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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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La natura "incarnata" della cognizione dà credito all'ipotesi di "mente estesa"
TEORIE > METODI > INTELLIGENZA ARTIFICIALE
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Le opinioni dominanti nella filosofia della mente e nelle scienze cognitive hanno finora considerato il corpo come periferico per comprendere la natura della mente e della cognizione, come scrive il filosofo Robert A. Wilson: "Le visioni tradizionali nella filosofia della mente e nelle scienze cognitive descrivono la mente come un elaboratore di informazioni, tale per cui le connessioni con il corpo e il mondo hanno poca importanza teorica. Al contrario, la crescente evidenza empirica mostra che gli stati corporei e i sistemi specifici di modalità per la percezione e l'azione sono alla base dell'elaborazione delle informazioni e che l'incarnazione contribuisce a vari aspetti ed effetti dei fenomeni mentali." Le scienze cognitive della seconda metà del '900 si sono sviluppate sull'idea che la cognizione umana fosse una elaborazione simbolica indipendente dal supporto fisico su cui essa si svolge, cioè il corpo. Oggi la comunità scientifica (in particolare neuroscientifica) e quella filosofica ritengono che tale approccio sia insufficiente o errato per spiegare la genesi e lo sviluppo dei processi cognitivi. Studi sperimentali mostrano il sussistere di una dipendenza tra il possesso di particolari abilità cognitive da parte di un agente e le caratteristiche morfologiche e dinamiche del suo corpo. Questo nuovo paradigma sta lentamente rimpiazzando la tradizionale visione astratta e mentalistica della cognizione. Fin dal 1998 i filosofi Andy Clark e David Chalmers hanno proposto il concetto di "mente estesa" che è entrato a far parte del dibattito in corso nella filosofia della mente. Clark e Chalmers, già allora, avevano evidenziato il ruolo che alcuni "oggetti" svolgono nei processi mentali. Ad esempio i taccuini dove l'essere umano segna i suoi appuntamenti o pensieri per ripescarli quando gli servono, o le calcolatrici matematiche. O, adesso, con gli smartphone che con le loro innumerevoli funzioni sono diventati gli "aiutanti" privilegiati dell'uomo, dando rilievo alla constatazione che la mente non è confinata nel cervello ma si estende agli oggetti che l'uomo usa. Le ultime ricerche in neurobiologia, scienze cognitive, linguistica e, soprattutto, intelligenza artificiale e robotica stanno portando evidenze scientifiche a favore dell'ipotesi che la "mente" va intesa in una concezione più ampia che non prevede solo il cervello ma l'intero corpo e l'ambiente in cui l'essere umano si trova. Le scienze cognitive sono in forte sviluppo, costrette ad aggiornarsi sulla spinta dei risultati delle ricerche neuroscientifiche, dell'Intelligenza Artificiale e della Robotica. Gli psicologi Fausto Caruana e  Anna M. Borghi hanno descritto l'evoluzione di questi studi: "Negli ultimi vent’anni è stata raccolta una vastissima mole di dati, in psicologia e neuroscienze in particolare, rendendo l’etichetta “embodied cognition” troppo inclusiva, riferita genericamente al fatto che la cognizione è vincolata ad elementi corporei e ambientali, non descrivibili nei termini astratti e amodali [cioè non corrispondenti a nulla sul piano oggettivo] della teoria rappresentazionale classica. I processi cognitivi sono stati di volta in volta etichettati come “embodied”, “situated”, “grounded”, o “enacted”. Benché queste etichette vengano spesso impiegate in modo generico e intercambiabile, dietro il loro uso si nascondono posizioni teoriche lievemente differenti. Il concetto di cognizione “grounded” ha, già nel nome, un richiamo esplicito al terreno, al suolo, e non al corpo. In effetti l’applicazione di questo concetto è più ampia rispetto a quelli di cognizione embodied o situata: ha come perno della riflessione l’idea che i processi cognitivi siano soggetti a vincoli propri del mondo fisico che includono, ma non si esauriscono, nei vincoli del sistema sensorimotorio. Secondo Barsalou (2008) il concetto di “grounded” è preferibile a quello di “embodied” poiché quest’ultimo potrebbe indurre all’errata assunzione che i ricercatori in questo campo considerino sempre gli stati corporei necessari per la cognizione, e che questi stati siano il fulcro di tutta la ricerca. Barsalou (2008) suggerisce che i processi cognitivi sono invece “grounded” in modi multipli, che includono le simulazioni, l’azione situata e, occasionalmente, anche gli stati corporei. Come si vede la strada che condurrà a capire il mistero della cognizione umana è ancora lunga.
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CORPOREITA' E COGNIZIONE: Le scienze cognitive della seconda metà del '900 si sono sviluppate sull'idea che la cognizione umana fosse una elaborazione simbolica indipendente dal supporto fisico su cui essa si svolge, cioè il corpo. Oggi la comunità scientifica (in particolare neuroscientifica) e quella filosofica ritengono che tale approccio sia insufficiente o errato per spiegare la genesi e lo sviluppo dei processi cognitivi. Scrive il filosofo Silvano Zipoli Caiani: "Il paradigma della cognizione incorporata enfatizza il ruolo delle possibilità d’interazione con l’ambiente associate al possesso di sistemi percettivi e di abilità motorie. Ciò conduce i sostenitori di questa visione a sostenere che la definizione di processi come la percezione, il ragionamento e il linguaggio dipendono, da un punto di vista ontologico ed epistemico, da proprietà corporee collocabili al di là dei confini stabiliti dal sistema nervoso. Oltre a essere una tesi teorica, il paradigma della cognizione incorporata fa riferimento a numerose evidenze empiriche. Studi sperimentali mostrano il sussistere di una dipendenza tra il possesso di particolari abilità cognitive da parte di un agente e le caratteristiche morfologiche e dinamiche del suo corpo, suggerendo nuovi modi di concettualizzare ed esplorare la natura dei sistemi cognitivi."
Punti di riflessione
Le visioni tradizionali nella filosofia della mente e nelle scienze cognitive descrivono la mente come un elaboratore di informazioni, tale per cui le connessioni con il corpo e il mondo hanno poca importanza teorica. Al contrario, la crescente evidenza empirica mostra che gli stati corporei e i sistemi specifici di modalità per la percezione e l'azione sono alla base dell'elaborazione delle informazioni e che l'incarnazione contribuisce a vari aspetti ed effetti dei fenomeni mentali. (Robert Wilson)
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La mente non può essere disincarnata dal suo supporto fisico, dal corpo che lo contiene, poiché lo stato mentale spesso emerge da uno stato corporeo. (Claudio Lombardo)
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La mente è intrinsecamente incarnata. Il pensiero è per lo più inconscio. I concetti astratti sono in gran parte metaforici. (Mark Johnson)
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Camminare non è una questione di cervello che calcola tutte le posizioni che una gamba deve attraversare e quindi dà il comando di fare il passo successivo. Richiede un tempismo squisito in tutto l'organismo, poiché nervi e muscoli si coordinano per sfruttare le proprietà fisiche delle gambe che funzionano come pendoli. (Colin Allen)
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Come ricordano Lakoff e Johnson, non penseremmo né ci comporteremmo allo stesso modo se invece di essere degli esseri dotati di braccia e gambe, un fronte e un retro, una parte alta e una bassa, fossimo delle enormi sfere.

