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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Fegato di Piacenza: un oggetto divinatorio, mesopotamico ed etrusco, per predire il futuro
TEORIE > METODI > ARGOMENTAZIONE
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Il Fegato di Piacenza è uno dei reperti etruschi (I secolo a.C.) più enigmatici del passato. Esso è un oggetto divinatorio unico, una fusione in bronzo facilmente trasportabile, che si ritiene che sia stato perduto dagli aruspici durante il passaggio delle legioni romane nel territorio piacentino. E' un oggetto culturalmente interessante perchè proviene dalla millenaria storia della 'Divinazione' che i popoli mesopotamici avevano sviluppato in Asia, e che era poi stata ereditata e trasmessa da Etruschi e Romani, contribuendo al loro sviluppo culturale. I Sumeri, e in seguito anche gli Etruschi, ritenevano che il fegato rappresentasse l'origine del Mondo. Avevano desunto questa convinzione dall'aver osservato che, in ogni madre, la comunicazione con il feto avviene attraverso il cordone ombelicale che si connette al fegato. Al 'macrocosmo' del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, cioè dello spazio circoscritto del cielo in cui si manifestano i segni della volontà divina. Gli aruspici del passato si sono adoperati per connettere il sacro 'macrocosmo' del fegato al 'microcosmo' del mondo sociale umano. Il Fegato di Piacenza ha una varietà di segni, che si sono prestati a molte interpretazioni. Le tante interpretazioni testimoniano il processo mentale che gli aruspici del passato hanno intrapreso con metodi scientifici, per prevedere il futuro delle loro imprese. Nella divinazione, sia essa rivolta all'autopsia delle viscere, all'osservazione del fulmine o all'interpretazione degli eventi astronomici, lo scopo dell'aruspice è quello di riconoscere gli 'ostenta' , e cioè quegli eventi portentosi che sono indizio e sede di un segno divino. Se dunque al 'macrocosmo' del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, allora si spiegherebbe come mai, nei diversi ambiti naturali, la scienza degli interpreti, avesse proiettato su di esso la dimensione spaziale dei diversi settori entro cui i segni della volontà divina si sarebbe manifestata. Sull'interpretazione del fegato l'archeologo Antonio Gottarelli scrive: "Che cosa è allora il fegato di Piacenza? Alla domanda [l'etruscologo] Maggiani risponde con l'unico compromesso possibile tra le diverse opinioni espresse in più di cento anni di studi, cogliendo la sintesi di un percorso fortemente condizionato dalle ipotesi di partenza. Non diversamente da quanto preannunciò [l'archeologo] Deecke più di un secolo prima, il modello bronzeo è dunque uno strumento, o promemoria, in uso presso un aruspice, su cui si riflette una complessa stratificazione dottrinaria  collegata con diverse pratiche divinatorie: sicuramente l'extispicina, l'osservazione del fulmine e l'astrologia. Ma come convivono le diverse discipline all'interno del modello? "A garantire la stretta connessione fra questi piani diversi, extispicina, astrologia, scienza e filosofie greche, questa complessa costruzione è stata racchiusa in un anello rigido, costituito dalla griglia delle sedici regioni nelle quali gli etruschi dividevano il cielo. L'elemento di connessione tra i vari livelli interpretativi è dunque costituito dai nomi di divinità all'interno dei diversi settori, sebbene tra nastro periferico e parti interne non vi sia un legame funzionale diretto. L'anello esterno definisce dunque il sistema gerarchico e discendente delle sedi divine sulla volta celeste, mentre l'interno farebbe parte di un più antico substrato collegato con le pratiche epatoscopiche.
