Negli anni 1950-60 il fisiologo russo Alfred Yarbus dimostrò sperimentalmente che la visione è un processo attivo costituito da molti movimenti oculari (per ogni secondo). Durante la visione vengono selezionate e ripetutamente scansionate solo alcune parti dell'immagine: quelle che presentano il maggior contenuto informativo.La visione dell'occhio umano avviene nella fovea (un'area di circa 1,5 mm di diametro, densa di fotorecettori, posta al centro della retina). I movimenti oculari, denominati saccadi, devono dirigere gli elementi della scena da visionare all'interno della fovea (durante questi movimenti non c'è visione); qui stazionano in punti di fissazione e il processo si ripete con nuove saccadi che fissano lo sguardo sulle parti che presentano il maggior contenuto informativo.
A metà Ottocento il fisico e medico tedesco Hermann von Helmholtz cominciò a nutrire il sospetto che il rivolo di dati che fluiva dagli occhi al cervello fosse troppo piccolo per spiegare fino in fondo la ricca esperienza della visione. Egli concluse che il cervello evidentemente formulava assunti sui dati in arrivo e che quegli assunti si basavano sull'esperienza precedente del soggetto. In altre parole, data una piccola quantità di informazioni, il cervello usa le proprie opinioni per trasformarla in una serie di informazioni più ampia. (David Eagleman - In incognito p.38)

In una storica immagine riprodotta qui a fianco, prodotta da Yarbus nel 1967 con mezzi sperimentali oggi superati, si vede la foto del busto della regina egiziana Nefertiti (1370 A.C.) e il tracciato delle saccadi e dei punti di fissazione rilevati su un osservatore.
La distribuzione spaziale dei punti di fissazione mostra che la maggior parte del tempo è dedicata a guardare occhi, naso, bocca e orecchio, mentre gli altri elementi del volto, quali guancia e collo, vengono invece visualizzati per un tempo inferiore.
Il confronto tra le due immagini mostra che il cervello umano ha bisogno di pochissimi punti per ricostruire l'immagine completa basandosi soprattutto sulle esperienze passate del soggetto e sulle sue aspettative.
Se "vedessimo" quello che in realtà c'è, probabilmente ci spaventeremmo. Scrive lo psicologo cognitivo Stanislas Dehaene (Coscienza e cervello p.91):
Noi non vediamo il mondo come lo vede la nostra retina. Infatti, sarebbe una visione assolutamente orribile: un insieme ampiamente distorto di pixel chiari e scuri, che esplodono verso il centro della retina, mascherato da vasi sanguigni, con un grande buco in corrispondenza del "punto cieco" da dove partono i fasci nervosi diretti verso il cervello; l'immagine sarebbe costantemente appannata, e cambierebbe con il movimento del nostro sguardo. Ciò che vediamo, invece, è una scena tridimensionale, corretta dai difetti della retina, rammendata in corrispondenza del punto cieco, stabilizzata per il nostro occhio e per i movimenti della testa, e reinterpretata enormemente sulla base della nostra precedente esperienza di scene visive analoghe.
Il punto cieco di ogni occhio (fovea) è quella parte della retina, priva di fotorecettori, corrispondente all'innesto del nervo ottico. La lacuna non viene notata perchè il nostro cervello riempie l'area vuota attingendo alle esperienze precedenti del soggetto e alle proprietà (forma e colore) dello spazio intorno alla lacuna.
Questa caratteristica della visione umana venne scoperta nel 1668 dal fisico Edme Mariotte che, sperimentalmente, si rese conto che ognuno dei nostri occhi ha un punto cieco (a destra nell'occhio destro e a sinistra in quello sinistro). Per verificarlo coprite l'occhio sinistro e fissate con l'occhio destro la croce nell'immagine sottostante. Muovendo lentamente la testa avanti e indietro rispetto allo schermo si scoprirà una posizione in cui il puntino scompare. Analogamente, per l'occhio sinistro, coprite l'occhio destro e ripetete l'operazione fissando il puntino dell'immagine: in una certo momento davanti allo schermo la croce posta a sinistra scomparirà.

