singoli neuroni, né a livello sinaptico, anche se è dimostrato che nuovi apprendimenti favoriscono l’aumento di connessioni sinaptiche fra reti neurali coinvolte, pensava piuttosto che fossero il risultato di oscillazioni elettriche a livello neurale che creano schemi o onde di interferenza in cui si codificano le informazioni. Il cervello, e in particolare la corteccia, da questo punto di vista avrebbe la capacità di convertire le onde di interferenza in ricordi. Questo spiegherebbe, secondo Pribram, da un lato la capacità del cervello di immagazzinare un’enorme quantità di informazioni in uno spazio relativamente ridotto e dall’altro la sua ipotesi olografica, in quanto la distribuzione non locale delle informazioni permette una connessione immediata fra le parti come ipotizzato nell’Universo Olografico immaginato da Bohm.L’ipotesi di fondo è che l’esperienza vissuta venga, in fase di rielaborazione, scomposta come tante tessere di un mosaico sulla base delle informazioni fornite dagli organi di senso e dalle sensazioni emotive associate a quella esperienza e distribuite su tutto il cervello coinvolgendo nuclei cellulari specializzati in quel singolo aspetto (visivo, acustico, tattile, emotivo etc). Come nell’immagine olografica in cui il singolo frammento contiene l’intera immagine che si ricostruisce grazie all’interferenza di due onde che si incrociano, così il ricordo potrebbe essere ricostruito grazie all’interferenza prodotta dall’attività dei vari neuroni coinvolti nei “frammenti” del ricordo. Se il ricordo è distribuito in tutto il cervello, l’atto di ricordare potrebbe essere innescato da uno stimolo che attiva l’interferenza neurale, permettendo la ricomposizione dei singoli aspetti del ricordo. Questo aspetto è stato confermato da studi non solo di Pribram ma anche di altri ricercatori che lavorando con animali di laboratorio avevano potuto constatare che questi potevano ricordare, ad esempio il percorso di un labirinto, anche se veniva loro asportato buona parte del cervello. Rimane inoltre suggestiva l’idea che la rete olografica dell’Universo abbia una corrispondenza col nostro universo personale rappresentato da quel complesso groviglio di reti neurali che è il cervello, dove è iscritta in forma di ricordi/immagini la nostra vita. Ancora una volta torna in mente la visione esoterica, dove il detto … così in alto, così in basso … attribuito ad Ermete Trimegisto, leggendario personaggio ellenico che si ritiene autore del Corpus Hermeticum, ben si sposa con l’ipotesi olografica di Pribram-Bohm. L’idea di un cervello che funzioni anche con modalità quantistiche è un’ipotesi sostenuta non solo da Pribram. In questa direzione vanno anche le osservazioni e le ipotesi di Roger Penrose e di Stuart Hameroff, fisico e matematico inglese il primo, medico anestesista e ricercatore americano il secondo. Penrose e Hameroff avevano condotto studi e osservazioni separate ma entrambi interessati al funzionamento del cervello e al ruolo della coscienza. Nel 1992 iniziarono a collaborare mettendo insieme le rispettive conoscenze e arrivando all’ipotesi espressa nel loro modello ORCH-OR (ORCHestrated Objective Reduction), in cui ipotizzarono che la coscienza potesse essere l’espressione del funzionamento quantistico del cervello. Hameroff pose l’attenzione sui microtubuli, formazioni intracellulari che costituiscono l’ossatura dei neuroni cerebrali e che potrebbero essere, a suo giudizio, adatti ad una trasmissione quantistica in quanto in collegamento con i microtubuli di altri neuroni attraverso le cosiddette giunzioni gap, che sarebbero un diverso modo di trasmettere informazioni rispetto alle più note connessioni sinaptiche. Quando il divario tra le cellule è sufficientemente piccolo è possibile che le informazioni passino attraverso il cosiddetto tunnel quantico favorendo una trasmissione di informazioni rapido e capace di propagarsi su una vasta area cerebrale dando vita ad un atto cosciente. Quindi la coscienza o l’atto cosciente sarebbero nella visione di Penrose-Hameroff, il risultato del collasso d’onda conseguente ad una trasmissione quantistica di informazione che vede alla base l’attività dei microtubuli neurali.Va detto che questa teoria ha trovato diffidenza e ostilità in ambito scientifico. Non sappiamo se è vera o meno, sappiamo però che spesso in ambito scientifico idee azzardate o innovative vengano viste nell’immediato con diffidenza se non con franca ostilità, perché anche gli scienziati come qualsiasi persona si affezionano alla “verità” che considerano vera. Ognuno di noi è ovviamente rassicurato più