La tesi è chiara: nella divinazione, sia essa rivolta all'autopsia delle viscere, all'osservazione del fulmine o all'interpretazione degli eventi astronomici, lo scopo dell'aruspice è infatti quello di riconoscere gli 'ostenta' , e cioè quegli eventi portentosi che sono indizio e sede di un segno divino. Se dunque al microcosmo del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, allora si spiegherebbe come mai, nei diversi ambiti naturali, la scienza degli interpreti, avesse proiettato su di esso la dimensione spaziale dei diversi settori entro cui i segni della volontà divina si sarebbe manifestata. Scriveva già Deecke: "Come certe divinità avevano il loro punto essenziale in ogni regione del cielo, della terra, del corpo, lì valevano ed erano attivi, e i segni che vi appaiono furono attribuiti ad essa, così anche per il fegato". Il fegato è quindi da considerarsi il 'templum' del corpo, su cui, per l'analogia microcosmica-macrocosmica, si riflette l'ordine celeste: "anch'esso fu orientato, squartato dal cardo e decumano e diviso in metà propizie e sfavorevoli; anch'esso ebbe le sue sedici zone marginali e i suoi settori. le sue parti (...) tutte consacrate a determinate divinità, che lì si sono manifestate, così che l'aruspice potesse facilmente condurre quella piccola anomalia a un punto determinato, su una determinata divinità, e interpretarla secondo le solite regole". La divinazione consisteva dunque nell'individuare anomalie nel fegato dell'animale sacrificato e connetterle alla divinità corrispondente sul modello.
Fegato di Piacenza
Il Fegato di Piacenza è un modello in bronzo di fegato ovino. di origine mesopotamica e utilizzato dagli etruschi. È datato alla fine del II - inizi del I secolo a.C. e il suo utilizzo, era destinato alla divinazione ad opera degli aruspici, mediante l'esame dell'organo della vittima sacrificata.
Punto chiave di questa pagina
FEGATO E ORIGINE DELLA VITA: Perchè in Mesopotamia i Sumeri ritenevano che il fegato fosse l'organo umano dove risiedeva l'origine del Mondo? Secondo il linguista Wilhelm Deecke perchè si erano accorti che ogni nuovo embrione veniva alimentato dalla madre a partire dal proprio fegato, che veniva così riconosciuto come l'inizio della vita. Il Fegato di Piacenza è uno dei più enigmatici oggetti divinatori del passato (I secolo a.C.), perchè esso, per la varietà di segni in esso presenti, si è prestato a molte interpretazioni, le quali testimoniano il processo mentale che gli aruspici del passato hanno intrapreso con metodi scientifici, per prevedere il futuro delle loro imprese.
Punti di riflessione
Il modellino di bronzo, noto meglio con il nome di Fegato di Picenza è un reperto archeologico molto importante sia per quanto riguarda la religione degli Etruschi, che per la loro lingua. Infatti, con i nomi di alcune decine di divinità in esso incise, doveva avere, rispetto alla “disciplina etrusca” e, più in particolare nei riguardi della aruspicina od epatoscopia, la finalità di sussidio mnemonico ad uso dell’aruspice e di sussidio didattico a vantaggio dei discepoli-apprendisti. Questo modellino bronzeo di fegato trova riscontro in altri esempi trovati in Etruria ma realizzati in terracotta, molto simili a quelli trovati in Asia minore presso Babilonia, prova evidente dell’influenza medio-orientale sugli usi e costumi del popolo etrusco. (Luciano Proietti)
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La medicina scientifica occidentale, istituita nell’alveo di un’antropologia personalistica di matrice teologica, si interroga sul sintomo visibile per ricondurlo al soggetto organico o al soggetto psichico. Al contrario, «la divinazione – come ha scritto Tobie Nathan – non ha lo scopo di illuminare un invisibile nascosto, la sua funzione è quella di instaurare il luogo stesso dell’invisibile. Se procedo a una divinazione, la tecnica che utilizzo presuppone l’esistenza di un secondo universo». Le fonti per la ricerca sulla divinazione onirica sono essenzialmente linguistiche e letterarie, benché in casi sporadici possiamo servirci di effigi e pitture votive: icone, mosaici, affreschi, retablo ed ex voto superstiti o anche semplici descrizioni di oggetti e di immagini devozionali, che potevano interagire con l’immaginario onirico. Lo storico non può prescindere dalla fonte scritta, che sovente è anche un testo letterario, con i suoi schemi retorici e i suoi criteri veridizionali. Ma anche il filtro ermeneutico della scrittura è sempre parte integrante di una realtà che il testo non si limita ad inscenare trasfigurandola negli schemi codificati di una tradizione colta. (Luigi Canetti)
