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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Neuroscienze: il ruolo della mente nelle narrazioni tradizionali
TEORIE > CONCETTI > INCONSCIO e COSCIENZA
Scopo di questa pagina
Lo psicologo Jerome Bruner, nel corso di tutta la sua opera, ha evidenziato l'importanza delle narrazioni per la costruzione del "senso del sè " di ogni individuo nell'ambito della cultura di appartenenza. Egli scrive nel libro "La ricerca del significato": "Ho voluto dimostrare come l'esistenza e il sè che noi stessi costruiamo sono i prodotti di questo processo di costruzione del significato. Ma ho anche voluto chiarire che i sè non sono nuclei di coscienza isolati, racchiusi nella mente, bensì sono "distribuiti" in senso interpersonale. E i sè non possono avere origine come reazione istantanea al presente, poiché assumono significato alla luce delle circostanze storiche che danno forma alla cultura di cui essi sono espressione."  Dunque, secondo Bruner, il "sè" di ogni individuo riceve un significato dall'ambiente sociale nel quale l'individuo si trova a vivere, e questo significato è generato dalle narrazioni che circolano in quell'ambiente.  Per questo motivo il primo indice dell'impoverimento di una cultura è quello della riduzione delle risorse narrative. Dittature, povertà e migrazioni riducono la capacità di dare all'esperienza la forma di un racconto, perché la vita quotidiana viene dominata dal peggior racconto possibile che non ammette alternative. In situazioni normali appare chiara la funzione delle narrazioni per la creazione del "senso del sè " nell'infanzia, così come la esprime Bruner: "I racconti trasformano la realtà in una "realtà attenuata". Io ritengo che i bambini, naturalmente grazie alle circostanze, siano predisposti a iniziare la loro carriera di narratori in questo spirito. E noi li dotiamo dei modelli e di un insieme di strumenti procedurali per lo sviluppo di tali capacità, senza le quali non saremmo mai in grado di sopportare i conflitti e le contraddizioni generati dalla vita sociale: diventeremmo inadatti alla vita della cultura."  Questo spiega perché i bambini, da piccoli, sono così avidi di storie e non si stancano mai di chiederle ai genitori: perché hanno bisogno, per crescere emotivamente e cognitivamente, di una "realtà attenuata" che gli consenta di accettare l'ambiente sociale senza grossi traumi. Purtroppo la stanchezza o l'inadeguatezza dei genitori spesso li lasciano in balìa delle storie raccontate dalla pubblicità e dall'intrattenimento televisivo commerciale. Lo psicologo Gabriele Lo Iacono mette in luce gli studi sperimentali dello psicologo James Pennebaker (vedi bibliografia) sull'importanza della scrittura di narrazioni personali nel superamento di traumi ed esperienze stressanti. Egli scrive: "È da molto tempo che la psicologia narrativa riconosce l’importanza di dare senso agli episodi della propria vita traducendoli in un formato simile a una storia. Gergen e Gergen (1988) chiamano narrazioni di sé (self-narratives) questi particolari tipi di storie che ci aiutano a spiegare gli episodi critici della nostra vita. La base per una buona narrazione di sé, secondo Gergen e Gergen, è simile ai criteri ritenuti importanti per una buona storia in generale: la presenza di un motivo principale o scopo della storia, l’inserimento di eventi importanti pertinenti con questo scopo e la disposizione degli eventi in un ordine sensato (Gergen e Gergen, 1987; Gergen e Gergen, 1988)." Le ricerche sperimentali di Pennebaker hanno dunque dimostrato che l'attività del tenere un diario della propria storia personale, cioè mettere in forma di storia le proprie esperienze stressanti, aiuta a risolverle. Alcuni esperimenti, hanno dimostrato che leggere opere di narrativa migliora l'empatia delle persone, mentre con le opere saggistiche ciò non accade. Il potere che le storie hanno su ognuno di noi dipende da quanto esse definiscono e chiariscono la nostra personale esistenza.
altan
Are you pooping?
No: the narration of my defecating.
Punto chiave di questa pagina
LA COSTRUZIONE CULTURALE DELLA REALTA': Secondo Jerome Bruner, il "sè" di ogni individuo riceve un significato dall'ambiente sociale nel quale l'individuo si trova a vivere, e questo significato è generato dalle narrazioni che circolano in quell'ambiente.  Per questo motivo il primo indice dell'impoverimento di una cultura è quello della riduzione delle risorse narrative. Dittature, povertà e migrazioni riducono la capacità di dare all'esperienza la forma di un racconto, perché la vita quotidiana viene dominata dal peggior racconto possibile che non ammette alternative. In situazioni normali appare chiara la funzione delle narrazioni per la creazione del "senso del sè " nell'infanzia, così come la esprime Bruner (p. 98): "I racconti trasformano la realtà in una "realtà attenuata". Io ritengo che i bambini, naturalmente grazie alle circostanze, siano predisposti a iniziare la loro carriera di narratori in questo spirito. E noi li dotiamo dei modelli e di un insieme di strumenti procedurali per lo sviluppo di tali capacità, senza le quali non saremmo mai in grado di sopportare i conflitti e le contraddizioni generati dalla vita sociale: diventeremmo inadatti alla vita della cultura."
Punti di riflessione
So bene che il futuro non sarà quasi mai bello come una fiaba. Ma non è questo che conta. Intanto, bisogna che il bambino faccia provvista di ottimismo e di fiducia, per sfidare la vita. (Gianni Rodari )
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La narrativa è il racconto di progetti umani che sono falliti, di attese andate a monte. Essa ci offre il modo di addomesticare l'errore e la sorpresa. ( Jerome Bruner )
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Il primo indice dell'impoverimento di una cultura è quello della riduzione delle risorse narrative. Dittature, povertà e migrazioni riducono la capacità di dare all'esperienza la forma di un racconto, perché la vita quotidiana viene dominata dal peggior racconto possibile che non ammette alternative.
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L'emisfero sinistro del cervello è il collante che unifica la nostra storia e crea la nostra percezione di essere un agente razionale completo. Costruisce la nostra vita e traccia narrazioni del nostro comportamento passato che prevedono la nostra consapevolezza. (Michael Gazzaniga)
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Uno studio ha misurato la quantità di storie di finzione e non che la gente legge e ha scoperto che l'empatia correla positivamente con quante storie di finzione sono state lette, mentre la correlazione è negativa per il caso dei testi di non finzione. (Michael Corballis)
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Lo scopo principale del linguaggio è quello di "umanizzare" l'uomo consentendogli di condividere la sua sofferenza. La disumanizzazione inizia sempre da un degrado del linguaggio, che vuole trasformare l'uomo in un automa, incapace di fare (o farsi) domande e di pensare criticamente.
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Tutto ciò che deve essere represso per rendere possibile la società - gli istinti distruttivi, il "male" - scompare solo sulla superficie della vita, non dietro o sotto di essa. Da lì preme per riemergere e reinserirsi nell'esistenza. In che senso ci riesce? Tramite un intermediario: la letteratura [...]  Di conseguenza, grazie agli incendi e alla ferocia dei libri, la vita è meno truculenta e terribile, più pacifica, e gli esseri umani possono convivere con meno traumi e più libertà. (Mario Vargas Llosa)
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Diverse teorie della coscienza hanno previsioni diverse sull'unità della mente nei pazienti con cervello diviso e attendono i risultati di ulteriori indagini su questo intrigante fenomeno. [...] Anche in un cervello sano, dove la coscienza è unificata, molti processi inconsci si svolgono indipendentemente e in parallelo. (de Haan et Al.)
Quale funzione hanno le narrazioni

