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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Il Neoliberismo è l'ideologia del nostro tempo
TEORIE > CONCETTI > DEMOCRAZIA E WEB
Scopo di questa pagina
Il neoliberismo è una dottrina economica che tende a ridurre l'influenza dello Stato sull'economia, lasciando che le forze del mercato, guidate dalle regole della concorrenza, regolino l'equilibrio del sistema economico. A partire dagli anni '80 diversi paesi hanno avviato politiche strutturali per incrementare la competizione interna attraverso deregolamentazioni e aprendo le loro economie ai capitali stranieri. Il politologo George Monbiot ha scritto: "L’idea centrale del neoliberismo è che ci sia una forma di relazione naturale all’interno della società umana, la competizione, e che ciascuno di noi non faccia altro che cercare di massimizzare la propria ricchezza e il proprio potere a spese degli altri. Per i neoliberisti l’uomo è, cioè, “homo oeconomicus”. È un’ottima descrizione, ma del modo di ragionare degli psicopatici, l’1 per cento dell’umanità. È invece una pessima descrizione del rimanente 99 per cento. Semplicemente, non ci comportiamo a quel modo." Le politiche neoliberiste di concessione indiscriminata di credito hanno portato una parte delle società occidentali a vivere al di sopra delle proprie possibilità. La pubblicità ci incita a sostituire i prodotti, non a mantenerli in ordine. Secondo il pedagogista Alfie Kohn un apprendimento cooperativo è più efficace di uno basato sulla competizione. Tali conclusioni non si applicano solo alla formazione scolastica ma si estendono a varie attività lavorative tra le quali a quello che è il fulcro dell'odierna economia, cioè il marketing. L'immenso peso dell'evidenza sta piegando i fautori dell'austerità? Nel giugno 2016 è stato pubblicato un articolo redatto da tre economisti di punta del FMI nel quale, per la prima volta, le valutazioni su vantaggi e svantaggi delle politiche neoliberiste si discostano dalle opinioni del passato del Fondo Monetario Internazionale. Già dal titolo ("Neoliberalismo: ipervenduto?") si intuisce l'attacco frontale alle riforme neoliberiste che vengono ritenute dannose perchè distruggono le condizioni strutturali della crescita economica. In particolare, nel testo si afferma che i due pilastri su cui poggiano le politiche neoliberiste, cioè una maggiore concorrenza e un ruolo minore per lo Stato hanno alterato le precondizioni per la crescita economica.
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NEOLIBERISMO: Negli ultimi anni, diciamo dopo la crisi economica mondiale del 2008 e la ridotta crescita economica nella UE, diversi economisti, politici e sociologi hanno proposto che la causa principale di tale crisi sia attribuibile al "Neoliberismo". Com'è noto, il neoliberismo è una dottrina economica che tende a ridurre l'influenza dello Stato sull'economia, lasciando che le forze del mercato, guidate dalle regole della concorrenza, regolino l'equilibrio del sistema economico. A partire dagli anni '80 diversi paesi hanno avviato politiche strutturali per incrementare la competizione interna attraverso deregolamentazioni e aprendo le loro economie ai capitali stranieri, come riportato dagli economisti del FMI. La distinzione tra liberismo e liberalismo è esclusivamente italiana dal punto di vista semantico e indica che il liberismo attiene alla sfera economica, e il liberalismo si riferisce invece a tutte le libertà (politiche, religiose, culturali, etiche, ecc). L'Enciclopedia Treccani dà la seguente definizione di neoliberismo: "Indirizzo di pensiero economico che, in nome delle riconfermate premesse dell’economia classica, denuncia le sostanziali violazioni della concorrenza perpetrate da concentrazioni monopolistiche all’ombra del laissez faire e chiede pertanto misure atte a ripristinare la effettiva libertà di mercato e a garantire con ciò il rispetto anche delle libertà politiche". Ma negli ultimi anni la situazione è cambiata e l'economista Giovanni Ferri, il 29 marzo 2023 scrive: "Sebbene i nuovi sviluppi nella disciplina economica appaiano ancora non sistematici, vi è crescente consenso che dobbiamo andare oltre l'approccio neoliberista all'economia. Ad esempio, quasi la metà dei 17 vincitori del Premio Nobel per l'economia negli anni ’90 erano neoliberisti e solo uno (Amartya Sen) era latore di una visione alternativa; dal 2000 al 2022, invece, 15 dei 48 premiati (quasi uno su tre) portavano visioni alternative mentre solo 7 (meno di uno su sei) erano neoliberisti. E, ancora, la fiducia incontrastata nel mercato viene messa in discussione da shock negativi che potrebbero degradare l'ordine economico mondiale dall'internazionalizzazione illimitata alla possibile deglobalizza zione. Possiamo identificare i più importanti tra questi shock negativi con la pandemia di Covid-19 iniziata nel 2020 e con l'invasione russa dell'Ucraina all'inizio del 2022."
Punti di riflessione
L’idea centrale del neoliberismo è che ci sia una forma di relazione naturale all’interno della società umana, la competizione, e che ciascuno di noi non faccia altro che cercare di massimizzare la propria ricchezza e il proprio potere a spese degli altri. Per i neoliberisti l’uomo è, cioè, “homo oeconomicus”. È un’ottima descrizione, ma del modo di ragionare degli psicopatici, l’1 per cento dell’umanità. È invece una pessima descrizione del rimanente 99 per cento. Semplicemente, non ci comportiamo a quel modo. (George Monbiot)
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Per un economista sarà facile essere indotto nella tentazione di credere che il neoliberismo sia "fondamentalmente" un processo di riorganizzazione delle strutture economiche della società e che tutte le altre conseguenze (politiche, antropologiche, sociali, etiche, culturali) siano inevitabili corollari di questo processo di riorganizzazione. (Paul Ginsborg, Sergio Labate)
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Le politiche neoliberiste per la concessione indiscriminata di credito hanno modificato la mentalità e i comportamenti di una larga parte delle società occidentali (USA e UK in testa), sfociata poi nella crisi dei mutui subprime del 2007-2008. Le persone sono state incitate a indebitarsi per acquistare le case degli immobiliaristi, gli abiti dell'industria della moda, i gadget dell'industria digitale, ecc. Il neoliberismo ha spinto molte persone a vivere al di sopra delle proprie possibilità.
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La politica sembra essere diventata un luogo dove s'incontrano persone che fanno della propria autorealizzazione il fine ultimo del proprio impegno, sacrificando ogni costruzione paziente di passioni comuni, facendo coincidere il bene comune con le loro stesse carriere, giustificando così ogni tipo di comportamento, compreso il seguire servilmente il leader: le scimmie machiavelliche tutte intorno al servizio del loro Principe. (Paul Ginsborg, Sergio Labate)
Il neoliberismo è una dottrina economica che tende a ridurre l'influenza dello Stato sull'economia, lasciando che le forze del mercato, guidate dalle regole della concorrenza, regolino l'equilibrio del sistema economico. A partire dagli anni '80 diversi paesi hanno avviato politiche strutturali per incrementare la competizione interna attraverso deregolamentazioni e aprendo le loro economie ai capitali stranieri
Il Neoliberismo e le sue conseguenze sulla società