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Vogliamo rilevare l’importanza del “segno” (sia esso fonetico, come la parola pronunciata, o scritto, come i grafemi incisi sull’argilla o sulla pietra e metallo) per la civiltà mesopotamica). Nelle due lingue, Sumerico e Accadico, lo stesso termine significa tanto “parola” che “fatto” (inim, awÂtum): la parola non era pensata come un un mero flatus vocis, ma racchiude in sé la natura stessa di ciò che rappresenta. Si adatta perfettamente alla concezione mesopotamica la frase latina: nomina sunt essentia rerum. Possiamo collegare questa concezione alla divinazione e, soprattutto, possiamo proiettare sul segno scritto questo collegamento, cui il mondo scribale darà sommo rilievo. (Pietro Mander)
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Secondo Cicerone non sarebbe possibile prevedere il futuro interpretando i segni; tuttavia, in quanto strumento politico, la divinazione rappresenta un utile mezzo per mantenere il controllo dello Stato e l'equilibrio delle istituzioni (De Divinatione, libro II, 148-150). (Wikipedia)
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È evidente che sono due approcci del tutto complementari, volendo utilizzare il linguaggio della scienza contemporanea. Gli esperimenti eliminano il caso, l’oracolo lo mette al centro; l’esperimento si basa sulla ripetizione, l’oracolo si basa su un unico atto. Il primo si basa sul calcolo delle probabilità, il secondo si serve del numero unico e individuale per ottenere informazioni. (Marie-Louise von Franz)
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Oresme scrive il Livre de divinacions per convincere Carlo V, il suo re, a non fidarsi dell’astrologia e delle altre scienze divinatorie. Egli sfida il potente "partito" degli astrologi di corte e quasi certamente esce sconfitto. Ma è uno dei primi a sollecitare i principi a non cercare negli influssi celesti la causa degli eventi umani, a studiare politica e non astrologia, a far scendere la politica dal cielo e riportarla sulla terra. (Nicole Oresme)
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La divinazione basata sull'ispezione del fegato era considerata in Mesopotamia, e poi ancora presso i Greci e gli Etruschi, la prima e più importante forma di interrogazione sui destini futuri. Ed è a questa più estesa costruzione cosmologica, e non agli unici e mutevoli esiti dei giudizi che ne derivano, che si riconduce più correttamente l'interpretazione di uno dei reperti archeologici più enigmatici dell'antichità: il Fegato etrusco di Piacenza. (Antonio Gottarelli)
Fegato di Piacenza: dal macrocosmo al microcosmo
Il Fegato di Piacenza è un modello in bronzo di fegato ovino. L'importanza del pezzo, le cui dimensioni sono millimetri 126 X 76 X 60 con un peso di 635 grammi, sta nella serie di iscrizioni di nomi di divinità, che sulla faccia piana dell'oggetto sono organizzate in modo da riflettere l'ordinamento del cielo secondo gli Etruschi. Ma vi sono altre interpretazioni.
Mappa delle iscrizioni sul Fegato di Piacenza
Le protuberanze e le anomalie del fegato avrebbero fornito dati fondamentali per comprendere ciò che sarebbe accaduto in futuro o comunque potevano essere avvisi da parte delle divinità e degli astri. Rappresenta ancora oggi uno degli oggetti più influenzati dalla cultura orientale poichè la pratica del fegato divinatorio ha origini mesopotamiche. Molti ritrovamenti sono stati fatti ad Hattusa in Turchia, a Rodi, e tra la valle del Tigri ed Eufrate con datazioni più antiche (intorno al 1700 a.C.)
Come il fegato veniva interpretato dagli aruspici etruschi
Al 'macrocosmo' del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, cioè dello spazio circoscritto del cielo in cui si manifestano i segni della volontà divina, e il fegato veniva suddiviso in tante sezioni che accolgono le diverse divinità. Al 'macrocosmo' del fegato corrisponderebbe sulla terra un 'microcosmo' inteso come proiezione sul suolo terrestre di una data regione sacra del cielo
Macrocosmo
C’era una correlazione mistica tra le parti dell’area sacra, come il cielo e la superficie del fegato dell’animale sacrificato. Questa basilare dottrina dell’orientamento permette il trasferimento sulla terra, dove vivono gli uomini, dell’immagine del cielo inteso come dimora degli dèi. La parola templum è il termine tratto dal dizionario dell’arte divinatoria etrusca che indica una particolare area del cielo, definita dal sacerdote aruspice, nella quale questi raccoglie ed interpreta i presagi.