Secondo lo psicologo Jerome Bruner (p.28) ogni cultura è l'elaborazione collettiva di significati basati sull'interpretazione di informazioni e sulla negoziazione di comportamenti umani che le narrazioni contribuiscono a condividere. Bruner, nel corso di tutta la sua opera, ha evidenziato l'importanza delle narrazioni per la costruzione del "senso del sè " di ogni individuo nell'ambito della cultura di appartenenza. Egli scrive nel libro "La ricerca del significato" (p. 131):


Ho voluto dimostrare come l'esistenza e il sè che noi stessi costruiamo sono i prodotti di questo processo di costruzione del significato. Ma ho anche voluto chiarire che i sè non sono nuclei di coscienza isolati, racchiusi nella mente, bensì sono "distribuiti" in senso interpersonale. E i sè non possono avere origine come reazione istantanea al presente, poiché assumono significato alla luce delle circostanze storiche che danno forma alla cultura di cui essi sono espressione.

Dunque, secondo Bruner, il "sè" di ogni individuo riceve un significato dall'ambiente sociale nel quale l'individuo si trova a vivere, e questo significato è generato dalle narrazioni che circolano in quell'ambiente.  Per questo motivo il primo indice dell'impoverimento di una cultura è quello della riduzione delle risorse narrative. Dittature, povertà e migrazioni riducono la capacità di dare all'esperienza la forma di un racconto, perché la vita quotidiana viene dominata dal peggior racconto possibile che non ammette alternative. In situazioni normali appare chiara la funzione delle narrazioni per la creazione del "senso del sè " nell'infanzia, così come la esprime Bruner (p. 98):

I racconti trasformano la realtà in una "realtà attenuata". Io ritengo che i bambini, naturalmente grazie alle circostanze, siano predisposti a iniziare la loro carriera di narratori in questo spirito. E noi li dotiamo dei modelli e di un insieme di strumenti procedurali per lo sviluppo di tali capacità, senza le quali non saremmo mai in grado di sopportare i conflitti e le contraddizioni generati dalla vita sociale: diventeremmo inadatti alla vita della cultura.

Questo spiega perché i bambini, da piccoli, sono così avidi di storie e non si stancano mai di chiederle ai genitori: perché hanno bisogno, per crescere emotivamente e cognitivamente, di una "realtà attenuata" che gli consenta di accettare l'ambiente sociale senza grossi traumi. Purtroppo la stanchezza o l'inadeguatezza dei genitori spesso li lasciano in balìa delle storie raccontate dalla pubblicità e dall'intrattenimento televisivo commerciale. Nell'ambito familiare le storie costituiscono un forte stimolo all'apprendimento del linguaggio, nel senso che nel conflitto tra i propri desideri e quelli dei genitori, il bambino deve imparare a controllare i propri desideri e a utilizzare appropriatamente il linguaggio, spesso mentendo, per soddisfarli. Scrive Bruner (p. 90):

Il bambino impara ad usare alcuni tra gli strumenti meno simpatici della pratica retorica: l'inganno, l'adulazione e via di seguito. Ma impara anche molte utili forme di interpretazione, e perciò sviluppa un'empatia più penetrante. In questo modo il bambino fa il suo ingresso nella cultura umana.