Negli ultimi anni, diciamo dopo la crisi economica mondiale del 2008 e la ridotta crescita economica nella UE, diversi economisti, politici e sociologi hanno proposto che la causa principale di tale crisi sia attribuibile al "Neoliberismo". Com'è noto, il neoliberismo è una dottrina economica che tende a ridurre l'influenza dello Stato sull'economia, lasciando che le forze del mercato, guidate dalle regole della concorrenza, regolino l'equilibrio del sistema economico. A partire dagli anni '80 diversi paesi hanno avviato politiche strutturali per incrementare la competizione interna attraverso deregolamentazioni e aprendo le loro economie ai capitali stranieri, come riportato dagli economisti del FMI.

La distinzione tra liberismo e liberalismo è esclusivamente italiana dal punto di vista semantico e indica che il liberismo attiene alla sfera economica, e il liberalismo si riferisce invece a tutte le libertà (politiche, religiose, culturali, etiche, ecc). L'Enciclopedia Treccani dà la seguente definizione di neoliberismo:


Indirizzo di pensiero economico che, in nome delle riconfermate premesse dell’economia classica, denuncia le sostanziali violazioni della concorrenza perpetrate da concentrazioni monopolistiche all’ombra del laissez faire e chiede pertanto misure atte a ripristinare la effettiva libertà di mercato e a garantire con ciò il rispetto anche delle libertà politiche.

Questi "nobili" intenti sono stati però vanificati dai "comportamenti reali" di singoli imprenditori, investitori, economisti e politici che hanno usato la libertà senza regole a loro concessa per agire irresponsabilmente. Questa pagina web porterà elementi a supporto di questa tesi.
Tra i vari studiosi che si sono occupati del neoliberismo, il politologo George Monbiot, intervistato dal giornalista Fabio Chiusi (vedi bibliografia), descrive in che modo il neoliberismo si è trasformato in ideologia:

Il “mercato” ci viene presentato come se fosse una qualche situazione neutra e naturale, che non favorisce alcun soggetto in particolare, che ci influenza come la forza di gravità o la pressione atmosferica. Quando ci viene detto “il mercato vuole questo” o “il mercato determina quello”, ciò di cui stiamo in realtà parlando è della serie di soggetti dotati di grande potere che operano all’interno di quei mercati - aziende e miliardari soprattutto. Il modo in cui la parola “mercato” viene usata, però, li rende invisibili.

Inoltre, secondo il sociologo Evgeny Morozov, lo sviluppo dell’economia digitale, a suon di giganti monopolistici sempre più invadenti, lascia intravedere un progetto neoliberista. Infatti, secondo Morozov (vedi bibliografia), in una società sempre più "data-centric" che ha realizzato l'alleanza tra "Neoliberismo" e "Silicon Valley", l'Europa, esclusa per motivi tecnologici da questi giochi, se vuole sopravvivere dovrà reagire legislativamente. La domanda che Fabio Chiusi rivolge a George Monbiot è la seguente: “L’era digitale” non è altro che l’era di un neoliberismo ancora più aggressivo?

Credo sia un’osservazione molto interessante, perché la premessa dell’era digitale è che ciascuno possa parteciparvi allo stesso modo; che ci sia libero accesso a social media, Internet, email. Il che dà davvero l’impressione di conferirci potere e farci partecipare. Ma, come sosteneva Nicholas Negroponte, se un prodotto è gratis significa che il vero prodotto sei tu. Il risultato è che di fatto diventiamo forza lavoro gratuita per i baroni del digitale. In più si crea anche un’impressione di democrazia online che è profondamente fuorviante.
Neoliberismo e sfruttamento delle passioni umane
Il fattore chiave a cui si appellano tutti i neoliberisti (economisti, impresari, politici, ecc) è la libertà di competizione (tra imprese, così come tra persone). La competizione genera però effetti imprevisti sulla società e sugli esseri umani mutandone gradualmente l'indole e le passioni. Come fanno notare lo storico Paul Ginsborg e il filosofo Sergio Labate, autori del libro "Passioni e politica", le passioni vengono utilizzate dal neoliberismo per anestetizzare gli spazi di critica politica e per far accettare le gravi conseguenze di decisioni economiche quali: tagli alle pensioni, allungamento dell'età pensionabile, riduzione di diritti dei lavoratori e, in generale, riduzioni delle tutele dei cittadini. Scrivono Ginsborg e Labate (p. 8):
Le passioni non sono delle scelte nè razionali, nè completamente libere. Si chiamano passioni anche perchè, in qualche modo siamo costretti a subirle. E se ci chiediamo perchè la maggior parte delle persone accetta politiche che un tempo avrebbe rigettato collettivamente, o ritiene necessario il restringimento di buona parte dei diritti, o che sia naturale introdurre un principio di competizione fin nelle aule abitate dai nostri figli, una risposta scomoda ma sincera potrebbe essere questa: perchè noi "vogliamo" competere, "vogliamo" arricchirci, "vogliamo" pensarci come imprenditori di noi stessi.