Studi sperimentali mostrano il sussistere di una dipendenza tra il possesso di particolari abilità cognitive da parte di un agente e le caratteristiche morfologiche e dinamiche del suo corpo. Questo nuovo paradigma sta lentamente rimpiazzando la tradizionale visione astratta e mentalistica della cognizione
Dalla Cognizione classica alla Cognizione incarnata
Le scienze cognitive della seconda metà del '900 si sono sviluppate sull'idea che la cognizione umana fosse una elaborazione simbolica indipendente dal supporto fisico su cui essa si svolge, cioè il corpo. Oggi la comunità scientifica (in particolare neuroscientifica) e quella filosofica ritengono che tale approccio sia insufficiente o errato per spiegare la genesi e lo sviluppo dei processi cognitivi (vedi bibliografia Zipoli Caiani 2013).
Scrive il filosofo Silvano Zipoli Caiani:

Il paradigma della cognizione incorporata enfatizza il ruolo delle possibilità d’interazione con l’ambiente associate al possesso di sistemi percettivi e di abilità motorie. Ciò conduce i sostenitori di questa visione a sostenere che la definizione di processi come la percezione, il ragionamento e il linguaggio dipendono, da un punto di vista ontologico ed epistemico, da proprietà corporee collocabili al di là dei confini stabiliti dal sistema nervoso. Oltre a essere una tesi teorica, il paradigma della cognizione incorporata fa riferimento a numerose evidenze empiriche. Studi sperimentali mostrano il sussistere di una dipendenza tra il possesso di particolari abilità cognitive da parte di un agente e le caratteristiche morfologiche e dinamiche del suo corpo, suggerendo nuovi modi di concettualizzare ed esplorare la natura dei sistemi cognitivi.

