Epigenetica: quando le parole curano come i farmaci
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Il neurofisiologo Fabrizio Benedetti ha messo in rilievo, nel suo libro "La speranza è un farmaco", l'importanza delle parole nell'influenzare (positivamente o negativamente) la mente di un malato mediante la produzione di sostanze, stimolata dall'effetto delle parole nel cervello del malato. Le sostanze sono prevalentemente neurotrasmettitori, ma anche endocannabinoidi, che controllano dolore, cuore, respirazione e sistema immunitario. Egli scrive: "Le parole e la speranza acquistano un significato diverso rispetto al passato. Le parole possono guarire. Ma le parole possono anche uccidere. E tutto ciò avviene con effetti, meccanismi e azioni simili ai farmaci. La scienza oggi descrive così la speranza, cioè come un'entità concreta che ha il potere e la forza di modificare il cervello e l'intero organismo". L'importanza delle parole che ascoltiamo nel nostro ambiente e della psiche che le riceve viene confermata dall'epigenetica, cioè da quella nuova scienza che studia l'epigenoma, cioè l'insieme dei fenomeni che modificano il DNA senza intaccarne la sequenza, ma regolandone l'espressione.
Le parole che non bisogna dire
Fabrizio Benedetti spiega la differenza tra parole che guariscono e parole che uccidono, con quest'esempio (p.42):


Dal DNA dell'individuo alla sua espressione fisica creata dall'ambiente: ovvero dal genotipo al fenotipo
La variabilità della metilazione del genoma, infatti, è funzione delle condizioni metaboliche, della dieta, degli stili di vita, dello stress, dell’età e dell’assetto genomico; ne consegue che ogni trasformazione del fenotipo è indotta dall’ambiente, modulata epigeneticamente e condizionata geneticamente.
La segnatura epigenetica infiammatoria di un neurone o di una cellula immunitaria, derivante da alimentazione, inquinamento ambientale, stress emozionale o altro, può diventare un pattern stabile di attivazione di quella cellula, con ovvie conseguenze sull'attività dell'organo e quindi sulla salute dell'individuo
Il punto chiave
Le parole sono potenti frecce che colpiscono il bersaglio, proprio come i farmaci. Il nostro cervello è dotato di bersagli chimici emersi nel corso dell'evoluzione, che possono essere colpiti efficacemente sia dalle parole e dall'interazione sociale sia da molecole e farmaci che la specie umana con ingegno ha creato. Tali bersagli sono molto sensibili ai concetti e ai significati di vocaboli e frasi. Una piccola variazione di una singola parola può stravolgere il significato di un concetto e quindi produrre effetti differenti. (Fabrizio Benedetti pp.32-33)
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La farmacia del cervello si è evoluta nel genere Homo, dall'Homo erectus all'Homo habilis, dall'Homo sapiens all'Homo sapiens sapiens, Il suo scopo è quello di aggregare i membri di un gruppo sociale in modo tale che la socialità produca effetti benefici sul singolo individuo. Sentire meno dolore, tollerare maggiormente la fatica, sopportare le avversità di una natura selvaggia che mette a dura prova l'organismo sono tutte condizioni che permettono di ottenere un vantaggio evolutivo. Se i membri di un gruppo sociale, attraverso il loro comportamento compassionevole, si prendono cura del ferito, del vecchio, il gruppo sociale compie un balzo evolutivo che lo contraddistingue dagli altri animali. (Fabrizio Benedetti p.27)
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Occorre qualcosa in più del "pensiero positivo" per assumere il controllo del nostro corpo e della nostra vita. Per la nostra salute e il nostro benessere è essenziale imprimere una direzione positiva alla nostra energia mentale, alimentando pensieri che favoriscono la vita ed eliminando gli onnipresenti pensieri negativi che succhiano la vita e ci debilitano. [...] Se i desideri della mente conscia entrano in conflitto con i programmi della mente subconscia, quale "mente" credete che prevarrà? Potete ripetere all'infinito l'affermazione positiva di essere persone degne d'amore o che il vostro tumore scomparirà, ma se da bambini avete sentito ripetere migliaia di volte che non valete niente e la vostra salute è malferma, questi messaggi programmati nella vostra mente suconscia mineranno alla base i vostri più sinceri sforzi coscienti di cambiare la vostra vita. (Bruce Lipton p.146-147)