da ciò che conosce, che da ciò che non conosce, per cui c’è una inevitabile e comprensibile diffidenza verso il nuovo, tanto più se il nuovo rappresenta un cambio di paradigma, uno stravolgimento di un certo modo di vedere o percepire le cose.I biofotoni e la comunicazione quantisticaDi tutto questo ne sa qualcosa Fritz Albert Popp, biofisico tedesco, considerato negli anni Settanta una promessa della scienza moderna, trovandosi poi ad avere una complicata carriera accademica, proprio per le sue ricerche innovative che non trovarono immediato consenso fra la comunità scientifica del suo tempo. Popp era interessato a trovare la cura per il cancro, i suoi studi con sostanze cancerogene (benzopirene) lo portarono a scoprire che queste sostanze assorbono luce ma poi la riemettono a frequenze diverse, in particolare scoprì che queste sostanze reagiscono ad una specifica lunghezza d’onda di 380 nanometri. Scoprì inoltre che su questa frequenza si attivano anche i processi di foto-riparazione che permettono la riparazione cellulare attraverso la luce, questa coincidenza lo incuriosì, ma soprattutto lo portò ad ipotizzare che il fenomeno della foto-riparazione fosse collegato, non solo ad una reazione cellulare alla luce, ma che ci fosse un qualche tipo di luce nel corpo. Con l’aiuto di un suo studente mise a punto una macchina che utilizzando un fotomoltiplicatore permettesse di misurare deboli emissioni di luce. Scoprì sottoponendo ad indagine vari sistemi biologici (vegetali e animali) che effettivamente c’era nei sistemi viventi, una emissione di quelli che lui chiamò biofotoni, cioè quanti di luce. Che la materia vivente reagisse alla luce era cosa nota, ma che la emettesse era una novità. Fritz Albert Popp andò oltre, cercando di capire da dove venisse emessa e perché. Le sue osservazioni lo portarono a individuare nell’elica del DNA un ruolo importante nell’emissione e ricezione di biofotoni, intravvedendo nel DNA una sorta di antenna che emette e riceve segnali luminosi attraverso i quali distribuisce informazioni utili all’organizzazione di ogni processo cellulare. L’ipotesi di Popp era che l’emissione di biofotoni rappresentasse un altro livello di comunicazione cellulare. Le cellule comunicano fra loro in vari modi, a livello chimico oppure a livello bioelettrico, o come nel caso dei biofotoni a livello quantistico. La trasmissione quantistica è il modo di trasmettere informazioni più veloce in assoluto e questo, pensò Popp, potrebbe, avere un ruolo nel coordinare l’intero funzionamento cellulare. Se è vero che in ogni cellula umana avvengono circa 100mila reazioni chimiche al secondo e che ogni organo del nostro corpo, pensiamo ad esempio al fegato o allo stomaco, è composto da miliardi di cellule, quale tipo di informazione coordina il lavoro d’insieme di queste cellule? Come fanno le cellule a sapere cosa fare e come collaborare fra loro per fare quello che fanno? Secondo Popp questo lavoro di coordinamento fra vaste popolazioni di cellule potrebbe avvenire attraverso una comunicazione quantistica basata sull’utilizzo dei biofotoni. Il lavoro di Fritz Albert Popp interessò tra gli altri anche Karl Pribram, che vide nelle considerazioni di Popp una conferma della sua ipotesi di organizzazione olografica del cervello in quanto lo schema o onda di interferenza da lui ipotizzato potrebbe vedere proprio nella trasmissione biofotonica l’elemento chiave. Il campo biofotonico del cervello e più in generale del sistema nervoso, potrebbe essere concepito, secondo Pribram, come un’interfaccia capace di integrare aspetti dell’esperienza umana che non sono fisici, come ad esempio le attività della mente, del pensiero, della psiche, che nell’esperienza di ognuno di noi hanno una rilevanza reale ma che diventa difficile collocare fisicamente. Il lavoro di Popp si spinse oltre, cominciando ad indagare, come era nelle sue intenzioni iniziali, il rapporto fra cellule sane e cellule malate. Scoprì che in entrambe è presente luce ma in modo diverso. Secondo i suoi studi, le cellule sane emettono deboli segnali di luce ma con una maggiore coerenza (frequenza d’onda coerente come nel caso della luce laser), mentre quelle malate sembrano emettere maggiori quantità di luce ma in modo incoerente e disorganizzato, come se si fosse persa l’armonia di fondo che regola la risonanza intracellulare. Detta in parole semplici, la buona salute è uno stato di comunicazione subatomica coerente, mentre la cattiva salute è uno stato in cui questa comunicazione è disarmonica e incoerente per cui i processi che organizzano il lavoro e lo scambio informativo