Ginsborg e Labate mettono in evidenza una caratteristica che è sempre stata presente nella natura umana: la continua lotta, che si svolge nella mente umana, tra egocentrismo e sociocentrismo. Egocentrismo e sociocentrismo si combinano in ogni mente umana, dalla nascita alla morte in vario grado, a formare una percezione del mondo distorta che può essere mitigata solo da un pensiero razionale "conscio".
Il Neoliberismo e i suoi effetti
Il politologo George Monbiot, parlando dell'attacco invisibile alla democrazia che il Neoliberismo ha svolto, dice in una intervista:

Il neoliberismo sostiene che il mercato dovrebbe essere libero dagli interventi distorsivi dei sindacati, che impediscono il realizzarsi di un sistema naturale di vincenti e perdenti. Quel che significa, in realtà, è che i datori di lavoro sono liberi di imporre lo sfruttamento dei loro lavoratori: i salari sono guidati al ribasso, e le condizioni di lavoro si deteriorano. Sostengono che dovrebbero essere liberi da regolamentazioni, il che si traduce nella libertà di inquinare fiumi, costruire strumenti finanziari che causeranno la prossima crisi ed esporre i cittadini a prassi pericolose. Dicono che dovrebbero infine essere liberi dalla tassazione, e quel che significa è essere liberi dalla ridistribuzione della ricchezza che potrebbe portare i poveri al di fuori della povertà e fornire opportunità di mobilità sociale. Le libertà che stanno al cuore dell’ideologia neoliberista sono insomma libertà molto particolari, che liberano alcuni per rendere meno liberi altri.

La natura umana è competitiva o cooperativa?
Secondo lo storico Yuval Harari le narrazioni e i miti hanno creato i legami sociali di società numerose altrimenti ingestibili. Via via che le società si ingrandivano numericamente la cooperazione si sviluppava, sostenuta da codici che fungevano da manuali di cooperazione. Uno dei primi fu il "Codice di Hammurabi" del 1776 a.C che servì da manuale di cooperazione per centinaia di migliaia di antichi Babilonesi, ad esso ne seguirono molti altri fino alle odierne "Costituzioni". Scrive Harari (p. 134):
Tutte queste reti [di cooperazione] - dalle città dell'antica Mesopotamia agli imperi come quello cinese o romano - si fondavano su un'idea di "ordine immaginato". Le norme sociali che sostenevano il presunto ordine non si basavano nè su istinti radicati nè su relazioni personali, quanto sul credere in miti condivisi.

La società in cui viviamo propone la "competizione" come un valore destinato a creare benefici per l'intera società. Questa asserzione è diventato un "luogo comune" (anzi potremmo dire un mito condiviso), ma non è supportata da evidenze empiriche. Ad esempio, una delle aziende di maggior successo (Goretex) mantiene basso il numero di dipendenti delle proprie fabbriche proprio per mantenere alta la cooperazione tra i dipendenti. Inoltre, il pedagogista Alfie Kohn, nel suo libro "No contest: the case against to competition" (vedi bibliografia), ha svolto una meta-analisi su 388 studi (documenti o libri) riguardanti le caratteristiche cooperative/competitive dell'apprendimento scolastico, arrivando alla conclusione che un apprendimento cooperativo è più efficace di uno basato sulla competizione. Tali conclusioni non si applicano solo alla formazione scolastica ma si estendono a varie attività lavorative tra le quali a quello che è il fulcro dell'odierna economia, cioè il marketing. L'economista ed esperto di marketing J. Scott Armstrong nel recensire il libro di Kohn (vedi bibliografia), scrive:

Il libro "No Contest" di Kohn riesamina la ricerca empirica sulla concorrenza. In realtà, molto lavoro è stato fatto per determinare se la concorrenza è migliore della cooperazione e alcuni lavori hanno comparato la concorrenza alla migliore realizzazione di se stessi. La ricerca attinge a molti campi, ma soprattutto all'istruzione, sport, arti dello spettacolo, psicologia. I risultati sono stati coerenti, chiari e sorprendenti: la concorrenza in genere produce minori risultati, minore creatività, performance più povere e ridotta soddisfazione. Certamente ci si aspetterebbe che la concorrenza sia più efficace in alcune circostanze. È sorprendente apprendere quanto sia difficile trovare prove empiriche su situazioni in cui la concorrenza è risultata superiore, specialmente quando si guarda alla gamma di prove esaminate da Kohn.

Sembra dunque che l'essere umano scelga, in ogni periodo storico, a quali miti aderire e quali miti rifiutare per il suo benessere.



