I fatti esistono, le notizie si creano.
Spesso, certe notizie vengono inventate, altre invece non vengono diffuse.
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Il concetto di notizia sta cambiando: prima le notizie erano scelte in base a ciò che era importante per le Redazioni (agenda building).
Oggi invece molte fonti competono per raggiungere gli utenti con le loro notizie e lo fanno in modo "adattivo", cioè adattandosi, non solo agli interessi del singolo utente, ma anche alle sue modalità di fruizione.

You're wrong, everyone has to make their contribution to society
La metamorfosi dell'informazione è stata avviata dalla introduzione delle applicazioni del Web 2.0 che favoriscono la condivisione delle informazioni, l'interoperabilità e la collaborazione tra utenti. Le applicazioni del Web 2.0 permettono agli utenti di interagire attivamente all'interno di una comunità virtuale scambiandosi contenuti generati da loro stessi, in contrasto con il precedente assetto nel quale gli utenti erano solo consumatori passivi di contenuti pubblicati da altri. Tali criteri hanno modificato alla radice il concetto di giornalismo, infatti i costi di pubblicazione di una notizia sono oggi così bassi da permettere a chiunque di diventare un autore. The American Press Institute ha analizzato la metamorfosi del giornalismo convenzionale pubblicando i risultati nel 2003 in un report scaricabile qui.
Questo diagramma mostra la simbiosi del giornalismo tradizionale e di quello partecipativo, così come è stata graficamente rappresentata da Shayne Bowman e Chris Willis nel rapporto "We Media" commissionato, nel 2003, a "The American Press Institute". Oggi questa simbiosi, che nel 2003 veniva osteggiata dalla stampa tradizionale, sembra già completata. (Cliccare per ingrandire)
Nicholas Kristof, un famoso giornalista del New York Times, pioniere dell'introduzione dell'uso dei social networks nel giornalismo tradizionale, ha rilasciato il 21 gennaio 2012 un'intervista chiarificatrice, di cui riportiamo un brano:
Intervistatore: Cosa ne pensi della tua interazione con i social media?
Nicholas Kristof: Tendo a considerarli come strumenti molto informali, ma imparo molto da loro, soprattutto da Twitter. Durante la Primavera araba ho saputo un sacco di cose da Twitter. Non è che credessi a priori a quelle informazioni, ma mi hanno dato idee sulle domande da porre. Si possono davvero imparare delle cose dal buon senso delle folle. Quando stavo andando ad Haiti ero alla ricerca di cose interessanti di cui scrivere, così ho chiesto alla gente su Twitter e Facebook ed ho ottenuto delle grandi risposte, che poi ho utilizzato nel mio lavoro.
Intervistatore: Si tratta di un cambiamento rivoluzionario nel giornalismo o di uno sviluppo più naturale?
Nicholas Kristof: Per certi versi è solo un adattamento dei tradizionali parametri di approccio giornalistico. Prima solitamente sentivo un gruppo di esperti per sapere chi avrei dovuto intervistare ad Haiti. Lo faccio ancora, ma ora invio richieste anche tramite i social media. Un cambiamento che è in incremento. Stiamo passando da un formato in cui noi “proclamiamo le notizie” al mondo su una tabella fissa ad uno dove conversiamo con il mondo su base 24/7. E’ un cambiamento significativo. Non credo che quello che faremo fra 20 anni sarà molto simile a quello che stiamo facendo oggi. Non penso che gli opinionisti si dovranno limitare a due articoli da 780 parole a settimana.
Intervistatore: C’è un grosso dibattito sul ruolo dei social media nel giornalismo, specialmente da parte delle maggiori testate della carta stampata. Mentre il Times stava sviluppando strategie e politiche, lei ha immediatamente iniziato a metterle in pratica. Perché?
Nicholas Kristof: Nella storia del processo di industrializzazione, le persone che padroneggiavano una tecnologia tendenzialmente non erano le stesse che avrebbero dominato la tecnologia successiva. I costruttori di diligenze non hanno prodotto le automobili. Quelli dei veicoli a motore non erano gli stessi che hanno sviluppato i treni. E questi ultimi non erano quelli delle compagnie aeree e così via. Questa è una cosa a cui penso con preoccupazione per quanto riguarda le piattaforme giornalistiche. E questa è la ragione per la quale sono disposto a fare sperimentazioni con i nuovi media e le piattaforme così come via via si presentano. Alcuni di essi sembrano vicoli ciechi, spesso non sono molto bravo a riconoscerli. Credo ci sia una naturale tendenza ad essere molto orgogliosi della propria piattaforma esistente e ad essere un po’ scettici verso le nuove tecnologie. Ma penso sia utile respingere lo scetticismo e provare cose nuove.