Il paradigma cognitivista classico sosteneva che la cognizione fosse un processo computazionale basato sul linguaggio che utilizzava la natura sintattica dei processi cognitivi. Esso era assimilabile a un calcolo che la mente operava seguendo regole e operatori logici che venivano applicati alle proposizioni coinvolte per trasformare degli input in output. Secondo questa visione computazionista la mente veniva assimilata a un computer. Dunque, le opinioni dominanti nella filosofia della mente e nelle scienze cognitive hanno finora considerato il corpo come periferico per comprendere la natura della mente e della cognizione, come scrive il filosofo Robert A. Wilson (vedi bibliografia):

Le visioni tradizionali nella filosofia della mente e nelle scienze cognitive descrivono la mente come un elaboratore di informazioni, tale per cui le connessioni con il corpo e il mondo hanno poca importanza teorica. Al contrario, la crescente evidenza empirica mostra che gli stati corporei e i sistemi specifici di modalità per la percezione e l'azione sono alla base dell'elaborazione delle informazioni e che l'incarnazione contribuisce a vari aspetti ed effetti dei fenomeni mentali.

La "cognizione incarnata" sta ricevendo sempre più attenzione, dagli inizi pionieristici di Gregory Bateson, che era in anticipo sulla scienza del suo tempo e ne parlava nel suo famoso libro "Verso un'ecologia della mente", come hanno evidenziato gli psichiatri Laura Galbusera e Thomas Fuchs (vedi bibliografia):

Come Gregory Bateson notò nel 1972, se guardiamo un uomo cieco con il suo bastone, sarebbe problematico cercare di stabilire dove il suo “io” inizia e dove finisce, nel processo di percezione e comprensione della realtà circostante. Possiamo porre un confine tra il cervello dell’uomo e il suo corpo? O tra il suo corpo e il bastone che usa per percepire lo spazio circostante? O persino tra il bastone e la realtà circostante? Gregory Bateson, considerando questi come confini senza senso, radicò il concetto di mente in un sistema più esteso: “Si può dire che la ‘mente’ è immanente in quei circuiti cerebrali che sono interamente contenuti nel cervello; oppure che la mente è immanente nei circuiti che sono interamente contenuti nel sistema: cervello più corpo; oppure, infine, che la mente è immanente nel più vasto sistema: uomo più ambiente” (Bateson, 1972, p. 306). Nonostante il concetto di mente incarnata sia illuminante, Bateson era in anticipo sul suo tempo. [...]  Questo nuovo paradigma sta lentamente rimpiazzando la tradizionale visione astratta e mentalistica della cognizione.
Ipotesi sulla cognizione umana
processo cognitivo
Le diverse ipotesi sulla cognizione umana
Le ipotesi che le scienze cognitive fanno su come avviene la cognizione umana sono in forte evoluzione sulla spinta delle ricerche sull'Intelligenza Artificiale. Per descrivere le principali ipotesi, sono stati impiegate le descrizioni di Silvano Zipoli Caiani tratte da "Cognizione incorporata" (vedi bibliografia 2013) e le idee di Lawrence Barsalou (vedi bibliografia 2008-2009). Le ipotesi sono:

1. Cognizione standard: si basa sulla convinzione che la cognizione sia un processo computazionale. Questo assunto stabilisce la natura sintattica dei processi mentali, ponendo sullo stesso piano un sistema cognitivo e un elaboratore in grado di operare su simboli e trasformare input in output attraverso l’utilizzo di operatori logici e regole per la loro applicazione. In altre parole, la cognizione è qui assimilata a un calcolo nel quale vengono elaborate stringhe di simboli secondo regole formali definite internamente al sistema cognitivo stesso (cioè al cervello).