Microcosmo
Partendo dal concetto che il fegato rappresentasse un macrocosmo, suddiviso in tanti settori entro i quali trovano collocazione i nomi delle diverse divinità in veste di divini abitatori di quelle parti della sfera celeste, ad esso corrisponderebbe sulla terra un microcosmo inteso come proiezione sul suolo terrestre di una data regione sacra del cielo. Dando un’interpretazione alle linee che dividono il fegato di Piacenza in vari settori, con una soprapposizione in scala opportuna, emergono delle strane coincidenze con la geografia del territorio della Tuscia. (Cliccare per approfondire)
Chi erano gli aruspici etruschi?
Il portale ItaliaWiki.com scrive:

La Religione in Etruria aveva caratteristiche fataliste; si credeva che gli dei avessero molta influenza sul mondo umano. Il favore degli dei era quindi cruciale per il successo di un'impresa particolare, come una campagna militare. Per comprendere meglio la volontà nascosta degli dei, gli Etruschi avevano gradualmente sviluppato un arsenale di metodi. L'esame accurato e corretto degli intestini di un animale sacrificale (soprattutto il fegato di una pecora o di un bovino) era uno dei più importanti di questi metodi ed era considerato una specialità etrusca. I visceri facevano parte della Disciplina Etrusca, la dottrina religiosa etrusca. Non tutti potevano fare previsioni; l'ispezione degli organi era riservata a uno specialista, il cosiddetto netśvis (latino: aruspice). Erano esclusivamente uomini di famiglie illustri che erano stati iniziati a questa tecnica complicata e alla "filosofia" sottostante. Gli scienziati ritengono che il Fegato di bronzo di Piacenza sia servito da modello didattico per i giovani aruspici apprendisti. Non solo gli Etruschi usavano i fegati di animali per ottenere informazioni su questioni soprannaturali. In Anatolia e Mesopotamia (Akkad e Babylonia) per esempio, sono stati ritrovati (scavati) un gran numero di modelli di fegato in ceramica, e anche nel mondo greco e romano, i fegati degli animali sacrificali sono stati "consultati". Alcuni ricercatori ritengono quindi che gli Etruschi adottassero la tecnica della speratura del fegato dal Vicino Oriente. Tuttavia, il modo in cui gli Etruschi vedevano i fegati era completamente diverso. La presenza o l'assenza della cosiddetta 'testa di fegato' (processus pyramidalis) per esempio, a cui gli aruspici etruschi attribuivano grande importanza (l'assenza era un pessimo presagio), non avevano un ruolo significativo in Mesopotamia. Anche il fatto che alcune delle scatole sul lato viscerale del modello di fegato etrusco corrispondano alle 16 regioni in cui i sacerdoti etruschi classificavano la volta celeste - ogni dio doveva risiedere in un punto specifico del cielo - è unicamente un fenomeno etrusco. Non è ancora del tutto chiaro come l'aruspice facesse previsioni sulla base di un fegato. Presumibilmente prestava attenzione alle deviazioni (forma, colori, rientranze), il cui tipo e posizione sull'organo fornivano informazioni sulla volontà di una o più divinità.
Nella divinazione, sia essa rivolta all'autopsia delle viscere, all'osservazione del fulmine o all'interpretazione degli eventi astronomici, lo scopo dell'aruspice è quello di riconoscere gli 'ostenta' , e cioè quegli eventi portentosi che sono indizio e sede di un segno divino. Se dunque al 'macrocosmo' del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, allora si spiegherebbe come mai, nei diversi ambiti naturali, la scienza degli interpreti, avesse proiettato su di esso la dimensione spaziale dei diversi settori entro cui i segni della volontà divina si sarebbe manifestata.
Percorso dal macrocosmo al microcosmo
Perchè il fegato di Piacenza era un manuale per prendere decisioni?
L'archeologo Antonio Gottarelli ha descritto la storia delle interpretazioni del Fegato di Piacenza nell'ebook del 2017 "Cosmogonica. Il fegato di Tiāmat e la soglia misterica del tempo. Dai miti cosmologici del Vicino Oriente Antico ad una nuova interpretazione del fegato etrusco di Piacenza.".