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Fino a qualche tempo fa, i biologi erano unanimemente convinti che gli esseri viventi non fossero altro che il prodotto dei rispettivi geni. Con la comparsa dell’epigenetica si è scoperto che il programma contenuto nel DNA può essere espresso, inibito o modulato dal comportamento degli esseri viventi, i quali dispongono di un vero e proprio potenziale di azione sul genoma, in grado di alterarne le funzioni senza, naturalmente, mutarne la sequenza. Per quegli esseri viventi che siamo noi, questa scoperta è palesemente gravida di conseguenze. Sappiamo ora che il nostro comportamento quotidiano, ciò che mangiamo, l’esercizio fisico che pratichiamo, la nostra resistenza allo stress, lo stile di vita che adottiamo, inibiscono o attivano certi geni. (Joël de Rosnay)
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La dimensione psichica dell'uomo è in relazione con quella biologica. Gli eventi mentali, consci e inconsci, agiscono sul patrimonio genetico traducendosi in segnatura epigenetica che modula l'espressione genica alla base della normale fisiologia e dei comportamenti dell'essere umano. Da questi dipenderanno le sue caratteristiche di reazione allo stress e le conseguenze sulla produzione endocrina e sulle modalità di risposta del sistema immunitario. (Luciana Giordo)
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Le modificazioni epigenetiche, tra cui la metilazione del DNA, le modificazioni dell'istone, il rimodellamento della cromatina e gli RNA non codificanti, rappresentano la rete regolatoria alla base dello sviluppo e della differenziazione. Il ruolo fondamentale nell'espressione genica pone l'epigenetica alla testa di molte malattie legate sia allo sviluppo che alla progressione del cancro. La metilazione del DNA è il primo meccanismo che decide il destino delle cellule e l'intero sviluppo degli organismi; per questo motivo la metilazione aberrante è causa di alterato sviluppo ed è responsabile di tumori e di diverse malattie. Negli ultimi anni, la firma di metilazione è stata al centro di numerosi studi per la diagnosi precoce delle malattie, dato il vantaggio di poter rilevare la metilazione del DNA attraverso l'analisi del DNA in libera circolazione. (Michele Longo, Tiziana Angrisano)
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Negli anni di massima presa del paradigma riduzionista, tra il 1939 e il 1943, il biologo statunitense Conrad Waddington propose le sue ricerche, con le quali presentava la sua visione innovativa della biologia e della genetica (Waddington, 1939; 1942); partendo dallo studio dell’embriogenesi, la sua ricerca fu fin dall’inizio orientata all’individuazione di una connessione tra embriologia e genetica, in quanto Waddington era convinto che le dinamiche di formazione di un organismo, che portano dal genotipo al fenotipo, fossero più complesse delle informazioni contenute nei suoi geni. (Alessia Giovannelli p.5)
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L’ontogenesi embriofetale è il periodo più importante della vita sul piano biologico; nel corso dei nove mesi di gestazione il feto programma la propria biochimica in base alle informazioni che gli arrivano attraverso la madre in maniera adattiva e predittiva, come avevano supposto Barker e Hales nel loro paradigma del “fenotipo parsimonioso”, grazie alla plasticità che caratterizza il periodo dello sviluppo, che è massima nel corso dell’ontogenesi (“Developmental plasticity”). (Alessia GIovannelli p. 77)
Un mondo di guaritori e sciamani all'origine delle società umane
Il neurofisiologo Fabrizio Benedetti, molto conosciuto nel mondo scientifico per aver valorizzato l'"effetto placebo" ha messo in rilievo, nel suo successivo libro "La speranza è un farmaco" l'importanza che hanno avuto i "valori altruistici" per la creazione della società umana. Egli scrive (p.25):