2. Cognizione incarnata o incorporata (Embodied): Negli ultimi trent’anni la locuzione cognizione incorporata si è affermata quale etichetta condivisa da una famiglia eterogenea di proposte teoriche e paradigmi sperimentali. Comune ai diversi approcci che vanno sotto questo nome è l’idea che la forma e le capacità motorie ascrivibili a un corpo siano da considerarsi fattori imprescindibili allo sviluppo e al funzionamento di un sistema cognitivo. In particolare, il paradigma della cognizione incorporata enfatizza il ruolo delle possibilità d’interazione con l’ambiente associate al possesso di sistemi percettivi e di abilità motorie. Ciò conduce i sostenitori di questa visione a sostenere che la definizione di processi come la percezione, il ragionamento e il linguaggio dipendono, da un punto di vista ontologico ed epistemico, da proprietà corporee collocabili al di là dei confini stabiliti dal sistema nervoso. In contrasto con il paradigma cognitivista, la cognizione incorporata nega che i processi cognitivi siano riducibili tout court a processi di tipo algoritmico interni al sistema, attribuendo alle proprietà morfologiche del corpo e alle sue interazioni con l’ambiente un ruolo determinante nella genesi della cognizione.

3. Cognizione radicata o Mente estesa (Grounded or Extended mind): La tesi della mente estesa si basa sul principio di parità per cui tutti i componenti coinvolti nell’interazione tra organismo e ambiente (fisico e sociale) – siano essi interni o esterni all’organismo – governano congiuntamente e in modo paritario il comportamento dell’organismo stesso. Essa rifiuta la prospettiva standard che i simboli amodali rappresentino la conoscenza nella memoria semantica.
La cognizione incarnata (embodied) sostiene l’idea che la forma e le capacità motorie ascrivibili a un corpo siano da considerarsi fattori imprescindibili allo sviluppo e al funzionamento di un sistema cognitivo
Cos'è la "mente estesa"
Fin dal 1998 i filosofi Andy Clark e David Chalmers hanno proposto il concetto di "mente estesa" (vedi bibliografia 1998) che è entrato a far parte del dibattito in corso nella filosofia della mente. Clark e Chalmers, già allora, avevano evidenziato il ruolo che alcuni "oggetti" svolgono nei processi mentali. Ad esempio i taccuini dove l'essere umano segna i suoi appuntamenti o pensieri per ripescarli quando gli servono, o le calcolatrici matematiche. O, adesso, con gli smartphone che con le loro innumerevoli funzioni sono diventati gli "aiutanti" privilegiati dell'uomo, dando rilievo alla constatazione che la mente non è confinata nel cervello ma si estende agli oggetti che l'uomo usa.
Le ultime ricerche in neurobiologia, scienze cognitive, linguistica e, soprattutto, intelligenza artificiale e robotica (vedi bibliografia Rolf Pfeifer, Fumiya Iida, Colin Allen) stanno portando evidenze scientifiche a favore dell'ipotesi che la "mente" va intesa in una concezione più ampia che non prevede solo il cervello ma l'intero corpo e l'ambiente in cui l'essere umano si trova.

L'interesse per il paradigma della cognizione incarnata fu favorito dalla necessità di costruire dei "Robot" intelligenti, come scrive Silvano Zipoli Caiani:

Uno dei principali obiettivi della ricerca nell’alveo del paradigma della mente incorporata è senz’altro lo sviluppo di sistemi cognitivi artificiali in cui l’elaborazione di simboli amodali sia sostituita da forme di interazione corporea con l’ambiente. In particolare, a partire dalla fine degli anni ottanta dello scorso secolo i lavori di Brooks hanno gettato le basi per la progettazione di forme di elaborazione cognitiva fondate su architetture computazionali in cui non sono previsti stadi rappresentazionali intermedi [Rodney Brooks, 1991]. I sistemi prodotti da Brooks sono molto diversi da quelli prodotti secondo il paradigma cognitivo classico. Quest’ultimi contenevano un modello interno [o "rappresentazione"] composto da una serie di descrizioni simboliche dei micro-ambienti per cui erano stati progettati. Questa struttura di simboli doveva essere aggiornata continuamente seguendo i movimenti e le azioni del sistema nell’ambiente. Pertanto i software di programmazione dei robot avrebbero dovuto elaborare un’enorme mole di simboli e processi computazionali a cui era necessariamente dedicata una grande quantità di tempo e di risorse energetiche.
Mente, corpo e persino l'ambiente in cui sono situati, partecipano ad un sistema di intelligenza ad incastro. Perdi uno di questi elementi, perdi l'intelligenza. Questo propongono le teorie della cognizione incarnata (embodied cognition): la nostra architettura cognitiva, per quanto estremamente plastica, è il frutto di millenni di evoluzione che sono in larga misura radicati nel Pleistocene, l'era in cui l'essere umano dovette mettere a punto determinate procedure di percezione-azione per sopravvivere all'ambiente che valgono ancora oggi. Ciò che la robotica evoluzionistica e proattiva si propone oggi è proprio quello di programmare le disposizioni di base di un sistema intelligente affinché possa attivamente evolvere interagendo con l'ambiente e il proprio corpo morfologico.
La cognizione incarnata consente di creare robot più semplici e meno dispendiosi
Evoluzione cervello ominidi
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Gli unici reperti disponibili in grado di gettare luce sull’evoluzione funzionale del cervello umano sono stati per lungo tempo gli endocasti, sorta di stampi dei cervelli delle specie umanoidi più antiche dovuti alla lenta fossilizzazione della materia cerebrale
Homo heidelbergensis
Homo heidelbergensis , specie estinta di uomo arcaico (genere Homo ) conosciuta da fossili risalenti da 600.000 a 200.000 anni fa in Africa , Europa e forse in Asia . Il nome è apparso per la prima volta in stampa nel 1908 per accogliere un'antica mascella umana scoperta nel 1907 vicino alla città di Mauer , 16 km (10 miglia) a sud-est di Heidelberg , in Germania.
(Cliccare per approfondire)
Lo studio di forma e dimensioni craniali di vari antenati dell'Homo sapiens ha evidenziato che l'integrazione visuospaziale degli Homo Sapiens è stata uno dei motivi del loro successo evolutivo: essi hanno via via ridotto l'area del cervello dedicata alla masticazione e aumentato quella dedicata all'integrazione visuospaziale a supporto di un miglior uso delle mani
Dove nasce la mente estesa: dall'archeologia alla paleoneurologia
La ricerca paleocognitiva sugli ominidi sta guadagnando slancio, soprattutto grazie all'avvento della paleoneurologia (lo studio dell'anatomia cerebrale basata su endocasti fossili), che ha ampliato la capacità di ricostruire la neuroanatomia degli ominidi estinti. La condizione della "mente estesa" è stata confermata dagli antropologi Emiliano Bruner e Marina Lozano i quali, studiando forma e dimensioni craniali di vari antenati dell'Homo sapiens si sono accorti che l'integrazione visuospaziale degli Homo Sapiens è stata uno dei motivi del loro successo evolutivo: essi hanno via via ridotto l'area del cervello dedicata alla masticazione e aumentato quella dedicata all'integrazione visuospaziale a supporto di un miglior uso delle mani. Scrivono Bruner e Lozano (vedi bibliografia):



La prevalenza dell'uso dei denti come elemento integrativo per la prassi raggiunge il 100% in Homo Heidelbergensis e Neandertals. Nel primo caso, è associato ad un aumento generale delle dimensioni del cervello, nel secondo caso ci sono anche cambiamenti morfologici delle proporzioni cerebrali. Nei moderni cacciatori-raccoglitori umani, la percentuale è decisamente più bassa (46%) e c'è un ulteriore cambiamento nella forma del cervello associata al rigonfiamento parietale superiore. Gli umani moderni fanno meno affidamento sui denti come interfaccia integrativa corpo-artefatto, che suggerisce un'efficienza più completa delle mani come porte tra cervello e ambiente. Il fatto che allo stesso tempo i moderni umani hanno sviluppato una dilatazione spaziale delle aree parietali più profonde sono eccezionali.