I vari gradi della fiducia
I vari gradi della fiducia si trovano tra due estremi: il sospetto generalizzato e la credulità senza limiti. L'economista Paul Zak, inventore del termine "Neuroeconomia (una disciplina che integra Neuroscienza ed Economia), nel corso delle sue ricerche neuroscientifiche, ha avanzato l'idea che alla formazione delle civiltà moderne abbia contribuito la produzione di un ormone che genera fiducia all'interno di organizzazioni umane: l'ossitocina.
Scrive Paul Zak (pp. 8-9):

L'ossitocina innesca quel particolare comportamento caratterizzato da affetto e generosità che in tutte le società del mondo viene considerato "il modo giusto di vivere", quello stile collaborativo, benevolo e prosociale che ciascuna cultura, in ogni angolo del pianeta, descrive come "morale" o "etico". Eppure, ciò non vuol dire che l'ossitocina ci rende sempre buoni, generosi o inclini a dare fiducia al prossimo. In un mondo litigioso e diffidente come il nostro, essere incondizionatamente e fermamente leali e di buon cuore equivale ad andarsene in giro con un cartello sulla schiena con su scritto "prendimi a calci". Al contrario, la Molecola F funziona come una sorta di giroscopio che ci aiuta a mantenere il giusto equilibrio tra un atteggiamento di totale fiducia e un comportamento basato invece sulla cautela e la diffidenza. In questo modo, l'ossitocina fa sì che riusciamo a destreggiarci tra i benefici sociali della lealtà e della bontà - che sono considerevoli - e la ragionevole cautela di cui abbiamo bisogno per evitare di essere ingannati o traditi.
Un apprendimento cooperativo è più efficace di uno basato sulla competizione. Tali conclusioni non si applicano solo alla formazione scolastica ma si estendono a varie attività lavorative tra le quali a quello che è il fulcro dell'odierna economia, cioè il marketing
La natura umana è biologicamente cooperativa o competitiva?
Riguardo al requisito fondamentale della natura umana, cioè se essa sia cooperativa o competitiva, il biologo Edward Wilson scrive, nel suo libro "Il significato dell'esistenza umana" (p. 152):

All'interno del gruppo l'atto egoista di un membro fornisce a chi lo compie un vantaggio competitivo, ma di solito si rivela distruttivo per il gruppo nel suo complesso. Rispetto alla selezione a livello individuale, la selezione di gruppo - in cui un insieme di individui è contrapposto all'altro - opera in senso opposto: quando un membro si comporta in modo cooperativo e altruista riduce, in proporzione, il suo vantaggio nella competizione con gli altri membri del gruppo, ma aumenta il tasso di sopravvivenza e di riproduzione del gruppo nel suo complesso. In breve, la selezione individuale promuove quello che chiamiamo "peccato", mentre la selezione di gruppo promuove la virtù. Il risultato è il conflitto interiore, il conflitto di coscienza, che affligge tutti tranne i sociopatici, i quali fortunatamente, stando alle stime, ammontano solo all'1-4 per cento della popolazione.

Il biologo Roberto Cazzolla Gatti scrive(vedi bibliografia 2020):

L’evoluzione è, dunque, un processo molto più cooperativo di quanto la competitiva epoca Vittoriana, l’industrializzazione e la globalizzazione ci hanno fatto credere sino ad oggi. Queste recenti teorie scientifiche, confermate da studi empirici, dovrebbero motivare la nostra specie a pensare, prima che sia troppo tardi, a come la competizione umana, per la prima volta nella storia della vita sulla Terra, abbia sistematicamente portato all’estinzione di animali e piante. Questi nuovi modelli di evoluzione della cooperazione non solo tentano di spiegare alcuni dei meccanismi che stanno alla base dell’attuale presenza delle miriadi di forme di vita sul pianeta, ma gettano anche nuova luce sulla necessità di periodi di scala temporale sufficiente lunga per generare il numero impressionante di specie che attualmente abitano il nostro pianeta. Se l’umanità non arresta il suo spirito competitivo, che ora possiamo ben definire “innaturale”, nell’eliminazione massiccia delle altre specie e, persino, della diversità umana potrebbero essere necessari miliardi di anni prima che quell’insieme diversificato di esseri viventi che ora chiamiamo biodiversità possa essere rigenerato. E l’aspettativa di vita del nostro Sole non lo garantirà. Cooperare non solo conviene, ma è anche la miglior strategia per garantire la sopravvivenza di quel pianeta cooperativo che chiamiamo Gaia.
Cooperazione o competizione in natura
L’evoluzione è un processo molto più cooperativo di quanto la competitiva epoca Vittoriana, l’industrializzazione e la globalizzazione ci hanno fatto credere sino ad oggi. (Cliccare per approfondire)
Ossitocina: un ormone che regola la fiducia negli altri
Lo psicologo Paul Zak descrive quando e perchè viene rilasciata l'ossitocina nel corpo umano in modo naturale e quali comportamenti adottare per facilitarne il rilascio
Una forzatura commerciale: Ossitocina Spray
L'ossitocina è un ansiolitico naturale che viene prodotta nell'ipotalamo e viene rilasciata dalla ghiandola pituitaria posteriore per entrare nel flusso sanguigno. L'ossitocina sintetica è utilizzata negli ospedali per aumentare le contrazioni durante il parto. Una discutibile operazione commerciale sta cercando di lanciarla negli USA per contrastare lo stress mediante inalatori spray. Ma si tratta di una forzatura che non porta a nulla di buono, come scrive la neurobiologa Bice Chini del CNR (vedi bibliografia): "L'ossitocina aumenta la propensione alla socialità. Ma che la socialità sia una cosa positiva di per sé, è una semplificazione. La propensione al comportamento sociale indotta dall'ossitocina non discrimina la socialità buona da quella cattiva."
L'ossitocina aumenta la propensione alla socialità. Ma che la socialità sia una cosa positiva di per sé, è una semplificazione. La propensione al comportamento sociale indotta dall'ossitocina non discrimina la socialità buona da quella cattiva
Il Neoliberismo ha cambiato il rapporto tra l'uomo e le cose
Il neoliberismo ha modificato il nostro rapporto con le cose, ad esempio attraverso la concessione di prestiti anche a persone che non hanno entrate tali da potersi permettere di ripagarli, come scrive il sociologo Paul Smyth analizzando la situazione britannica (vedi bibliografia). Nell'immagine a fianco viene mostrata la crescita esponenziale del debito privato negli USA che, dall'attivazione delle politiche neoliberista ( a metà degli anni '80) è cresciuto enormemente fino alla crisi dei mutui subprime. Le politiche neoliberiste di concessione indiscriminata di credito hanno portato una parte delle società occidentali a vivere al di sopra delle proprie possibilità.
Com'è noto i "mutui subprime" sono stati una delle cause della crisi finanziaria mondiale del 2007-2008, cioè la concessione di mutui anche agli indigenti per l'acquisto di una casa ma, più in generale, la concessione indiscriminata di credito è stato uno degli strumenti del neoliberismo. L'accesso al credito è stato semplificato molto e sono stati creati strumenti ad hoc quali, ad esempio, la perversione delle carte di credito revolving, che tendono a perpetuare il credito a vita. Nei paesi occidentali tali pratiche hanno portato casi estremi quali quello della figura del "debitore anonimo" che mostra una nuova patologia: quella del "indebitamento compulsivo".
Inoltre, l'obsolescenza programmata dei prodotti ha innescato la perversione della sostituzione: niente più viene riparato perchè costa meno sostituire: la pubblicità ci incita a sostituire i prodotti, non a mantenerli in ordine. Il giornalista Adam Hadhazy (vedi bibliografia) mette in luce l'esistenza di questo meccanismo non più solo per elettrodomestici e computer, ma per i prodotti che oggi ci stanno più a cuore: gli smartphones. Ogni smartphone è progettato per una durata media di due anni, infatti le batterie muoiono e i sistemi operativi, sovraccaricati da sempre nuovi aggiornamenti e applicazioni, rendono obbligatoria la loro sostituzione entro 2-3 anni dall'acquisto. Un nuovo prodotto costa così poco che buttiamo via quelli che abbiamo per sostituirli e intasare il mondo di rifiuti.
Crescita del debito privato negli USA
Vivere al di sopra delle proprie possibilità
Il Neoliberismo incentiva il ricorso al debito anche nei soggetti che non hanno delle entrate tali da permettergli di ripagarlo, ad esempio con le carte di credito di tipo "revolving", cioè quelle che consentono di rimbosare il debito ratealmente.
Il valore delle cose
L'economista e attivista Raj Patel, nel descrivere i meccanismi economici che storicamente hanno portato gli economisti alla cecità delle conseguenze sociali delle loro scelte e alla costruzione mentale dell' "homo oeconomicus", scrive nel suo libro "Il valore delle cose" (p.7):