Nei primati non umani, nei primi ominidi e poi nell'Homo sapiens, l'interazione con i membri del proprio gruppo sociale era cruciale per il benessere dell'individuo, fino a sfociare nelle figure del guaritore e dello sciamano, che non avevano certo l'armamentario terapeutico adeguato, ma potevano disporre della parole e del contatto umano. Ecco sono questi gli aspetti emersi per primi nel corso dell'evoluzione: il calore umano, l'empatia, la compassione, l'altruismo. E il cervello dell'Homo sapiens si è evoluto in questa direzione, per facilitare le relazioni fra individui, e anche per attenuare il dolore grazie al semplice contatto umano da parte di un membro della famiglia o dello stesso gruppo sociale. Tutto il resto, la morfina, i farmaci e altre terapie, è venuto molto dopo. [...] Il nostro cervello possiede un mosaico di sostanze chimiche che svolgono le più svariate funzioni. Sono state identificate le endorfine, che controllano il dolore e regolano l'attività del cuore, il ritmo del respiro, il sistema immunitario. Sono state identificate sostanze simili alla cannabis, i cosiddetti "endocannabinoidi", che allo stesso modo controllano dolore, cuore, respirazione, sistema immunitario. Ci sono poi una serie di altre sostanze, dalla dopamina alla serotonina, dai trasmettitori lipidici alla colecistochinina.
Rito sciamanico curativo in Borneo (nel 2014)
A Bumbung, una frazione sperduta di Bengkayang, Borneo Occidentale, le persone malate vengono curate attraverso il rituale Pesiak. Un rito ancestrale tramandato di generazione in generazione dai residenti del villaggio per evocare gli spiriti. Utilizzando le foglie pepas, un gancio o il “risucchio” della lingua del malato da parte dello sciamano. (Cliccare per approfondire)
Il neurofisiologo Fabrizio Benedetti scrive: "Gli aspetti emersi per primi nel corso dell'evoluzione sono: il calore umano, l'empatia, la compassione, l'altruismo. E il cervello dell'Homo sapiens si è evoluto in questa direzione, per facilitare le relazioni fra individui, e anche per attenuare il dolore grazie al semplice contatto umano da parte di un membro della famiglia o dello stesso gruppo sociale. Tutto il resto, la morfina, i farmaci e altre terapie, è venuto molto dopo"
Il cervello non può essere concepito come una macchina neuronale, astratto ed “estratto” dal corpo e dall’organismo, dalle relazioni e dall’ambiente
La storica della psicologia e delle neuroscienze Carmela Morabito, descrive la mente come "incarnata", cioè come il prodotto dell'interazione tra l'organismo nella sua interezza e l'ambiente (vedi bibliografia 2016). Ella scrive :
Lo scopo [delle neuroscienze cognitive] è quello di comprendere in quali modi si dia questa emergenza delle funzioni mentali a partire dalle proprietà del cervello come sistema complesso, dinamico e plastico, nelle sue interazioni con l’intero corpo dell’organismo e con il suo “ambiente di vita” inteso anche, e per certi versi soprattutto, come ambiente sociale e culturale. La mente è embodied ed embedded, incarnata in un contesto corporeo, interno, e al tempo stesso costitutivamente inserita in un contesto relazionale, esterno; incarnata e relazionale, queste le due caratteristiche fondamentali della mente. “La mente è il prodotto delle interazioni fra esperienze interpersonali e strutture e funzioni del cervello (…) emerge da processi che modulano flussi di energia e di informazioni all’interno del cervello e fra cervelli diversi (…) si forma all’interno delle interazioni fra processi neurofisiologici interni ed esperienze interpersonali. Lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le esperienze, e in particolare quelle legate a relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati del sistema nervoso. In altre parole, le ‘connessioni’ umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno origine alla mente”. [...] In termini funzionali, non esiste una cosa definibile come ‘un cervello’: un cervello è sempre in interazione con l’ambiente ” (Meares R. 2012, p. 303). “Nel bambino le funzioni regolative intrinseche della crescita del cervello sono adattate in maniera specifica per essere accoppiate, attraverso comunicazioni emozionali, alle funzioni regolative di cervelli adulti più maturi, di persone ‘che sanno di più’. Questa sembra essere una strategia fondamentale generale di apprendimento culturale, che non avviene in cervelli singoli, ma in comunità di cervelli."