Il cervello dell'Homo Sapiens si incrementa in volume ma non troppo (ad esempio i Neanderthal avevano un volume cerebrale maggiore) ma soprattutto destinano più materia cerebrale all'integrazione visuospaziale, cioè a migliorare il controllo delle mani che consentità poi la costruzione di utensili sempre più sofisticati.
Si può dunque immaginare che, nella sua organizzazione funzionale, l'intera attività cognitiva abbia seguito lo stesso percorso che ha portato l'essere umano a prendere le sue decisioni e attuare le sue azioni nel mondo non solo con il cervello ma con una "mente" dal funzionamento indissolubilmente condizionato dal corpo. Prove di questo sviluppo stanno emergendo lentamente, ad esempio insegnare algebra ai bambini è un'attività che include l'immaginare movimenti fisici di un numero attorno ai segni più e meno. A questo proposito scrive Colin Allen (vedi bibliografia):

Questi risultati mostrano i limiti della separazione classica tra il mondo mentale interno e il mondo fisico esterno. In questa visione tradizionale, le rappresentazioni interne accessibili alla mente umana sono solo debolmente collegate al mondo fisico attraverso i sensi fallibili. Gli ultimi sviluppi della scienza cognitiva stanno dimostrando che la mente non è così disaccoppiata dal mondo che cerca di capire e che cervello, corpo fisico e ambiente lavorano in tandem per produrre pensiero.

Il corpo di un agente regola l'attività cognitiva nel tempo e nello spazio, assicurando che cognizione e azione siano strettamente coordinate. Scrive Claudio Lombardo (vedi bibliografia):

La teoria dell’embodied cognition ha come perno della riflessione l’idea che i processi cognitivi sono soggetti a vincoli propri del mondo fisico che includono, ma non si esauriscono, nei vincoli del sistema sensorimotorio (Caruana, Borghi, 2013)

Una recente ricerca (vedi bibliografia 2020 Blanke) ha scoperto che il potenziale di prontezza di un essere umano (readiness potential), cioè l'anticipo di una decisione che il cervello ha preso rispetto al suo apparire alla coscienza, dipendono dalla respirazione (cioè l'elaborazione corticale correlata alla respirazione associata all'azione volontaria) che fa dire al neuroscienziato Olaf Blanke:

il ciclo regolare di respirazione fa parte del meccanismo che porta al processo decisionale consapevole e agli atti di libero arbitrio. Più in generale, i risultati della ricerca suggeriscono che gli atti di libero arbitrio sono influenzati dai segnali di altri sistemi del corpo.

Scrive il giornalista scientifico Riccardo Oldani (vedi bibliografia):

Qualsiasi organismo che possiede un corpo, in base al concetto di embodiment, sviluppa un'intelligenza in grado di sfruttare quel corpo nel migliore dei modi. Volando con la fantasia potremmo allora immaginare, grazie alla robotica soft, di fare un salto indietro di milioni di anni, e tornare all'Esplosione Cambriana, quando per qualche strano scherzo evolutivo la vita si differenziò nelle forme più improbabili, con organismi costruiti su simmetrie multiple e non necessariamente bilaterali com'è quella della maggior parte dei viventi di oggi. Solo alcune di quelle primitive forme di vita hanno proseguito il percorso evolutivo, altre si sono estinte con la stessa velocità con cui comparvero. Se oggi pensiamo di poter costruire macchine dotate di 5, 10, 1.000 braccia, con mani prensili, capaci di interagire con l'ambiente, quali tipi di intelligenza ne potrebbero scaturire?
L'intero corpo umano, con tutta la sua complessità di sistemi interallacciati, è la nostra interfaccia col mondo e sede della nostra comprensione
L'applicazione sopra esposta deriva dal progetto anatomico Zygote Body
Futuro delle ricerche sulla cognizione: cognizione incarnata, situata, radicata, rappresentata?
Le scienze cognitive sono in forte sviluppo, costrette ad aggiornarsi sulla spinta dei risultati delle ricerche neuroscientifiche, dell'Intelligenza Artificiale e della Robotica. Gli psicologi Fausto Caruana e  Anna M. Borghi hanno descritto l'evoluzione di questi studi (vedi bibliografia 2013):