Il bambino intuisce che la conoscenza del linguaggio potrebbe procurargli dei vantaggi anche se, in quel momento, ne ignora gli svantaggi. Scrive Bruner (p. 76):

Il linguaggio viene acquisito non da spettatori, ma attraverso l'uso. L'esposizione al flusso del linguaggio non si rivela così importante quanto il suo utilizzo nel processo del "fare". Apprendere un linguaggio, per citare una nota frase di John Austin, significa apprendere come "fare cose con le parole". Il bambino non impara semplicemente "che cosa" dice ma anche come, dove, a chi e in quali circostanze.
I bambini, da piccoli, sono così avidi di storie e non si stancano mai di chiederle ai genitori perché hanno bisogno, per crescere emotivamente e cognitivamente, di una "realtà attenuata" che gli consenta di accettare l'ambiente sociale senza grossi traumi. Purtroppo la stanchezza o l'inadeguatezza dei genitori spesso li lasciano in balìa delle storie raccontate dalla pubblicità e dall'intrattenimento televisivo commerciale
Origine delle storie
L'origine della necessità di raccontare storie potrebbe essere molto antica, come ipotizza lo psicologo Michael Corballis nel libro "La mente che vaga" (p. 76-78):

E' probabile che le storie traggano origine dal nostro passato di raccoglitori-cacciatori, da come i nostri primi antenati trasmettevano le proprie esperienze di procacciamento del cibo. Parte di questo passato può essere catturato guardando ai cacciatori-raccoglitori di oggi. Tra gli Archè del Paraguay orientale, si dice che ogni uomo riferisca nei dettagli agli altri di ogni esemplare di selvaggina incontrato quel giorno, e il risultato dell'incontro. Ciò permette al gruppo di familiarizzare con il terreno, con i luoghi dove è probabile trovare la selvaggina, con le tecniche di caccia, i successi e i fallimenti. [...] I bambini sarebbero stati affascinati dai racconti narrati dagli uomini, e magari ripetuti dalle donne, acquisendo così conoscenza sulle fonti di cibo e sulle tecniche di caccia, prima di cominciare loro stessi a cacciare. [...] Nelle prime fasi, è probabile che le storie siano state narrate in forma di pantomime, con le persone che recitavano le proprie esperienze. Ma la pantomima è inefficiente e spesso ambigua, sicchè occorreva sviluppare un sistema di simboli i cui significati fossero chiari e compresi dai membri della comunità.
E' probabile che le storie traggano origine dal nostro passato di raccoglitori-cacciatori, da come i nostri primi antenati trasmettevano le proprie esperienze di procacciamento del cibo.
Costruzione del senso dell'io
Le narrazioni iniziano sempre da quelle personali, e le neuroscienze hanno individuato le aree del cervello dove queste si sviluppano. Si tratta della cosiddetta "Default Mode Network", cioè di quell'area dove la mente è a riposo e, non essendo impegnata in nessun compito specifico, essa vaga liberamente. Il neuroscienziato Richard Davidson scrive nel libro "La meditazione come cura" (p. 184):

Il nostro senso dell'io è intessuto in una continua narrazione personale che unisce parti disparate della nostra vita in una trama coerente. Il narratore risiede soprattutto nella modalità di default, ma mette assieme tutta una serie di input provenienti da un'ampia gamma di aree del cervello che, in se stesse, non hanno nulla a che fare col senso dell'io.
Il nostro senso dell'io è intessuto in una continua narrazione personale che unisce parti disparate della nostra vita in una trama coerente. Il narratore risiede soprattutto nella modalità di default, ma mette assieme tutta una serie di input provenienti da un'ampia gamma di aree del cervello che, in se stesse, non hanno nulla a che fare col senso dell'io.
Come le storie mettono ordine nel caos della vita
Secondo il neuroscienziato Michael Gazzaniga, che ha svolto studi sperimentali sulla differenza tra i due emisferi del cervello (vedi bibliografia), l'emisfero sinistro è impegnato nel "mettere ordine nel caos" e lo fa mettendo tutto ciò che ci viene in mente dentro a una storia e ponendola in un contesto. Il diverso ruolo dei due emisferi venne scoperto da Gazzaniga nel corso di alcuni esperimenti fatti su persone alle quali era stato resecato il corpo calloso che separa i due emisferi; egli scrive ne "L'interprete (p. 33):

Si è riusciti a chiarire cosa sia realmente l'interpretazione proprio grazie ai test sui pazienti "split brain": venivano loro mostrate contemporaneamente due immagini di un pollo, una per ciascun emisfero. Dopodiché i soggetti osservavano una serie di figure aggiuntive (diverse per ogni emisfero) e sceglievano quelle che sembravano loro attinenti all'originale. Dalla selezione delle immagini, si poteva notare - ad esempio - che il soggetto sceglieva con la mano sinistra - controllata dall'emisfero destro - una pala; mentre con la mano destra - controllata dall'emisfero sinistro - indicava una zampa di pollo. Ebbene, se è ovvia l'associazione pollo-zampa di pollo, meno scontata era quella con la pala. Si mostrava dunque l'oggetto all'emisfero sinistro, che riconosceva come la scelta operata dal destro, in base alla sua conoscenza non verbale e inaccessibile, fosse in contraddizione e la "correggeva", elaborandone una spiegazione: la pala serviva per pulire la gabbia dei polli. Ecco, dunque, come l'emisfero sinistro faccia da "interprete" del reale.