A provocare la recessione non è stata una lacuna conoscitiva in campo economico, bensì l'eccesso di un particolare tipo di sapere, un'indigestione di spirito del capitalismo. Accecati dai bagliori del libero mercato, abbiamo dimenticato che vi sono altri modi di concepire il mondo. Come scrisse Oscar Wilde oltre un secolo fa: "Al giorno d'oggi la gente sa il prezzo di di tutto e non conosce il valore di niente". I prezzi si sono rivelati guide inattendibili. [...] Una cosa però è chiara: non sarà il pensiero che ha provocato questo disastro a tirarci fuori dai guai.


Le politiche neoliberiste di concessione indiscriminata di credito hanno portato una parte delle società occidentali a vivere al di sopra delle proprie possibilità. La pubblicità ci incita a sostituire i prodotti, non a mantenerli in ordine
Globalizzazione della cultura aziendale: mondializzazione delle coscienze
Il sociologo Christian Salmon, nel libro "Storytelling" esamina in che modo, dalla metà degli anni Novanta, la svolta narrativa delle scienze sociali si è accoppiata all'esplosione di Internet e delle tecnologie dell'informazione, per determinare il trionfo dello storytelling in tutti i campi: marketing, media, management, comunicazione politica, ecc. Secondo Salmon, lo storytelling ha determinato un nuovo ordine narrativo con lo scopo di manipolare le menti e favorire la propaganda politica e commerciale.
In particolare, Salmon si concentra sull'uso dello storytelling nei rapporti di lavoro mostrando la modificazione della cultura aziendale (p. 69):
Dall'inizio degli anni Ottanta la figura del "dirigente" ha ceduto il posto a quella del "manager", poi al "leader" e al "coach", e infine allo "storyteller", i cui racconti parlano al cuore degli uomini e non solo alla ragione, offrendo loro una visione dell'azienda e una fiction che la fa funzionare: "La letteratura di management deve mostrare in cosa il modo prescritto di realizzare guadagni può essere desiderabile, interessante, eccitante, innovatore o meritorio".

Uno dei casi riportati da Salmon riguarda il modo in cui la globalizzazione ha condotto a una mondializzazione delle coscienze spingendo i paesi emergenti verso il modo di vivere e la cultura degli occidentali. Descrivendo i call center indiani (come nel documentario sui call center di Mumbay "John e Jane"), egli scrive (p. 64):
E proprio della funzione pervasiva dei media nel diffondere il pensiero economico dominante come se fosse "pura verità scientificamente provata" ci parla l'economista Éloi Laurent nel libro "Mitologie economiche". Egli svolge la demistificazione del neoliberismo asserendo che esso è "una modernità superata: pretende di essere una spinta permanente al cambiamento e alla riforma, invece racchiude gli individui e i gruppi nel mondo così com’è, screditando le dissidenze e soffocando i pensieri nuovi”.


I dipendenti locali della Tesco, per esempio, vengono formati per essere perfettamente aggiornati sull'attualità politica e sportiva dell'Inghilterra, per poterne parlare con i clienti". Allo stesso modo, come riporta Samir Mallal, coautore (con Ben Addelman) del documentario Bombay calling, "alcuni impiegati arrivano a imparare a memoria i risultati delle partite di baseball per potere scherzare con i clienti americani". Ma il migliore strumento della mondializzazione delle coscienze sono le serie televisive americane, somministrate sistematicamente ai dipendenti dei call center indiani.
La carica distruttiva del neoliberismo nei comportamenti politici
Negli ultimi anni, dopo il crollo delle ideologie, sono stati fatti in Europa molti tentativi di costruzione di nuovi soggetti collettivi (in Italia i Girotondi, il popolo viola, ecc) o di aggregazione di partiti di sinistra. Questi tentativi sono stati vanificati da fattori creati dal neoliberismo, come scrivono Ginsborg e Labate nel libro "Passioni e politica" (p. 9):

Questi tentativi di costruzione di soggetti collettivi sono stati vanificati da un vizio passionale, un eccesso d'egoismo o d'arroganza? Molto più che per motivi ideali, il loro insuccesso è spesso causato da una competizione tra primedonne, da un'identificazione con il leader che finisce per diventare una specie di servitù volontaria, da una lotta il cui fine è l'accrescimento della propria vanità e del proprio potere, da una diffidenza astuta esercitata anche nei confronti dei propri compagni, che spesso finisce per trasformare la necessaria condivisione in inimicizia.