Sulla scelta del fegato quale "immagine del mondo" nel pensiero mesopotamico, citando le opinioni del linguista Wilhelm Deecke, egli scrive (p.47):

[image:image-3] Per cogliere il nesso che lega il fegato con il 'Templum' celeste e con l'immagine del Mondo, è necessario riprendere il filo di quella domanda alla quale, nelle prime fasi di ricerca, non venne dato alcun seguito e a cui solo Deecke provò a dare una risposta, per altro ricca di felici intuizioni. Dopo una breve rassegna sulle tradizioni epatoscopiche tra i popoli del Mediterraneo, egli aveva affermato: "E arriviamo con ciò agli antichi luoghi cultuali di saggezza sumerica in Mesopotamia, che da sempre hanno dato grande importanza alla mitologia, al misticismo e al vaticinio. Cerchiamo ora a fondo come il fegato è arrivato a questo: (...) fu talmente il primo, che esso fu considerato come l'origine e il punto principale della vita, quando avviene l'alimentazione attraverso di esso dell'embrione; mentre la 'vena umbilicalis' attraverso cui la madre nutre il bambino e che viene tagliata dalla nascita, entra vicinissima nel fegato e manda le sue due ramificazioni principali nelle due membrane (...). Poi il fegato dovette apparire davanti a tutte le viscere per la sua grandezza e forma particolare ed in seguito alla dottrina del macrocosmo e microcosmo si giunse a vedere in esso una raffigurazione del mondo, a considerare di mettere in relazione le sue singole parti come parti del tutto, della terra, dello stato, come del singolo uomo.

Sull'interpretazione del fegato egli scrive (pp.26-44):

Che cosa è allora il fegato di Piacenza? Alla domanda Maggiani risponde con l'unico compromesso possibile tra le diverse opinioni espresse in più di cento anni di studi, cogliendo la sintesi di un percorso fortemente condizionato dalle ipotesi di partenza. Non diversamente da quanto preannunciò Deecke più di un secolo prima, il modello bronzeo è dunque uno strumento, o promemoria, in uso presso un aruspice, su cui si riflette una complessa stratificazione dottrinaria  collegata con diverse pratiche divinatorie: sicuramente l'extispicina, l'osservazione del fulmine e l'astrologia. ma come convivono le diverse discipline all'interno del modello? "A garantire la stretta connessione fra questi piani diversi, extispicina, astrologia, scienza e filosofie greche, questa complessa costruzione è stata racchiusa in un anello rigido, costituito dalla griglia delle sedici regioni nelle quali gli etruschi dividevano il cielo. L'elemento di connessione tra i vari livelli interpretativi è dunque costituito dai nomi di divinità all'interno dei diversi settori, sebbene tra nastro periferico e parti interne non vi sia un legame funzionale diretto. L'anello esterno definisce dunque il sistema gerarchico e discendente delle sedi divine sulla volta celeste, mentre l'interno farebbe parte di un più antico substrato collegato con le pratiche epatoscopiche. La tesi è chiara: nella divinazione, sia essa rivolta all'autopsia delle viscere, all'osservazione del fulmine o all'interpretazione degli eventi astronomici, lo scopo dell'aruspice è infatti quello di riconoscere gli 'ostenta' , e cioè quegli eventi portentosi che sono indizio e sede di un segno divino. Se dunque al microcosmo del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, allora si spiegherebbe come mai, nei diversi ambiti naturali, la scienza degli interpreti, avesse proiettato su di esso la dimensione spaziale dei diversi settori entro cui i segni della volontà divina si sarebbe manifestata. Scriveva già Deecke: "Come certe divinità avevano il loro punto essenziale in ogni regione del cielo, della terra, del corpo, lì valevano ed erano attivi, e i segni che vi appaiono furono attribuiti ad essa, così anche per il fegato". Il fegato è quindi da considerarsi il 'templum' del corpo, su cui, per l'analogia microcosmica-macrocosmica, si riflette l'ordine celeste: "anch'esso fu orientato, squartato dal cardo e decumano e diviso in metà propizie e sfavorevoli; anch'esso ebbe le sue sedici zone marginali e i suoi settori. le sue parti (...) tutte consacrate a determinate divinità, che lì si sono manifestate, così che l'aruspice potesse facilmente condurre quella piccola anomalia a un punto determinato, su una determinata divinità, e interpretarla secondo le solite regole.

L'etruscologo Adriano Maggiani scrive:

La storia degli studi sul fegato di Piacenza è strettamente intrecciata fin dall’inizio con il tentativo di collegare la extispicina etrusca, celebratissima nella antichità, con l’altra scuola epatoscopica la cui fama, legata a una solida tradizione delle fonti, ha trovato illuminanti conferme nella scoperta di decine di modelli di fegato iscritti, quella babilonese-caldea. Il confronto tra queste due grandi tradizioni, che ha trovato convinti sostenitori tra gli etruscologi e gli storici delle religioni, primo fra tutti il Thulin, ha tuttavia spesso fuorviato gli studiosi, con la soverchiante suggestione esercitata da un sistema, quello babilonese, ampiamente strutturato e dettagliatamente conosciuto.