Il nostro emisfero sinistro è dunque sempre alla ricerca di una giustificazione logica di ciò che l'emisfero destro gli propone. L'emisfero sinistro fa delle razionalizzazioni, non sempre corrette, effettuando inferenze su ciò che ritiene essere la realtà. In tal modo rende la nostra vita gestibile sottraendola al caos. Ecco perchè abbiamo miti e leggende, e amiamo racconti e film.
Il neuroscienziato Michael Gazzaniga, a seguito degli esperimenti datti negli anni '60 su pazienti ai quali aveva resecato il corpus callosum per curare epilessie non trattabili farmacologicamente, si è convinto che nell'emisfero sinistro del cervello esiste un insieme di organi che creano nel soggetto la sensazione di avere un sé unitario. Egli ha chiamato questo insieme "L'interprete" (che comprende amigdala, gangli della base e altri organi posti nell'emisfero sinistro), L'interprete determinerebbe il valore che ognuno attribuisce agli aggregati culturali che l'intero cervello forma.
Come l'Interprete crea le storie
Michael Gazzaniga descrive la continua azione dell'emisfero sinistro che cerca di rendere coerenti le storie che crea sulla nostra realtà.
Cos'è l'essere umano secondo Michael Gazzaniga
Michael Gazzaniga descrive l'evoluzione cerebrale dell'essere umano
L'Interprete crea le storie della nostra vita
Gazzaniga
Secondo Michael Gazzaniga sarebbe l'interprete a mettere in forma di storia, tutto ciò che ci accade, cioè a dare un senso al nostro mondo. La nostra consapevolezza si crea nell'emisfero sinistro per effetto degli organi che compongono l'Interprete, il quale è continuamente alla ricerca di elementi che "appaiono alla coscienza" nell'emisfero destro.
Potremmo dire che "L'Interprete" è un'astrazione che crea tutte le astrazioni che ogni persona è in grado di creare dai propri pensieri.
L'emisfero sinistro fa delle razionalizzazioni, non sempre corrette, effettuando inferenze su ciò che ritiene essere la realtà. In tal modo rende la nostra vita gestibile sottraendola al caos.
"L'Interprete" è un'astrazione che crea tutte le astrazioni che ogni persona è in grado di creare dai propri pensieri.
Revisione scientifica delle idee di Michael Gazzaniga
Nel 2020 è stata fatta una revisione scientifica collettiva del punto di vista di Michael Gazzaniga, ad opera di diversi neuroscienziati (Edward HF de Haan, Paul M. Corballis, Steven A. Hillyard, Carlo A. Marzi, Anil Seth, Victor AF Lamme, Luca Volz , Mara Fabbri, Elisabetta Schechter, Tim Bayne, Michael Corballis & Yair Pinto). Scopo dello studio era quello di contribuire all'agenda per il prossimo decennio di ricerca sul cervello diviso. Al giorno d'oggi, la chirurgia completa del cervello diviso è rara ed è importante cercare di rispondere alle domande centrali mentre questi pazienti sono ancora disponibili per lo studio.
Essi sono arrivati alle seguenti conclusioni:

L'idea che la coscienza sia divisa in un cervello diviso ha avuto un impatto significativo sulla neuroscienza cognitiva in generale. Ad esempio, le teorie attualmente dominanti sulla consapevolezza cosciente - la Teoria dell'Informazione Integrata (Tononi, 2005 ; Tononi, 2004) e la Teoria del Global Neuronal Workspace (Dehaene & Naccache, 2001; Dehaene, Kerszberg, & Changeux, 1998) - possono essere criticamente dipendenti dalla validità di questo punto di vista. Entrambe le teorie implicano che senza una comunicazione massiccia tra diversi sottosistemi, ad esempio gli emisferi corticali, sorgono agenti coscienti indipendenti. Pertanto, se la visione della coscienza divisa non è valida, queste teorie possono essere contestate in modo critico.
Percezione divisa ma coscienza indivisa
Uno studio empirico del neuroscienziato cognitivo Yair Pinto et Al, (vedi bibliografia 2017) ha dimostrato che, quando viene resecato il corpo calloso a un soggetto non si hanno due cervelli con due separate coscienze, ma si ha un singolo agente con percezione divisa ma coscienza indivisa. Pinto scrive:

In un'ampia varietà di compiti, i pazienti con cervello diviso con una transezione completa e radiologicamente confermata del corpo calloso hanno mostrato piena consapevolezza della presenza e riconoscimento ben al di sopra del livello casuale della posizione, dell'orientamento e dell'identità degli stimoli in tutto il campo visivo, indipendentemente di tipo di risposta (mano sinistra, mano destra, o verbalmente).