La metamorfosi del sistema mediatico è stata accelerata dalla disponibilità di aggregatori web, basati sul formato RSS (really simple syndication), che hanno permesso di aggregare automaticamente notizie dai giornali online di tutto il mondo o di specifiche aree geografiche, creando degli "internet newspaper" (es: Google News dal 2002). Successivamente (dal 2010 per Google News) è stato fatto un passo avanti rendendo la scelta dei contenuti personalizzabile dall'utente. Oggi sono disponibili molti aggregatori personalizzabili dagli utenti che, oltre ad annullare il tempo necessario per controllare gli aggiornamenti dei contenuti dei websites, creano rapidamente in un unico spazio una sorta di "giornale personalizzato" (es: Newscred, Drupal, Feedreader, Flipboard, Zite, ecc). Essi permettono l'aggregazione di contenuti in vari formati (testi, immagini, audio, video).
La tendenza giornalistica del 2014, accreditata dalla giornalista Cory Haik del Washington Post (notizie che anticipano i bisogni del lettore) è il cosiddetto "giornalismo adattivo": i giornalisti digitali devono usare tutti i mezzi tecnologici che il web mette oggi a loro disposizione (conoscenza del tipo di dispositivo dell'utente, geotagging, metadata, ecc.), per creare le notizie personalizzate per i loro utenti. Ecco un esempio, portato dalla Haik:
Secondo la Haik questa capacità di "adattarsi" è una grande speranza per il giornalismo del futuro. Ciò significa che i giornali del futuro, per decidere quali notizie trasmettere (ad ogni utente), dovrebbero capire dalle modalità di accesso alle loro informazioni cosa l'utente sta facendo in quel momento e dove si trova: domenica sera sul divano con un tablet in mano, o in aeroporto con lo smartphone ancora acceso prima di imbarcarsi, in quale luogo ha consultato il proprio social network o da quale luogo ha ricevuto messaggi, tweet o post...Se l'utente sta guardando l'evento in TV e contemporaneamente sta consultando un aggregatore di news (esempio: BlogXY) sul suo smartphone, l'aggregatore (BlogXY) dovrebbe "inferire" che l'utente sta guardando l'evento in TV e inviargli in tempo reale commenti sull'evento inviati da altri utenti. Oppure, se l'utente sta consultando sul proprio desktop le news (del BlogXY), quest'ultimo, "inferendo" che l'utente non sta guardando la TV, dovrebbe assicurargli la copertura video dell'evento sul desktop.
Questo scenario neanche tanto futuribile conferma le preoccupazioni sulla sorveglianza sociale sollevate dal Datagate.
Nella trasformazione in corso nel Sistema Mediatico globale tutti i media tradizionali stanno facendo grandi sforzi per modernizzarsi.
Per capire in quale modo le nuove tecnologie vengono introdotte all'interno dei media tradizionali prendiamo il caso di una trasmissione radiofonica quotidiana che va in onda da molti anni.
La giornalista Marina Petrillo, responsabile del programma Alaska che è andato in onda su Radio Popolare per molti anni fino al novembre 2014, presentava inchieste giornalistiche su grandi eventi sociali di tutto il mondo (ad esempio: nel 2010 il disastro ambientale della piattaforma petrolifera BP, nel 2011 le rivoluzioni arabe in Nordafrica). Si trattava di temi nei quali l'aggiornamento rapido delle fonti era vitale, così Marina Petrillo nel 2010 decise di incominciare a seguire sui social networks le informazioni inviate dai blogger/attivisti politici presenti sul campo.
La Petrillo incominciò a usare soprattutto Twitter perchè su questo mezzo le notizie arrivano tre ore prima che sulle agenzie di stampa internazionali. La selezione e l'interpretazione di una massa enorme di micronotizie mise a dura prova le sue capacità giornalistiche, ma alla fine riuscì a costruire una Twitter List di reporter specializzati e di attivisti locali "attendibili".
In tal modo le sue trasmissioni venivano quotidianamente alimentate da notizie fresche che la Petrillo contestualizzava e commentava con efficacia riuscendo a emozionare gli ascoltatori. Per chi volesse conoscere qualche dettaglio in più sull'esperienza di Alaska può leggerla sul magazine online IlPost.
è meglio un giornalismo completamente umano o supportato dall'intelligenza artificiale? Dotandoci di un po' di "cinismo" per quanto concerne il problema economico, sarebbe meglio un giornalismo in grado di offrire al mondo le notizie più approfondite, non soggette a bias politici e razziali e basate su fonti autorevoli. Per raggiungere questo obiettivo, allora, servirebbe il supporto dell'IA non solo per aiutare il redattore umano nella ricerca di fonti e nella stesura e correzione dell'articolo, ma anche per controllare la sua attività.
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Pagina aggiornata il 4 febbraio 2021