La cultura della "corruzione" è lo sbocco naturale del neoliberismo, come fanno notare Ginsborg e Labate (p.85 e 117):

La politica sembra essere diventata un luogo dove s'incontrano persone che fanno della propria autorealizzazione il fine ultimo del proprio impegno, sacrificando ogni costruzione paziente di passioni comuni, facendo coincidere il bene comune con le loro stesse carriere, giustificando così ogni tipo di comportamento, compreso il seguire servilmente il leader: le scimmie machiavelliche tutte intorno al servizio del loro Principe.

Siamo molto vicini all'affettività malata, che considera la sfera pubblica terra di saccheggio, non fonte di vantaggi collettivi. Chi si pone al servizio dei patroni, spesso in mancanza di alternative, per forza deve comportarsi come una scimmia machiavellica. Bisogna però notare che nel clientelismo non alberga solo servilismo ma anche una delle passioni più sentite: la lealtà.

Quante volte abbiamo sentito usare, da parte di qualche politico scoperto a delinquere, la giustificazione "Se lo fanno tutti perchè non posso farlo io?", inaugurata da Bettino Craxi al processo Tangentopoli. La cultura dell'assenza di regole favorita dal Neoliberismo ha portato la mancanza di senso etico a estendersi dalla società alla politica e viceversa.
Your freedom ends where mine begins.
Okay, I'll buy it.
La politica sembra essere diventata un luogo dove s'incontrano persone che fanno della propria autorealizzazione il fine ultimo del proprio impegno, sacrificando ogni costruzione paziente di passioni comuni, facendo coincidere il bene comune con le loro stesse carriere
Potere e Neoliberismo
potere politico
Il Neoliberismo ha legittimato l'eccitazione per un potere che si manifesta come un dominio della realtà in cui si esprime: coloro che, per spinte politiche ricevono un incarico non si chiedono mai se ne sono veramente degni.
Scrivono Ginsborg e Labate (p. 87):

La politica contemporanea  ha sostituito la dignità con la reputazione. Più spesso ha legittimato l'idea che non vi sia alcuna necessità di essere degni del potere, che il potere si legittimi da sé - il che è esattamente ciò che non dovrebbe accadere in democrazia. Così la logica del dominio si estende senza cura della responsabilità. [...] Questa eccitazione per un potere che si legittima da sé, senza che ci si chieda cosa ci faccia esserne degni, e che, di conseguenza, si manifesta sempre come un dominio sembrerebbe essere una delle passioni più utilizzate dal neoliberismo per fissare la realtà come essa è.
La Mafia moderna è neoliberista
Il magistrato Roberto Scarpinato, a 25 anni dall'uccisione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha descritto la metamorfosi avvenuta in Cosa Nostra dalla prima alla seconda Repubblica, indirizzata verso il mercato. Scrive Scarpinato (vedi bibliografia Roberto Galullo):

La crisi economica ha avuto ripercussioni nella mafia tradizionale ma nello stesso tempo le componenti più dinamiche della mafia hanno capito che è finito il tempo della prima Repubblica e cavalcando in modo spregiudicato la nuova cultura del mercato si sono riconvertite in agenzie che soprattutto nei territori del centro nord offrono sul libero mercato beni e servizi illegali per i quali, soprattutto dopo la globalizzazione, è esplosa una domanda di massa alimentata da migliaia e migliaia di cittadini normali che chiedono droga, prostituzione, gioco d'azzardo, tabacchi detassati, beni contraffatti e da parte delle imprese servizi che contribuiscono ad abbattere i costi d'impresa.
La politica contemporanea  ha sostituito la dignità con la reputazione. Più spesso ha legittimato l'idea che non vi sia alcuna necessità di essere degni del potere, che il potere si legittimi da sé - il che è esattamente ciò che non dovrebbe accadere in democrazia
Il Neoliberismo è insostenibile? Anche gli economisti del FMI incominciano a dirlo
L'immenso peso dell'evidenza sta piegando i fautori dell'austerità?

Nel giugno 2016 è stato pubblicato un articolo redatto da tre economisti di punta del FMI (vedi bibliografia Jonathan Ostry et Al.) nel quale, per la prima volta, le valutazioni su vantaggi e svantaggi delle politiche neoliberiste si discostano dalle opinioni del passato del Fondo Monetario Internazionale. Già dal titolo ("Neoliberalismo: ipervenduto?") si intuisce l'attacco frontale alle riforme neoliberiste che vengono ritenute dannose perchè distruggono le condizioni strutturali della crescita economica. In particolare, nel testo si afferma che i due pilastri su cui poggiano le politiche neoliberiste, cioè una maggiore concorrenza (ottenuta attraverso la deregolamentazione e l’apertura dei mercati, incluso i finanziari) e un ruolo minore per lo Stato (con privatizzazioni e vincoli alla capacità di sostenere deficit e debiti), hanno alterato le precondizioni per la crescita economica. (vedi Chart1)


Sulle politiche di austerità conseguenti alle pressanti richieste di riduzione del debito (ad esempio mediante l'imposizione del fiscal compact), gli autori scrivono:


Le politiche di austerità non solo generano notevoli costi di welfare dovuti ai canali di fornitura, ma hanno anche ridotto la domanda e così peggiorato l'occupazione e incrementato la disoccupazione.