Questa recente verifica empirica non nega la prospettiva presentata da Michael Gazzaniga, che ogni soggetto (anche con il corpo calloso resecato) è consapevole di tutti gli stimoli che si presentano alla coscienza, ma gli stimoli che arrivano solo all'emisfero destro non possono influenzare il suo ragionamento, cioè non possono "interpretare" la situazione.
La psicoterapia è un banco di prova delle narrazioni personali
Quando raccontiamo le nostre storie strutturiamo il nostro pensiero, lo rielaboriamo e lo portiamo alla coscienza. Tale attività è il perno delle pratiche psicoterapeutiche come scrive lo psicologo Filippo Mittino (vedi bibliografia), riguardo alle narrazioni in psicoterapia (p. 240):

Pensando all'attività del narrare all'interno della pratica clinica possiamo affermare come al paziente venga chiesto di raccontare un evento: deve cioè dar voce alle sue rappresentazioni trasformando un ricordo semantico in uno autobiografico, richiesta che comporta un'organizzazione del materiale depositato in memoria ed una esposizione sistematica dello stesso, attraverso il linguaggio. Traducendo in storie la propria esperienza di vita è possibile giungere ad una strutturazione del proprio pensiero. Inoltre nel momento in cui la storia viene raccontata subisce una rielaborazione, che permette una presa di coscienza dell'evento che si sta trattando. Nel caso sia necessaria un'ulteriore riformulazione il narrante sarà in grado di discriminare gli eventi importanti da quelli che non lo sono.

Lo psicologo Gabriele Lo Iacono mette in luce gli studi sperimentali dello psicologo James Pennebaker (vedi bibliografia) sull'importanza della scrittura di narrazioni personali nel superamento di traumi ed esperienze stressanti. Egli scrive:

È da molto tempo che la psicologia narrativa riconosce l’importanza di dare senso agli episodi della propria vita traducendoli in un formato simile a una storia. Gergen e Gergen (1988) chiamano narrazioni di sé (self-narratives) questi particolari tipi di storie che ci aiutano a spiegare gli episodi critici della nostra vita. La base per una buona narrazione di sé, secondo Gergen e Gergen, è simile ai criteri ritenuti importanti per una buona storia in generale: la presenza di un motivo principale o scopo della storia, l’inserimento di eventi importanti pertinenti con questo scopo e la disposizione degli eventi in un ordine sensato (Gergen e Gergen, 1987; Gergen e Gergen, 1988).

Le ricerche sperimentali di Pennebaker hanno dunque dimostrato che l'attività del tenere un diario della propria storia personale, cioè mettere in forma di storia le proprie esperienze stressanti, aiuta a risolverle.
Il diario di Anna Frank
narrazioni
Uno dei più famosi diari personali indica l'importanza di mettere in forma di storia la propria esperienza personale per resistere in una situazione stressante.
Quando raccontiamo le nostre storie strutturiamo il nostro pensiero, lo rielaboriamo e lo portiamo alla coscienza. Tale attività è il perno delle pratiche psicoterapeutiche: Traducendo in storie la propria esperienza di vita è possibile giungere ad una strutturazione del proprio pensiero. Inoltre nel momento in cui la storia viene raccontata subisce una rielaborazione, che permette una presa di coscienza dell'evento che si sta trattando
Accoppiamento neurale tra parlante e ascoltatore
I nostri cervelli sono predisposti per ascoltare storie. L'immagine mostra la scansione con risonanza magnetica funzionale (fMRI), condotta dal fisico Greg Stephens et Al. (vedi bibliografia), con la quale è stata analizzata l'attività cerebrale di due cervelli (quello di un parlante e quello di un ascoltatore), impegnati nella narrazione di una storia spontanea di vita reale. L'accoppiamento neurale tra i due cervelli avviene generalmente con un leggero ritardo tra il parlante e l'ascoltatore, ma è stato notato che il cervello dell'ascoltatore mostra segni di un'attività "anticipatoria predittiva" riconducibile allo sforzo di comprendere la storia che sta ascoltando. Maggiore è l'attività anticipatoria, maggiore è anche la comprensione della storia. Gli autori della ricerca hanno anche osservato l'esistenza di accoppiamento neurale tra aree cerebrali extralinguistiche, note per essere coinvolte nel trattamento di informazioni sociali indispensabili per una comunicazione efficace, tra cui la capacità di discernere le credenze, i desideri e gli obiettivi degli altri.
L'accoppiamento neurale tra i cervelli di due persone che parlano avviene generalmente con un leggero ritardo tra il parlante e l'ascoltatore, ma è stato notato che il cervello dell'ascoltatore mostra segni di un'attività "anticipatoria predittiva" riconducibile allo sforzo di comprendere la storia che sta ascoltando. Maggiore è l'attività anticipatoria, maggiore è anche la comprensione della storia
Cos'è una narrazione
Secondo il filologo Albert Lord, nella storia della cultura umana le narrazioni sono revisioni sedimentate di "modi tradizionali di raccontare" provenienti da racconti orali. La loro funzione, secondo lo psicologo Jerome Bruner, sembra essere quella di trovare uno stato intenzionale che renda comprensibile una deviazione rispetto a una norma, allo scopo di mantenere la pace sociale. Scrive Bruner nel libro "La ricerca del significato" (p. 59):

La funzione del racconto è quella di trovare uno stato intenzionale che mitighi o almeno renda comprensibile una deviazione rispetto a un modello di cultura canonico.