Il linguista Fabio Rossi scrive:

Questo modellino bronzeo di fegato trova riscontro in altri trovati in Etruria ma fatti di terracotta, del tutto simili, a quelli trovati, in numero di circa 30, nella lontana Babilonia. E questa notevole corrispondenza costituisce evidentemente una importante conferma dell’origine medio-orientale degli Etruschi. Resta da spiegare come mai un tale reperto sia stato trovato in una zona dove non c’erano insediamenti etruschi e a così poca profondità nel terreno. La tesi più accreditata è che tale manuale sia stato perduto da un aruspice etrusco al seguito di qualche condottiero romano durante una campagna militare. I generali romani erano usi portare con se aruspici che li guidassero nelle decisioni da prendere in battaglia.

Il cesellatore Roberto Grimani scrive :

Il Fegato di Piacenza è un modello in bronzo di fegato ovino, rinvenuto nel 1877 a Ciavernasco di Settima, in comune di Gossolengo (PC) è il reperto più noto e prestigioso e costituisce una rara testimonianza diretta di pratiche religiose e scientifiche etrusche. È concordemente datato alla fine del II - inizi del I secolo a.C., mentre più incerto è il suo utilizzo, legato comunque alla divinazione ad opera degli aruspici, mediante l'esame dell'organo della vittima sacrificata. La straordinaria importanza del pezzo, le cui dimensioni sono millimetri 126 X 76 X 60 con un peso di 635 grammi, sta nella serie di iscrizioni di nomi di divinità, che sulla faccia piana dell'oggetto sono organizzate in modo da riflettere l'ordinamento del cielo secondo gli Etruschi. Esso infatti porta incise 40 iscrizioni in lingua etrusca divise in 16 settori; inoltre, due iscrizioni si trovano sulla parte parietale al di sotto. Nei sedici settori sono inscritti i nomi di trenta divinità mitologiche etrusche, ciascun settore corrisponde ad una specifica divisione del cielo, orientato secondo gli assi cardinali e raggruppato in quattro sezioni, riferite ai diversi livelli del cosmo: cielo, acqua, terra, inferi. Seguendo l'orientazione a sud peculiare della religione etrusca, la parte sinistra del cielo (corrisponde a quella destra dell'oggetto) era occupata da divinità favorevoli, quella destra invece era considerata ostile. Sull'altra faccia, convessa, è resa a rilievo la nervatura: ai suoi lati compaiono, con chiaro riferimento astronomico, i nomi del sole (Usil) e della luna (Tivr). Alcuni hanno ipotizzato che l'oggetto in bronzo non sarebbe affatto un fegato ma un'antichissima mappa geografica dell'Italia dando il significato delle forme e delle iscrizioni, orientando il fegato da nord e sud, dal Monte Rosa fino alla Sicilia. Un'ultima ipotesi formulata è che il fegato di Piacenza possa essere un apparecchio radionico etrusco, non dissimile da quello Callegari per facilitare l'analisi delle energie sottili...; a favore della tesi c'è il bastone divinatorio dei sacerdoti etruschi chiamato lituo, piuttosto simile ai moderni biotensor sia nella forma che nell'uso rappresentato, che supporta la tesi di una certa praticità degli aruspici nelle tecniche tipiche della radionica.