Sull'incremento delle diseguaglianze determinato dalle politiche neoliberiste gli autori scrivono:


L'evidenza del danno economico derivante dalla diseguaglianza suggerisce che i responsabili politici dovrebbero essere più aperti di quanto sono alla ridistribuzione. Naturalmente, a parte la ridistribuzione, le politiche potrebbero essere progettate per mitigare alcuni degli impatti in anticipo, ad esempio, attraverso una maggiore spesa per istruzione e formazione, che espande l'eguaglianza di opportunità (le cosiddette politiche di predisposizione). E le strategia per il consolidamento fiscale, quando necessarie, potrebbero essere progettate per ridurre al minimo l'impatto negativo sui gruppi a basso reddito.


Il documento si conclude con una strana esortazione ad abbandonare la "fede" nel Neoliberismo e attenersi alla realtà dei fatti, cioè alle conseguenze negative che le politiche neoliberiste hanno determinato:

I politici e le istituzioni come il FMI che li consigliano, devono essere guidati non dalla fede, ma dalla evidenza di ciò che ha funzionato.
Indice di competizione
A partire dagli anni '80 vari paesi hanno adottato politiche strutturali per incrementare la competizione interna attraverso deregolamentazione e aprendo le loro economie ai capitali stranieri. L'immagine mostra l'indice di competizione composito delle politiche strutturali che i paesi hanno adottato per incrementare la competizione. Il valore zero indica la completa assenza di competizione, il valore 1 una competizione senza alcuna restrizione.
Rischio di crisi e incremento delle diseguaglianze
FMI
Il grafico a sinistra mostra l'incremento di probabilità di una crisi finanziaria durante un aumento degli afflussi di capitale (basato su 165 episodi in 53 paesi emergenti tra il 1980 e il 2014).
Il grafico a destra mostra l'incremento dell'indice di Gini delle diseguaglianze di reddito quando la liberalizzazione dei movimenti di capitale è seguita da una crisi oppure no.
L'evidenza del danno economico derivante dalla diseguaglianza suggerisce che i responsabili politici dovrebbero essere più aperti di quanto sono alla ridistribuzione.
Riduzione della povertà estrema
La linea di povertà estrema è stata modificata nel 2015: una persona viene considerata estremamente povera se vive con 1,9$ al giorno.
La distruzione della classe media: distribuzione ricchezza in USA 1917 - 2015
Il grafico mostra come, a partire dagli anni '80 del Novecento, che corrispondono all'attivazione delle politiche neoliberiste negli USA, da parte delle amministrazioni Reagan (1981-1989), Bush sr (1989-1993), Clinton (1993-2001), Bush jr (2001-2009) e Obama (2009-2017), è avvenuta la distruzione della classe media americana, verso una situazione che ricorda quella descritta da George Orwell in 1984.
A partire dall'insediamento di Reagan (1981) la ricchezza dello 0,1% della popolazione americana più ricca è aumentata dall'8% al 22%, mentre la ricchezza del 90% della popolazione americana più povera è diminuita dal 34% al 23%.
Distribuzione della ricchezza 2016
Anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ritiene dannose le riforme neoliberiste perchè distruggono le condizioni strutturali della crescita economica. A partire dagli anni '80 del Novecento, che corrispondono all'attivazione delle politiche neoliberiste negli USA, da parte delle amministrazioni Reagan (1981-1989), Bushsr (1989-1993), Clinton (1993-2001), Bushjr (2001-2009) e Obama (2009-2017), è avvenuta la distruzione della classe media americana
Bucchi
I have faith in the existence of the supreme having
Il coronavirus e i mercati finanziari: siamo a Sarajevo 1914
Secondo Limes: La pallottola è la pandemia. L’arciduca Francesco Ferdinando è il neoliberismo. O cambia il sistema o soccombiamo tutti. A partire dall’Europa.
La reciprocità è un segno d'intelligenza
Dilemma del prigioniero: la teoria dei giochi ci dice che c'è un solo equilibrio (confessa, confessa), anche se non è il risultato ottimale dal punto di vista del singolo
La cooperazione e il "dilemma del prigioniero"
Vi sono sempre stati individui che vogliono godere dei benefici della socialità senza pagarne i costi, e questo problema è aumentato via via che le società si ingrandivano e si disperdevano su territori più ampi. L'esigenza di non essere ingannati dagli altri tende a creare sospetti verso gli sconosciuti e a non offrire la propria cooperazione se non dopo avere verificato la correttezza dell'altro. Gli antropologi Magnus Enquist e Olof Leimar (ved. bibliografia), sostengono che negli animali la cooperazione è limitata a poche specie mentre negli umani la cooperazione è all'origine del loro successo evolutivo nonostante vi siano sempre stati individui antisociali che cercano di non ricambiare i favori.
Uno dei modelli teorici per valutare la reciprocità è quello del "Dilemma del prigioniero", formalizzato da Albert W. Tucker e descritto da Cristina Scarcella (ved. bibliografia), di cui riportiamo la descrizione:


Due sospettati, A e B, sono arrestati dalla polizia. La polizia non ha prove sufficienti per trovare il colpevole e, dopo aver rinchiuso i due prigionieri in due celle diverse, interroga entrambi offrendo loro le seguenti prospettive: se uno confessa (C) e l'altro non confessa (NC) chi non ha confessato sconterà 10 anni di detenzione mentre l'altro sarà libero; se entrambi non confesseranno, allora la polizia li condannerà a un solo anno di carcere; se invece, confesseranno entrambi la pena da scontare sarà pari a 5 anni di carcere. Ogni prigioniero può riflettere sulla strategia da scegliere tra, appunto, confessare o non confessare. In ogni caso, nessuno dei due prigionieri potrà conoscere la scelta fatta dall'altro prigioniero.