Per questo motivo è necessario che ogni interpretazione divenga pubblica affinché una cultura non collassi. Le componenti principali che una narrazione deve avere sono, secondo Bruner, almeno tre:

  1. Sequenzialità (una sequenza di eventi o stati mentali che coinvolgono i personaggi)

  2. Indifferenza ai fatti (verità o falsità degli eventi non influiscono sul significato del racconto)

  3. Scostamento dalle convenzioni (il modo di gestire i conflitti e rinegoziare i significati è un importante indicatore della validità e vitalità di una cultura)

Inoltre una buona narrazione si caratterizza per avere un "problema" da risolvere che provoca uno squilibrio tra gli elementi che la compongono. Questi elementi sono cinque, secondo il critico letterario Kenneth Burke: attore (soggetto), azione (risposta), scopo (obiettivo), scena (situazione) e strumento (stimolo). Vedere immagine del "Pentagono Drammatico".
Secondo Burke la retorica tradizionale della narrazione prevede un ciclo di svolgimento circolare attraversando il quale il problema viene risolto. Egli interpreta le azioni dell'attore come il tentativo di far accettare al pubblico la verità del suo modo di vedere la realtà, e per far questo sostiene che non c'è persuasione senza identificazione.

Nella letteratura moderna l'impostazione cambia, come scrive Bruner (p. 60):

I racconti, se condotti fino alla fine, sono esplorazioni entro gli ambiti delimitati dalla legittimità. [...] Essi si presentano come racconti "realistici", con un problema spiegato da un punto di vista morale, se non risolto. E se gli squilibri continuano ambiguamente a sussistere, come spesso nel romanzo postmoderno, ciò si verifica perchè i narratori cercano di sovvertire i mezzi convenzionali attraverso i quali il racconto si colloca - normalmente - in una posizione di moralità. Scrivere un racconto significa inevitabilmente assumere una posizione morale, anche se si tratta di una posizione morale contro le posizioni morali.
Cliccando sull'immagine è possibile leggere un articolo che descrive l'applicazione del pentagono drammatico all'azione politica del presidente Obama
La cognizione umana non si materializza nel singolo cervello ma in uno spazio interpersonale. I processi neurali che avvengono in ogni singolo cervello sono accoppiati con analoghi processi che avvengono nei cervelli di altre persone attraverso segnali sensoriali (visivi, uditivi, olfattivi, ecc.) che attraversano l'ambiente. L'accoppiamento neurale "cervello-cervello" vincola e dà forma ai comportamenti di ogni individuo all'interno della sua rete sociale, dando luogo a comportamenti comuni che non potrebbero avvenire in isolamento.
Scrivere un racconto significa inevitabilmente assumere una posizione morale, anche se si tratta di una posizione morale contro le posizioni morali. I racconti, se condotti fino alla fine, sono esplorazioni entro gli ambiti delimitati dalla legittimità
L'accoppiamento neurale crea lo spazio interpersonale
La ricerca neurofisiologica ha ormai chiarito che la cognizione umana non si materializza nel singolo cervello ma in uno spazio interpersonale (vedi bibliografia Uri Hasson). I processi neurali che avvengono in ogni singolo cervello sono accoppiati con analoghi processi che avvengono nei cervelli di altre persone attraverso segnali sensoriali (visivi, uditivi, olfattivi, ecc.) che attraversano l'ambiente. L'accoppiamento neurale "cervello-cervello" vincola e dà forma ai comportamenti di ogni individuo all'interno della sua rete sociale, dando luogo a comportamenti comuni che non potrebbero avvenire in isolamento. Nell'immagine vengono mostrate le oscillazioni corticali generate dal campo magnetico cerebrale (ad una frequenza di 3-8Hz). Il cervello emette queste oscillazioni anche in isolamento (situazione a). Quando un'altra persona è presente ed emette dei suoni l'ascoltatore incrementa il rapporto segnale/disturbo dell'oscillazione corticale nel tentativo di comprendere (situazione b). Quando l'ascoltatore ha la possibilità di vedere i movimenti della bocca del parlante il rapporto segnale/disturbo aumenta ulteriormente facilitando la comprensione (situazione c).
L'arco narrativo delle storie
Tutte le storie hanno un "arco narrativo", cioè un percorso temporale in cui gli eventi vissuti dal protagonista vengono esposti. Una recente ricerca condotta con strumenti di intelligenza artificiale (data mining) da un gruppo di matematici guidati da Andrew Reagan (vedi bibliografia), ha studiato l'evoluzione della cultura umana attraverso l'analisi di testi letterari. La capacità umana di comunicare si basa su esperienze emozionali condivise che nei racconti, spesso, tracciano percorsi emozionali che diventano dei modelli ripetitivi. Questi modelli possono essere individuati e classificati.
La ricerca citata ha analizzato i percorsi emozionali (emotional arcs) di 1327 racconti tratti dal Project Gutenberg, costruiti usando un algoritmo chiamato "Hedonometer", il quale misura felicità o tristezza di un testo sulla base della frequenza di certe parole contenute in esso.