intra e intercellulare, che regolano la crescita e la rigenerazione delle cellule e che controllano tutti i processi biochimici, sono disturbati. Queste osservazioni supportano l’idea che non solo il cervello funzioni anche a livello quantistico, come sostenuto da Pribram o da Penrose e Hameroff, ma che tutto il corpo funzioni anche attraverso un tipo di regolazione basata su informazioni quantistiche. Questo va in linea con quanti sostengono che la cellula vivente abbia una sua intelligenza, sia dotata cioè di una mente che guida i processi intracellulari attraverso la comunicazione biofotonica, come sostenuto da Popp. Ma allo stesso modo possiamo pensare che l’insieme di cellule che costituiscono un organo mettano insieme le loro intelligenze producendo una “mente d’organo”, che comunica a vari livelli con gli altri organi dando vita ad una rete informativa che si esprime a livelli diversi utilizzando linguaggi comunicativi diversi a seconda del codice o alfabeto utilizzato, ma che di fatto rappresenta nel suo insieme “un doppio” del corpo fisico come sostenuto del resto dalle discipline spiritualistiche. In questa direzione è interessante notare, come sia stato dimostrato, che i punti cutanei corrispondenti ai punti dell’agopuntura emettano più biofotoni rispetto ad altri punti della cute. Ancora una volta ritroviamo l’idea espressa da varie tradizioni in merito all’esistenza di una energia invisibile che attraversa il corpo e lo anima rendendolo vivo, mettendo così in luce diversa tutte quelle discipline impegnate a lavorare sull’energia sottile, come l’omeopatia, l’agopuntura, il qi gong, il reiki, la pranoterapia o altro ancora.
Il sintonizzatore umano dell'universo è il cervello olonomico di Karl Pribram
Schema di funzionamento della visione olografica

Schema di funzionamento della visione olografica: si tratta di fondere due onde: quella del raggio laser (luce primaria riflessa), e quella dello specchio semiriflettente da cui viene colpito l'oggetto (luce riflessa dall'oggetto). Lo scopo è quello di ricavare dei fronti d'onda d'interferenza dai quali il cervello possa ricavare con le trasformate di LaPlace l'ologramma sulla lastra al centro dell'immagine.
Conclusioni (provvisorie): La proiezione psichica è un meccanismo di difesa primordiale che ci allontana dalla realtà
Ci deve essere un importante motivo per cui l'olografia quantica (QH) si è creata nell'universo e nel cervello umano, e questo motivo riguarda la quantità elevata di informazione che riesce a immagazzinare e trasmettere. A questo riguardo l'astronauta Edgar Mitchell, in "Risacralizzare il cosmo" scrive (p.148): "Per oltre un secolo, tutti i tipi di eventi psichici sono stati negati dagli scienziati poiché non riuscivano a trovare una spiegazione scientifica. Ma improvvisamente, grazie all'olografia quantica, si è scoperto un meccanismo delle informazioni che non soltanto sembra spiegare questo ben noto fenomeno di gruppo, ma che apre una nuova porta a una linea di ricerca che offre la possibilità di rivoluzionare la teoria quantica dimostrando che le informazioni giocano un ruolo fondamentale nel modo in cui è organizzata la Natura su grande scala, nonché come meccanismo evolutivo. Per esempio, è normale definire l'intuizione come "sesto senso", sottolineando implicitamente che si tratta di un senso reale, ma il suo funzionamento è più periferico di quello degli altri cinque sensi. Ora però sembra chiaro che, tramite lo scambio di informazioni olografiche col campo circostante che Laszlo definisce Campo A, un organismo "impara" ad adattarsi all'ambiente. Nell'evoluzione planetaria, le informazioni olografiche quantiche sono più antiche e più fondamentali dei cinque sensi cui siamo abituati nelle specie biologiche evolute. Perciò l'intuizione e l'istinto dovrebbero essere più correttamente etichettati come "primo senso", essendo essi attributi più primitivi della nostra natura evolutiva rispetto agli altri nostri sensi."
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Bibliografia (chi fa delle buone letture è meno manipolabile)
- Gianluigi Filippelli (2017), Universo olografico - Medium
- Neurokinetcz (2020), The holographic Universe - Medium
- Neurokinetcz (2020), The Holographic Brain - Medium
- Claudio Corianò et al. (2017), From Planck data to Planck era - Observational Tests of Holographic Cosmology (PDF) - arXiv
- Doriano Dal Cengio (2021), La Realtà delle Cose (2^ parte) - Physis Institute
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Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)
Pagina aggiornata il 16 giugno 2025