C'è dunque un dilemma: confessare o non confessare. La teoria dei giochi ci dice che c'è un solo equilibrio (confessa, confessa). Anche se non si tratta della scelta ottimale dal punto di vista del singolo decisore, la reciprocità si dimostra la scelta migliore anche quando ci si trova all'interno di un gioco non-cooperativo (cioè quando i due partecipanti non si trovano nelle condizioni per mettersi d'accordo).
Conclusioni (provvisorie): è possibile sconfiggere il Neoliberismo?
Dato che il Neoliberismo sollecita le peggiori tendenze di ognuno, incitando al possesso, all'egoismo e alla competizione sfrenata, sarà possibile ridurne l'influenza?
Il Neoliberismo ha impiegato 30-40 anni per diventare un fenomeno culturale pervasivo. Per ottenere risultati degni di nota probabilmente occorre che esso fallisca sul piano economico, come gli economisti del FMI hanno ipotizzato. Quindi sono da prevedere tempi lunghi come per ogni processo culturale di ampia portata. Inoltre il Neoliberismo viene favorito dalle tecnologie di Rete, dai social media e dalla dipendenza umana dalla messe di prodotti digitali che verranno immessi sul mercato dagli attori della Silicon Valley (smartphones, digital glasses, wearables, ecc): secondo il sociologo Evgeny Morozov si tratta dei prodotti che schiavizzeranno progressivamente l'intera umanità a fini commerciali.
Un risveglio delle coscienze potrebbe verificarsi a causa della futura perdita di posti di lavoro causati dalla robotizzazione dell'economia descritta, ad esempio, nel report "The future of jobs and jobs training" del Pew Research Center (vedi bibliografia).
Inoltre, secondo i politologi Daniel Bessner e Matthew Spark (vedi bibliografia), non bisogna farsi abbagliare dalle esternazioni contro la globalizzazione di Donald Trump (quando era presidente USA e se ritornerà ad esserlo) che tentano di mascherare una sfrenata attività neoliberista che egli condurrà. Essi scrivono:

E' utile capire le implicazioni politiche del neoliberismo nei termini di 10 norme che hanno definito la sua pratica storica. Queste norme iniziano con la liberalizzazione del commercio e si estendono all'incoraggiamento delle esportazioni; all'attirare investimenti stranieri; alla riduzione dell'inflazione; alla riduzione della spesa pubblica; alla privatizzazione dei servizi pubblici; alla deregolamentazione dell'industria e della finanza; alla riduzione e appiattimento delle imposte; alla restrizione della organizzazioni sindacali; e, infine, al rafforzamento della proprietà in generale e della proprietà del suolo. I politici non devono necessariamente professare la fede in tutte queste norme per essere considerati neoliberisti. Piuttosto, essi devono accettare la logica generale del neoliberismo basato sul mercato e la sua promessa di opportunità. Quando si confrontano questi 10 comandamenti neoliberisti con l'agenda politica di Trump, diventa chiaro che il presidente è molto più neoliberista di quanto la sua retorica populista suggerirebbe.

Riguardo all'Europa, non bisogna neanche lasciarsi fuorviare dalle dichiarazione di Emmanuel Macron il quale, secondo l'economista Dani Rodrik, si caratterizza così (vedi bibliografia):

Le idee economiche di Macron non si prestano a una facile caratterizzazione. Durante la campagna per le presidenziali, egli è stato spesso accusato di scarsa concretezza. Per molti, sia di sinistra che dell’estrema destra, Macron è un neoliberista con poche differenze rispetto alle politiche tradizionali di austerità che hanno tradito l’Europa trascinandola nell’attuale impasse politica. L’economista francese Thomas Piketty, che ha sostenuto il candidato socialista Benoît Hamon, ha descritto Macron come uno che rappresenta «l’Europa di ieri». Molti dei progetti economici di Macron hanno effettivamente un’impronta neoliberista. Egli ha promesso di abbassare l’aliquota dell’imposta sulle società dal 33,5% al 25%, tagliare 120mila posti di lavoro nella pubblica amministrazione, mantenere il deficit pubblico al di sotto del tetto del 3% del Pil fissato dall’Ue, e aumentare la flessibilità del mercato del lavoro (un eufemismo per rendere più facile licenziare i lavoratori).

Secondo l'Economist (vedi bibliografia), il Neoliberismo ha avuto successo nel ridurre la povertà estrema nel mondo, e questo successo è attribuibile per due terzi alla sola Cina: ci sono molti più ricchi ma anche molti meno poveri. Intanto, mentre Trump abbaia contro la globalizzazione e agisce per estendere il neoliberismo nel mondo, nel 2016 la distribuzione della ricchezza nel mondo e la diseguaglianza sociale (vedi grafico a fianco) hanno raggiunto nuovi record: lo 0,7% della popolazione possiede il 45,6% della ricchezza mondiale, mentre il 99,3% ne possiede il 54,4%. Tutto ciò mentre una classe media (individui con reddito tra 10.000 e 100.000$) sempre più ridotta (18,5%) possiede una quota sempre più esigua della ricchezza (11,4%).
Il neoliberismo sostiene che il mercato dovrebbe essere libero dagli interventi distorsivi dei sindacati, che impediscono il realizzarsi di un sistema naturale di vincenti e perdenti. Le passioni vengono utilizzate dal neoliberismo per anestetizzare gli spazi di critica politica e per far accettare le gravi conseguenze di decisioni economiche quali: tagli alle pensioni, allungamento dell'età pensionabile, riduzione di diritti dei lavoratori e, in generale, riduzioni delle tutele dei cittadini
La razionalità richiede impegno personale!
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Libri consigliati
a chi è interessato a capire le conseguenze delle politiche neoliberiste
Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

Pagina aggiornata il 7 giugno 2023

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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