Il neuroscienziato David Eagleman, che ha svolto ricerche sperimentali sui limiti della percezione umana, sostiene che ciò che ogni uomo riesce ad esperire è limitato dalla sua biologia. Questi limiti fanno sì che ogni organismo percepisca solo una piccola parte dell'ambiente in cui vive ma crede che sia tutta la realtà ignorando tutto ciò che non percepisce. Affinchè un essere umano possa " vedere " qualcosa devono esserci delle connessioni tra i dati in arrivo attraverso la retina e le sue aspettative.
Eagleman porta molti esempi delle nostre errate convinzioni sulla percezione nel libro 'In incognito - La vita segreta della mente'. In merito alla teoria della percezione egli scrive (pp. 50-51 e p.57):
Secondo la teoria tradizionale della percezione, i dati sensoriali affluiscono al cervello facendosi strada lungo la gerarchia sensoriale per tradursi in sensazioni visive, uditive, gustative, tattili, insomma "percezioni". Ma da un'analisi più attenta dei dati risulta che questa visione è scorretta.
Il cervello è considerato, a ragione, un sistema chiuso che funziona in base a un'attività generata internamente. Conosciamo già molti esempi del fenomeno: le operazioni di respirare, digerire e camminare sono controllate da generatori di attività che si trovano nel tronco cerebrale e nel midollo spinale e che funzionano in maniera autonoma. Durante il sonno REM il cervello è isolato dai suoi normali input, sicchè l'attivazione interna è l'unica fonte di stimolazione corticale. Nello stato di veglia l'attività interna è la base dell'immaginazione e delle allucinazioni. L'aspetto più sorprendente dello scenario è che i dati interni non sono 'generati', bensì 'modulati' dai dati sensoriali esterni.La percezione riflette il confronto attivo tra input sensoriali e predizioni interne, e ci consente di capire un concetto più ampio: la consapevolezza del nostro ambiente insorge solo quando gli input sensoriali violano le 'aspettative'. Quando il mondo è previsto con esattezza, la consapevolezza non è necessaria, perchè il cervello fa bene il suo lavoro.
E' il nostro cervello, dunque, che crea la realtà percepita, modulando i dati sensoriali in funzione delle aspettative individuali. Scrive Eagleman (p.62):
Il cervello formula assunti e cerca di vedere il mondo solo nella misura in cui gli occorre vederlo. E quando ci rendiamo conto che non siamo consci di quasi nessuna delle cose che ci circondano finchè non ci facciamo domande in merito, abbiamo compiuto il primo passo del nostro viaggio di autoesplorazione. Riconosciamo che la nostra percezione del mondo esterno è generata da zone del cervello a cui non abbiamo accesso.
Noi siamo coscienti solo di una parte infinitesima delle operazioni che facciamo. Riguardo alla visione, la nostra esperienza cosciente ci dice che vedere è semplice, ma questa apparente semplicità è ingannevole. La nostra retina è un matrice bidimensionale di cellule fotosensibili che riveste la parte posteriore interna del bulbo oculare. Capire che nel mondo esistono oggetti tridimensionali dipende dalle reazioni chimiche attivate dalla luce che colpisce queste due matrici bidimensionali di celle. Si tratta di un meccanismo così complesso da riprodurre che l'uomo non c'è ancora riuscito. Si vede con il cervello, non con l'occhio, come spiegano gli psicologi evoluzionisti (ved. Leda Cosmides bibliografia)
Una ricerca condotta dalla ricercatrice Gitte Landgaard ha dimostrato che un gruppo di volontari, sottoposti alla visualizzazione flash di un centinaio di website, ha maturato un'opinione inconscia (positiva o negativa) su ognuno di essi, in un tempo di circa 50 millesimi di secondo. A supporto delle sue ricerche la Landgaard cita i risultati di alcuni studi neurofisiologici (Damasio 2000, LeDoux 1992, Ekman 1992), che hanno evidenziato come, in presenza di uno stimolo visivo il sistema limbico (cioè il nostro cervello emotivo), viene interessato prima che questo stimolo possa essere interpretato dalla neocorteccia (il nostro sistema cognitivo).