Negli ultimi vent’anni è stata raccolta una vastissima mole di dati, in psicologia e neuroscienze in particolare, rendendo l’etichetta “embodied cognition” troppo inclusiva, riferita genericamente al fatto che la cognizione è vincolata ad elementi corporei e ambientali, non descrivibili nei termini astratti e amodali [cioè non corrispondenti a nulla sul piano oggettivo] della teoria rappresentazionale classica. I processi cognitivi sono stati di volta in volta etichettati come “embodied”, “situated”, “grounded”, o “enacted”. Benché queste etichette vengano spesso impiegate in modo generico e intercambiabile, dietro il loro uso si nascondono posizioni teoriche lievemente differenti. Il concetto di cognizione “grounded” ha, già nel nome, un richiamo esplicito al terreno, al suolo, e non al corpo. In effetti l’applicazione di questo concetto è più ampia rispetto a quelli di cognizione embodied o situata: ha come perno della riflessione l’idea che i processi cognitivi siano soggetti a vincoli propri del mondo fisico che includono, ma non si esauriscono, nei vincoli del sistema sensorimotorio. Secondo Barsalou (2008) il concetto di “grounded” è preferibile a quello di “embodied” poiché quest’ultimo potrebbe indurre all’errata assunzione che i ricercatori in questo campo considerino sempre gli stati corporei necessari per la cognizione, e che questi stati siano il fulcro di tutta la ricerca. Barsalou (2008) suggerisce che i processi cognitivi sono invece “grounded” in modi multipli, che includono le simulazioni, l’azione situata e, occasionalmente, anche gli stati corporei. Infatti, l’idea che i processi cognitivi siano retti da processi di simulazione, durante i quali gli stati percettivi e motori acquisiti con l’esperienza vengono riattivati al servizio della cognizione, è un’idea che non necessariamente richiede un’implementazione corporea, biologica. Questo sganciarsi dal vincolo corporeo implica che la cognizione possa funzionare indipendentemente dallo specifico tipo di corpo che ha codificato l’esperienza sensorimotoria, ricongiungendo potenzialmente la nuova scienza cognitiva ad alcuni tipi di funzionalismo computazionale, e contemporaneamente allontanandola dall’ombrello teorico del naturalismo americano e da quello della fenomenologia.