Il fegato di Piacenza probabilmente era un manuale decisionale per gli aruspici che accompagnavano le legioni romane, usato prima delle battaglie per tentare di condurre verso la vittoria l'esito del conflitto
Conclusioni (provvisorie): I Sumeri, e in seguito anche gli Etruschi, ritenevano che il fegato rappresentasse l'origine del Mondo, e dunque nelle loro divinazioni, connettevano le divinità in esso rappresentate al loro mondo sociale
I Sumeri, e in seguito anche gli Etruschi, ritenevano che il fegato rappresentasse l'origine del Mondo. Avevano desunto questa convinzione dall'aver osservato che, in ogni madre, la comunicazione con il feto avviene attraverso il cordone ombelicale che si connette al fegato. Al 'macrocosmo' del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, cioè dello spazio circoscritto del cielo in cui si manifestano i segni della volontà divina. Gli aruspici del passato si sono adoperati per connettere il sacro 'macrocosmo' del fegato al 'microcosmo' del mondo sociale umano. Il Fegato di Piacenza è uno dei più enigmatici oggetti divinatori del passato (I secolo a.C.), perchè esso, per la varietà di segni in esso presenti, si è prestato a molte interpretazioni. Le tante interpretazioni testimoniano il processo mentale che gli aruspici del passato hanno intrapreso con metodi scientifici, per prevedere il futuro delle loro imprese. Nella divinazione, sia essa rivolta all'autopsia delle viscere, all'osservazione del fulmine o all'interpretazione degli eventi astronomici, lo scopo dell'aruspice è quello di riconoscere gli 'ostenta' , e cioè quegli eventi portentosi che sono indizio e sede di un segno divino. Se dunque al 'macrocosmo' del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, allora si spiegherebbe come mai, nei diversi ambiti naturali, la scienza degli interpreti, avesse proiettato su di esso la dimensione spaziale dei diversi settori entro cui i segni della volontà divina si sarebbe manifestata. Sull'interpretazione del fegato l'archeologo Antonio Gottarelli scrive: "Che cosa è allora il fegato di Piacenza? Alla domanda [l'etruscologo] Maggiani risponde con l'unico compromesso possibile tra le diverse opinioni espresse in più di cento anni di studi, cogliendo la sintesi di un percorso fortemente condizionato dalle ipotesi di partenza. Non diversamente da quanto preannunciò [l'archeologo] Deecke più di un secolo prima, il modello bronzeo è dunque uno strumento, o promemoria, in uso presso un aruspice, su cui si riflette una complessa stratificazione dottrinaria  collegata con diverse pratiche divinatorie: sicuramente l'extispicina, l'osservazione del fulmine e l'astrologia. Ma come convivono le diverse discipline all'interno del modello? "A garantire la stretta connessione fra questi piani diversi, extispicina, astrologia, scienza e filosofie greche, questa complessa costruzione è stata racchiusa in un anello rigido, costituito dalla griglia delle sedici regioni nelle quali gli etruschi dividevano il cielo. L'elemento di connessione tra i vari livelli interpretativi è dunque costituito dai nomi di divinità all'interno dei diversi settori, sebbene tra nastro periferico e parti interne non vi sia un legame funzionale diretto. L'anello esterno definisce dunque il sistema gerarchico e discendente delle sedi divine sulla volta celeste, mentre l'interno farebbe parte di un più antico substrato collegato con le pratiche epatoscopiche.
La tesi è chiara: nella divinazione, sia essa rivolta all'autopsia delle viscere, all'osservazione del fulmine o all'interpretazione degli eventi astronomici, lo scopo dell'aruspice è infatti quello di riconoscere gli 'ostenta' , e cioè quegli eventi portentosi che sono indizio e sede di un segno divino. Se dunque al microcosmo del fegato veniva riconosciuta la natura particolare di essere l'immagine del 'templum' celeste, allora si spiegherebbe come mai, nei diversi ambiti naturali, la scienza degli interpreti, avesse proiettato su di esso la dimensione spaziale dei diversi settori entro cui i segni della volontà divina si sarebbe manifestata. Scriveva già Deecke: "Come certe divinità avevano il loro punto essenziale in ogni regione del cielo, della terra, del corpo, lì valevano ed erano attivi, e i segni che vi appaiono furono attribuiti ad essa, così anche per il fegato". Il fegato è quindi da considerarsi il 'templum' del corpo, su cui, per l'analogia microcosmica-macrocosmica, si riflette l'ordine celeste: "anch'esso fu orientato, squartato dal cardo e decumano e diviso in metà propizie e sfavorevoli; anch'esso ebbe le sue sedici zone marginali e i suoi settori. le sue parti (...) tutte consacrate a determinate divinità, che lì si sono manifestate, così che l'aruspice potesse facilmente condurre quella piccola anomalia a un punto determinato, su una determinata divinità, e interpretarla secondo le solite regole". La divinazione consisteva dunque nell'individuare anomalie nel fegato dell'animale sacrificato e connetterle alla divinità corrispondente sul modello.
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Pagina aggiornata il 31 dicembre 2022

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Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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