Quando una persona guarda la pagina di un website, il suo sguardo impiega alcune decine di secondi prima che egli possa maturare un'opinione conscia del suo interesse per quella pagina. In un tempo molto più breve, la stessa persona ha però maturato un'opinione inconscia del suo gradimento estetico, indipendente dalla qualità e usabilità di quel website. Se ne deduce che, per un website, presentare dei contenuti di qualità non è sufficiente a determinare giudizi positivi, ma occorre considerare anche l'aspetto grafico, strutturale, cromatico, ecc. A questo riguardo i risultati in Tab.1 della ricerca di BJ Fogg diventano comprensibili.
Quindi il vecchio pregiudizio "la prima impressione è quella che conta" si dimostra vero anche per i website, e questo effetto, che gli psicologi hanno denominato "Halo effect", permane nel tempo.
Alcuni semplici consigli:I migliori antidoti al modello a forma di F sono: fai il lavoro per gli utenti invece di costringerli a fare sforzi e a prendere cattive scorciatoie. Dai priorità e formatta il testo per indirizzare gli utenti verso ciò che vuoi che vedano e verso ciò che sai che vogliono vedere.
- Includi i punti più importanti nei primi due paragrafi della pagina.
- Usa titoli e sottotitoli. Assicurati che sembrino più importanti e più visibili del testo normale in modo che gli utenti possano distinguerli rapidamente.
- Inizia intestazioni e sottotitoli con le parole che contengono la maggior parte delle informazioni : se gli utenti vedono solo le prime 2 parole, dovrebbero comunque ottenere il succo della sezione successiva.
- Raggruppa visivamente piccole quantità di contenuti correlati, ad esempio circondandoli con un bordo o utilizzando uno sfondo diverso.
- Parole e frasi importanti in grassetto .
- Approfitta della diversa formattazione dei collegamenti e assicurati che i collegamenti includano parole contenenti informazioni (anziché generiche "vai", "fai clic qui" o "altro"). Questa tecnica migliora anche l' accessibilità per gli utenti che ascoltano i collegamenti letti ad alta voce invece di scansionare visivamente il contenuto.
- Usa elenchi puntati e numeri per richiamare elementi in un elenco o in un processo.
- Taglia i contenuti non necessari .


Da un'intervista di S.Mahlke a Gitte Lindgaard (MMI-Interaktive Aug 2007) selezioniamo il seguente passo:
Domanda: Qual è il ruolo delle emozioni nell'influenzare la sua comprensione dell'aspetto estetico?
Risposta: Sempre più mi convinco che noi siamo guidati più dall'emozione che dalla cognizione. Infatti, io credo che l'intera concettualizzazione dualistica cartesiana di "emozione" e "cognizione" sia un grande equivoco su come funziona l'essere umano. A noi piace pensare di essere razionali ma, quando guardiamo più da vicino le cosiddette decisioni razionali, scopriamo che la razionalità è spesso una giustificazione postuma di decisioni che abbiamo già preso (vedi Klayman& Ha 1987, Kahneman, Slovic & Tversky 1982). (ved.bibliografia)
Una volta che abbiamo preso una decisione noi abbiamo bisogno di provare a noi stessi di aver preso quella giusta, si tratta di quell'effetto psicologico chiamato "confirmation bias").
Questo è il motivo per cui la prima impressione è così importante: essa prepara la scena per ciò che verrà dopo. Quindi, io non vedo come noi possiamo studiare qualcosa che abbia a che fare con l'attrazione, sia essa visiva, uditiva, gustativa o olfattiva, separatamente dagli affetti, le emozioni, i sentimenti e le intuizioni.
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B.W. Tatler, N.J. Wade, H. Kwan, J.M. Findlay, B.M. Velichkovsky (2010), Yarbus, eye movements, and vision
J. Klayman, Ha - Y.W.Ha(1987), Confirmation, Disconfirmation, and Information in Hypothesis Testing
- G. Lindgaard,C.Dudek (2002), Aesthetic Appeal versus Usability: Implications for User Satisfaction
- R. Hari, V. Kujala (2009), Brain Basis of Human Social Interaction: From Concepts to Brain Imaging - APS
- Leda Cosmides, John Tooby (1997), Evolutionary Psychology: A Primer, Leda Cosmides, John Tooby (1997) Articolo introduttivo di carattere generale sulla psicologia evoluzionistica
- Richard Masland (2020), The Brain Reshapes Our Malleable Senses to Fit the World - Quantamagazine
Pagina aggiornata il 29 maggio 2021