Come si vede c'è molta strada ancora da compiere per capire a fondo come avviene la cognizione umana.
Gli ultimi sviluppi della scienza cognitiva stanno dimostrando che la mente non è così disaccoppiata dal mondo che cerca di capire e che cervello, corpo fisico e ambiente lavorano in tandem per produrre pensiero
Conclusioni (provvisorie): qualsiasi organismo che possiede un corpo, in base al concetto di embodiment, sviluppa un'intelligenza in grado di sfruttare quel corpo nel migliore dei modi.
Le opinioni dominanti nella filosofia della mente e nelle scienze cognitive hanno finora considerato il corpo come periferico per comprendere la natura della mente e della cognizione, come scrive il filosofo Robert A. Wilson: "Le visioni tradizionali nella filosofia della mente e nelle scienze cognitive descrivono la mente come un elaboratore di informazioni, tale per cui le connessioni con il corpo e il mondo hanno poca importanza teorica. Al contrario, la crescente evidenza empirica mostra che gli stati corporei e i sistemi specifici di modalità per la percezione e l'azione sono alla base dell'elaborazione delle informazioni e che l'incarnazione contribuisce a vari aspetti ed effetti dei fenomeni mentali." Le scienze cognitive della seconda metà del '900 si sono sviluppate sull'idea che la cognizione umana fosse una elaborazione simbolica indipendente dal supporto fisico su cui essa si svolge, cioè il corpo. Oggi la comunità scientifica (in particolare neuroscientifica) e quella filosofica ritengono che tale approccio sia insufficiente o errato per spiegare la genesi e lo sviluppo dei processi cognitivi. Scrive il filosofo Silvano Zipoli Caiani: "Il paradigma della cognizione incorporata enfatizza il ruolo delle possibilità d’interazione con l’ambiente associate al possesso di sistemi percettivi e di abilità motorie. Ciò conduce i sostenitori di questa visione a sostenere che la definizione di processi come la percezione, il ragionamento e il linguaggio dipendono, da un punto di vista ontologico ed epistemico, da proprietà corporee collocabili al di là dei confini stabiliti dal sistema nervoso. Oltre a essere una tesi teorica, il paradigma della cognizione incorporata fa riferimento a numerose evidenze empiriche. Studi sperimentali mostrano il sussistere di una dipendenza tra il possesso di particolari abilità cognitive da parte di un agente e le caratteristiche morfologiche e dinamiche del suo corpo. Questo nuovo paradigma sta lentamente rimpiazzando la tradizionale visione astratta e mentalistica della cognizione. Fin dal 1998 i filosofi Andy Clark e David Chalmers hanno proposto il concetto di "mente estesa" che è entrato a far parte del dibattito in corso nella filosofia della mente. Clark e Chalmers, già allora, avevano evidenziato il ruolo che alcuni "oggetti" svolgono nei processi mentali. Ad esempio i taccuini dove l'essere umano segna i suoi appuntamenti o pensieri per ripescarli quando gli servono, o le calcolatrici matematiche. O, adesso, con gli smartphone che con le loro innumerevoli funzioni sono diventati gli "aiutanti" privilegiati dell'uomo, dando rilievo alla constatazione che la mente non è confinata nel cervello ma si estende agli oggetti che l'uomo usa. Le ultime ricerche in neurobiologia, scienze cognitive, linguistica e, soprattutto, intelligenza artificiale e robotica stanno portando evidenze scientifiche a favore dell'ipotesi che la "mente" va intesa in una concezione più ampia che non prevede solo il cervello ma l'intero corpo e l'ambiente in cui l'essere umano si trova. Lo studio di forma e dimensioni craniali di vari antenati dell'Homo sapiens ha evidenziato che l'integrazione visuospaziale degli Homo Sapiens è stata uno dei motivi del loro successo evolutivo: essi hanno via via ridotto l'area del cervello dedicata alla masticazione e aumentato quella dedicata all'integrazione visuospaziale a supporto di un miglior uso delle mani. Il cervello dell'Homo Sapiens si incrementa in volume ma non troppo (ad esempio i Neanderthal avevano un volume cerebrale maggiore) ma soprattutto destinano più materia cerebrale all'integrazione visuospaziale, cioè a migliorare il controllo delle mani che consentità poi la costruzione di utensili sempre più sofisticati. Si può dunque immaginare che, nella sua organizzazione funzionale, l'intera attività cognitiva abbia seguito lo stesso percorso che ha portato l'essere umano a prendere le sue decisioni e attuare le sue azioni nel mondo non solo con il cervello ma con una "mente" dal funzionamento indissolubilmente condizionato dal corpo. Prove di questo sviluppo stanno emergendo lentamente, ad esempio insegnare algebra ai bambini è un'attività che include l'immaginare movimenti fisici di un numero attorno ai segni più e meno. Le scienze cognitive sono in forte sviluppo, costrette ad aggiornarsi sulla spinta dei risultati delle ricerche neuroscientifiche, dell'Intelligenza Artificiale e della Robotica. Gli psicologi Fausto Caruana e  Anna M. Borghi hanno descritto l'evoluzione di questi studi: "Negli ultimi vent’anni è stata raccolta una vastissima mole di dati, in psicologia e neuroscienze in particolare, rendendo l’etichetta “embodied cognition” troppo inclusiva, riferita genericamente al fatto che la cognizione è vincolata ad elementi corporei e ambientali, non descrivibili nei termini astratti e amodali [cioè non corrispondenti a nulla sul piano oggettivo] della teoria rappresentazionale classica. I processi cognitivi sono stati di volta in volta etichettati come “embodied”, “situated”, “grounded”, o “enacted”. Benché queste etichette vengano spesso impiegate in modo generico e intercambiabile, dietro il loro uso si nascondono posizioni teoriche lievemente differenti. Il concetto di cognizione “grounded” ha, già nel nome, un richiamo esplicito al terreno, al suolo, e non al corpo. In effetti l’applicazione di questo concetto è più ampia rispetto a quelli di cognizione embodied o situata: ha come perno della riflessione l’idea che i processi cognitivi siano soggetti a vincoli propri del mondo fisico che includono, ma non si esauriscono, nei vincoli del sistema sensorimotorio. Secondo Barsalou (2008) il concetto di “grounded” è preferibile a quello di “embodied” poiché quest’ultimo potrebbe indurre all’errata assunzione che i ricercatori in questo campo considerino sempre gli stati corporei necessari per la cognizione, e che questi stati siano il fulcro di tutta la ricerca. Barsalou (2008) suggerisce che i processi cognitivi sono invece “grounded” in modi multipli, che includono le simulazioni, l’azione situata e, occasionalmente, anche gli stati corporei. Come si vede la strada che condurrà a capire il mistero della cognizione umana è ancora lunga.
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Pagina aggiornata il 20 luglio 2023

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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