
Il 7 ottobre 2011 è stata presentata un'indagine AstraRicerche, svolta su un campione di 1085 giornalisti iscritti all'ordine lombardo e veneto.
I risultati dell'indagine mostrano un forte scostamento tra i comportamenti ritenuti importanti per un giornalismo etico (Tabella1) e i comportamenti percepiti sui giornali reali (Tabella 2).
Di seguito vengono mostrate le due tabelle della ricerca nelle quali si nota lo scarto tra l'eticità auspicabile (Tab.1) ed eticità reale (Tab.2) nel giudizio degli stessi giornalisti. Ad esempio:
- per il principio etico "Evitare di fornire informazioni false o inesatte" si passa da una auspicabilità del 82,6% a una realtà percepita del 43,4%.
- per il principio etico "Verificare la verità dei fatti citati col massimo di accuratezza" si passa da una auspicabilità del 76,2% a una realtà percepità del 41,2%.
Quando valutiamo la credibilità di un giornale con gli strumenti del pensiero critico, sottoponiamo a verifica molti dei principi espressi in questa ricerca. La ricerca è stata presentata al Convegno su etica e giornalismo. Sintesi degli interventi e alcuni commenti sono disponibili online su nuovo e utile.
Secondo un blogger statunitense, Cly Shirky, i giornali convenzionali stanno perdendo credibilità da quando l'emergere di altre fonti informative sul web (Blogs, Social Forum, ecc.) consente agli utenti delle verifiche. Questa asserzione sembra confermata dai risultati (mostrati nel diagramma a lato) dell'indagine di AstraRicerche, citata sopra, nella quale perfino i giornalisti della carta stampata attribuiscono maggiore eticità e credibilità a Internet piuttosto che a quotidiani, periodici e programmi TV (con la sola eccezione dei programmi radiofonici). Anche dal 9° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione viene la stessa indicazione, mostrata nel box azzurro qui sotto, per la situazione italiana. Il 12° Rapporto Censis/Ucsi sulla comunicazione (2015) conferma le tendenze emerse negli anni precedenti.

Nonostante i giornali online abbiano una credibilità percepita superiore a quelli cartacei, su di essi e sui social media viene sempre più impiegata la tecnica manipolatoria degli advertorial (contrazione di advertising e editorial), che consiste nel produrre una pubblicità (di un prodotto di un servizio, ma anche dell'immagine pubblica di una Nazione) camuffandola da articolo giornalistico. Tale tecnica è sempre stata consentita sui giornali cartacei a condizione che venisse chiaramente indicata la finalità commerciale dell'articolo, ma sul web tali advertorial appaiono sempre più indistinguibili dai veri contenuti giornalistici.
Gli advertorial sono la punta di diamante di quelle nuove tecniche di marketing chiamate 'native advertising'.
Per farsi un'idea di quanto si stiano diffondendo le tecniche degli advertorial citiamo l'esempio della Napier Academy che offre corsi online a coloro che vogliano imparare a scrivere advertorial in modo efficace: si tratta di una lettura utile per chi vuole difendersi da queste forme di manipolazione dell'informazione.
Tra i molti consigli citiamo quelli (a nostro parere) più significativi:
Per la scrittura dei tuoi advertorial comportati come se fossi un giornalista. Colleziona i fatti. Accumula citazioni.
Quale è quella cosa che può far soffrire il lettore? Quali sono le cose che non lo fanno dormire? Quale è il suo desiderio dominante? Pensa a quale emozione vuoi suscitare sul tuo lettore ideale e costruisci la storia attorno ad essa.
Una buona storia presenta il personaggio, descrive lo svolgimento della sua vita con regolarità e tranquillità e introduce qualcosa che turba lo stato di quiete e serenità.
Dai ai lettori un nemico che amano odiare e ti ascolteranno.
La cosa migliore da fare è dare credibilità alla storia ricorrendo a fatti e situazioni simili alla realtà; parla di persone umane, situazioni e stati d’animo comuni e condivisibili.
Devi dare veridicità e concretezza a tutte le affermazioni che scrivi sul tuo prodotto/servizio servendoti di fatti, dati e statistiche.
Utilizza la creatività ma concludi con un finale piacevole e positivo; banalmente il bene deve vincere sul male, il nemico deve essere sconfitto e lo status quo ristabilito.
Se hai fatto bene il tuo lavoro il lettore cercherà un modo per contattarti. Vorrà comprare il prodotto, telefonarti, scriverti, ricevere informazioni. Digli chiaramente come deve muoversi ad esempio per iscriversi alla newsletter, scaricare un file o un ebook, comprare la tua applicazione
Riassumendo si tratta delle tecniche persuasive già usate offline: scrivere una storia che colpisca emotivamente il lettore, offrire una soluzione concreta che riporti il lettore nello stato di serenità garantendogli un lieto fine (con informazioni accurate ed efficaci sul prodotto che si vuole vendere e, magari, con il suo acquisto immediato online).

Il native advertising, cioè la pubblicità inserita nei contenuti giornalistici prodotti dagli editori, si sta diffondendo velocemente, ma la maggior parte degli utenti lo ritiene ingannevole, come dimostra una ricerca svolta nel 2012 da MediaBrix da cui è tratto il diagramma del box sottostante.
La storia del native advertising è lunga ed ha attraversato tutti i mezzi di comunicazione (Giornali, Radio, TV), come racconta qui Roberto Esposito, ma con il web la sua applicazione (fatta di contenuti sponsorizzati nel corso della pianificazione redazionale dei contenuti), è entrata a far parte della social media strategy di ogni giornale.
Andrew Sullivan, uno dei più autorevoli blogger indipendenti americani, sostiene che una della più trascurate tendenze giornalistiche sia la diffusione degli advertorial (publiredazionali), progettati per ingannare i lettori inducendoli a pensare che si tratti di un articolo redazionale invece che il prodotto di una scelta pubblicitaria promossa dalle pubbliche relazioni o dall'ufficio marketing di un'azienda. Tale tendenza è stata innescata dal crollo della classica pubblicità online (display advertising), dovuto all'inutilità percepita dagli inserzionisti di tale tipo di pubblicità (chi guarda più i banner?) e dalla necessità per gli editori di incrementare la raccolta pubblicitaria indispensabile alla loro sopravvivenza. Tale tendenza, secondo Sullivan, danneggerà la credibilità degli editori online.
Anche in Italia i giornali online hanno iniziato ad offrire la loro competenza redazionale ai loro inserzionisti per redigere advertorial.
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Michele Boroni (3 dicembre 2013), “Publiredazionali”, reloaded - STUDIO
- Umberto Bottazzini (11 marzo 2014), Eli Pariser: dalla denuncia al fatturato con Facebook - Linkiesta
Riccardo Esposito, (24 aprile 2014), Breve storia della Native Advertising - MediaBuzz
Bruno Jaffrè (2013), La RAI si libera di C’era una Volta, una trasmissione imbarazzante, e di Silvestro Montanaro, un giornalista ingombrante
- Richard Paul, Linda Elder (2004), How to Detect Media Bias & Propaganda In National and World News (PDF) - The Foundation for Critical Thinking
- (2015), Advertorials: How To Write Them & Why They’re Awesome - Kopywriting Kourse
Pagina aggiornata il 5 maggio 2020