Come riporta la giornalista Adrienne LaFrance (vedi bibliografia), le dieci parole che le persone classificano come più felici erano: risata, felicità, amore, contento, riso, ridere, che ridere, eccellente, ride, e gioia . Le dieci parole che le persone classificano come le meno felici erano terroristi, suicidio, violenza, terrorismo, omicidio, morte, cancro, ucciso, uccidere, e morire. L'elenco completo delle parole è consultabile qui. Gli archi narrativi più frequenti nei 1327 racconti analizzati sono risultati essere:


  1. Dalla povertà alla ricchezza (rags to riches): ascesa
  2. Tragedia (riches to rags): caduta
  3. Giù nella fossa (man in a hole): caduta e ascesa
  4. Icaro (Icharus); ascesa-caduta
  5. Cenerentola (Cinderella): ascesa-caduta-ascesa
  6. Edipo (Oedipus): caduta-ascesa-caduta

Il precursore degli archi emozionali fu lo scrittore Kurt Vonnegut il quale, nel 1946, si vide rifiutare dall'Università di Chicago la propria tesi di master in antropologia a causa della sua presunta semplicità. Nonostante la laurea rifiutata inizialmente, ma concessa dopo qualche anno per i suoi libri, la "forma delle storie" era ritenuta da Vonnegut importante ed elegante nel rappresentare a colpo d'occhio il "senso della storia".
Certamente le storie che la maggior parte delle persone preferisce sono quelle che appartengono alle esperienze del lettore o che vengono ritenute più plausibili e, come suggerisce lo psicologo Raymond Nickerson (vedi bibliografia) risentono dell'influenza del pregiudizio di conferma (confirmation bias). In altre parole, il potere che le storie hanno su ognuno di noi dipende da quanto esse definiscono e chiariscono la nostra personale esistenza.

La forma delle storie di Kurt Vonnegut
Leggere storie narrative migliora l'empatia e la Teoria della Mente
Alcuni esperimenti, condotti dallo psicologo David Comer Kidd (vedi bibliografia), hanno dimostrato che leggere opere di narrativa migliora l'empatia delle persone, mentre con le opere saggistiche ciò non accade, scrive Kidd:


La capacità di identificare e comprendere gli stati soggettivi degli altri è uno dei più sorprendenti prodotti dell'evoluzione umana. Tale capacità consente una navigazione di successo nelle più complesse relazioni sociali e aiuta a sostenere le risposte empatiche che le mantengono. Deficit in questo insieme di abilità, comunemente indicata come Teoria della Mente (ToM), è associata a psicopatologie marcate  da difficoltà interpersonali. [...] I risultati dei nostri esperimenti segnano solo un passo verso la comprensione dell'impatto delle nostre interazioni con la narrativa, le cui esperienze sono pensate per contribuire allo sviluppo della coscienza e per arricchire le nostre vite quotidiane.
Alcuni esperimenti, hanno dimostrato che leggere opere di narrativa migliora l'empatia delle persone, mentre con le opere saggistiche ciò non accade. Il potere che le storie hanno su ognuno di noi dipende da quanto esse definiscono e chiariscono la nostra personale esistenza
L'importanza dei miti per le narrazioni
Lo storico delle religioni Joseph Campbell ha studiato i miti di tutte le più importanti culture della terra alla luce delle teorie di Carl Gustav Jung, individuando in molti famosi miti finalità inconsce necessarie alla risoluzione di problemi della società.
Ad esempio, secondo Campbell, i riti di passaggio (nascita, imposizione del nome, pubertà, matrimonio, sepoltura) servivano ad eliminare dalla mente dell'interessato gli affetti degli stadi precedenti (e al contempo influenzare il suo gruppo sociale), mentre la fase successiva serviva a presentare le forme della nuova condizione. Attraverso queste continue trasformazioni, che avvenivano siano nel conscio che nell'inconscio di ognuno, le società si rigeneravano. Secondo Campbell ogni mito è lo sfruttamento, inconscio e collettivo, della mente nel quale è annidato.
La psicologia di Jung ha evidenziato la persistenza dei miti arcaici nella mente dell'uomo contemporaneo mostrando quanto e in che modo tali miti agiscano ancora oggi sotto le spoglie moderne dei disturbi psicologici. I miti sono stati creati dall'uomo come mezzo per sostenere le sollecitazioni più drammatiche della sua vita.

Campbell sosteneva che la maggior parte dei miti si basava prevalentemente su un eroe e sul suo viaggio simbolico.


L'eroe è colui (o colei) che riesce a superare la natura individuale dei suoi problemi e pervenire alle forme (miti) valide per la rigenerazione dell'intera società. I miti, descrivendo la vita degli eroi, descrivevano i desideri inconsci, le paure e le tensioni che gli umani provavano e attuavano nei loro comportamenti. I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti. Si può dire che i miti hanno reso l'uomo più resiliente modificandone l'interpretazione degli eventi.
Il Monomito o Mito dell'Eroe
I miti sono stati creati dall'uomo come mezzo per sostenere le sollecitazioni più drammatiche della sua vita. I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti
Conclusioni (provvisorie): Il potere che le storie hanno su ognuno di noi dipende da quanto esse definiscono e chiariscono la nostra personale esistenza
Lo psicologo Jerome Bruner, nel corso di tutta la sua opera, ha evidenziato l'importanza delle narrazioni per la costruzione del "senso del sè " di ogni individuo nell'ambito della cultura di appartenenza. Egli scrive nel libro "La ricerca del significato": "Ho voluto dimostrare come l'esistenza e il sè che noi stessi costruiamo sono i prodotti di questo processo di costruzione del significato. Ma ho anche voluto chiarire che i sè non sono nuclei di coscienza isolati, racchiusi nella mente, bensì sono "distribuiti" in senso interpersonale. E i sè non possono avere origine come reazione istantanea al presente, poiché assumono significato alla luce delle circostanze storiche che danno forma alla cultura di cui essi sono espressione."  Dunque, secondo Bruner, il "sè" di ogni individuo riceve un significato dall'ambiente sociale nel quale l'individuo si trova a vivere, e questo significato è generato dalle narrazioni che circolano in quell'ambiente.  Per questo motivo il primo indice dell'impoverimento di una cultura è quello della riduzione delle risorse narrative. Dittature, povertà e migrazioni riducono la capacità di dare all'esperienza la forma di un racconto, perché la vita quotidiana viene dominata dal peggior racconto possibile che non ammette alternative. In situazioni normali appare chiara la funzione delle narrazioni per la creazione del "senso del sè " nell'infanzia, così come la esprime Bruner: "I racconti trasformano la realtà in una "realtà attenuata". Io ritengo che i bambini, naturalmente grazie alle circostanze, siano predisposti a iniziare la loro carriera di narratori in questo spirito. E noi li dotiamo dei modelli e di un insieme di strumenti procedurali per lo sviluppo di tali capacità, senza le quali non saremmo mai in grado di sopportare i conflitti e le contraddizioni generati dalla vita sociale: diventeremmo inadatti alla vita della cultura."  Questo spiega perché i bambini, da piccoli, sono così avidi di storie e non si stancano mai di chiederle ai genitori: perché hanno bisogno, per crescere emotivamente e cognitivamente, di una "realtà attenuata" che gli consenta di accettare l'ambiente sociale senza grossi traumi. Purtroppo la stanchezza o l'inadeguatezza dei genitori spesso li lasciano in balìa delle storie raccontate dalla pubblicità e dall'intrattenimento televisivo commerciale. L'origine della necessità di raccontare storie potrebbe essere molto antica, come ipotizza lo psicologo Michael Corballis nel libro "La mente che vaga": E' probabile che le storie traggano origine dal nostro passato di raccoglitori-cacciatori, da come i nostri primi antenati trasmettevano le proprie esperienze di procacciamento del cibo. Parte di questo passato può essere catturato guardando ai cacciatori-raccoglitori di oggi. Tra gli Archè del Paraguay orientale, si dice che ogni uomo riferisca nei dettagli agli altri di ogni esemplare di selvaggina incontrato quel giorno, e il risultato dell'incontro. Ciò permette al gruppo di familiarizzare con il terreno, con i luoghi dove è probabile trovare la selvaggina, con le tecniche di caccia, i successi e i fallimenti. [...] I bambini sarebbero stati affascinati dai racconti narrati dagli uomini, e magari ripetuti dalle donne, acquisendo così conoscenza sulle fonti di cibo e sulle tecniche di caccia, prima di cominciare loro stessi a cacciare. [...] Nelle prime fasi, è probabile che le storie siano state narrate in forma di pantomime, con le persone che recitavano le proprie esperienze. Ma la pantomima è inefficiente e spesso ambigua, sicchè occorreva sviluppare un sistema di simboli i cui significati fossero chiari e compresi dai membri della comunità."  Il neuroscienziato Michael Gazzaniga sostiene che ciò che egli ha chiamato "L'interprete" (che comprende amigdala, gangli della base e altri organi posti nell'emisfero sinistro), crea in ogni persona la sensazione di avere un "sé unitario" e, soprattutto, determina il valore che ognuno attribuisce agli aggregati culturali che l'intero cervello forma. Sarebbe l'interprete a mettere in forma di storia, tutto ciò che ci accade, cioè a dare un senso al nostro mondo. La nostra consapevolezza si crea nell'emisfero sinistro per effetto degli organi che compongono l'Interprete, il quale è continuamente alla ricerca di elementi che "appaiono alla coscienza" nell'emisfero destro. Potremmo dire che "L'Interprete" è un'astrazione che crea tutte le astrazioni che ogni persona è in grado di creare dai propri pensieri. Lo psicologo Gabriele Lo Iacono mette in luce gli studi sperimentali dello psicologo James Pennebaker (vedi bibliografia) sull'importanza della scrittura di narrazioni personali nel superamento di traumi ed esperienze stressanti. Egli scrive: "È da molto tempo che la psicologia narrativa riconosce l’importanza di dare senso agli episodi della propria vita traducendoli in un formato simile a una storia. Gergen e Gergen (1988) chiamano narrazioni di sé (self-narratives) questi particolari tipi di storie che ci aiutano a spiegare gli episodi critici della nostra vita. La base per una buona narrazione di sé, secondo Gergen e Gergen, è simile ai criteri ritenuti importanti per una buona storia in generale: la presenza di un motivo principale o scopo della storia, l’inserimento di eventi importanti pertinenti con questo scopo e la disposizione degli eventi in un ordine sensato (Gergen e Gergen, 1987; Gergen e Gergen, 1988)." Le ricerche sperimentali di Pennebaker hanno dunque dimostrato che l'attività del tenere un diario della propria storia personale, cioè mettere in forma di storia le proprie esperienze stressanti, aiuta a risolverle.
Alcuni esperimenti, hanno dimostrato che leggere opere di narrativa migliora l'empatia delle persone, mentre con le opere saggistiche ciò non accade. Il potere che le storie hanno su ognuno di noi dipende da quanto esse definiscono e chiariscono la nostra personale esistenza.
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Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

Pagina aggiornata il 30 novembre 2023

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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