Dunque il ruolo dei neurotrasmettitori nel "governare" l'interazione dell'individuo con gli altri e con l'ambiente in generale è fondamentale. Si potrebbe metaforizzare la funzione dei neurotrasmettitori dicendo che ognuno di essi è il musicista di un'orchestra e la musica che ne scaturisce è il comportamento del singolo individuo.
La mente si forma nelle interazioni fra processi neurofisiologici interni (governati dai neurotrasmettitori) ed esperienze interpersonali. Lo sviluppo di strutture e funzioni cerebrali dipende dal modo in cui le esperienze, e in particolare quelle legate a relazioni interpersonali, influenzano e modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati del sistema nervoso. In altre parole, le ‘connessioni/relazioni’ umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno origine alla mente
Il ruolo dell'Epigenetica nel modificare la nostra reazione all'ambiente
Il nostro adattamento all'ambiente dipende dall'epigenetica che lo psicologo Francesco Bottaccioli descrive così nel suo libro: "Epigenetica e Psiconeuroendocrinoimmunologia" (pp. 49-50):
L'epigenetica indica un determinato assetto dell'espressione genetica che condiziona l'insieme delle attività della cellula in risposta agli stimoli ambientali. Si tratta, cioè, di un cambiamento adattativo. [...] Come è possibile che da un'unica cellula, dotata di un unico patrimonio genetico, possa sorgere l'enorme diversità interna che troviamo in un'organismo? Il mistero è spiegabile con la segnatura epigenetica permanente, che, senza cambiare i geni di quella cellula, che diventerà un neurone, o dell'altra, che diventerà un epatocita o una cellula cutanea, ne modula l'espressione genica segnandone permanentemente il destino. Possiamo quindi dire che i meccanismi epigenetici, con modalità e stabilità differenti, intervengono in diversi contesti, o, meglio, in tutte le fasi della vita: dalla formazione dello zigote (ovulo fecondato) allo sviluppo dell'embrione fino alla vita dell'organismo sviluppato (segnando in modo stabile processi di adattamento o disadattamento agli stimoli ambientali. Questa segnatura è stabile ma è reversibile.)
Alessia Giovannelli, nella sua Tesi di laurea esprime chiaramente la nascita dell'Epigenetica e del nuovo approccio medico da essa determinato, compresa una "nuova visione della malattia". Ella scrive:
La fase scientifica che stiamo attraversando è caratterizzata, da un lato, dall’apertura verso nuove strade che portano ad una radicale rivoluzione nel nostro modo di concepire la vita, quali l’Epigenetica e la Psiconeuroendocrinoimmunologia (PNEI); dall’altro, da una forte resistenza al cambiamento da parte del modello medico corrente, che porta principalmente ad ignorare l’origine complessa delle malattie, facilitando così, ad esempio, il trattamento farmacologico e il fallimento della prevenzione. Come scrisse Engel quasi quaranta anni fa, il modello medico dominante si fonda sul riduzionismo, sul dualismo mente-corpo e sull’attenzione al sintomo (Engel, 1977); con l’avvento dell’epigenetica il riduzionismo viene abbandonato e si apre la possibilità di vedere la cellula, il genoma e l’intero organismo attraverso un approccio sistemico, fornendo la base molecolare a molti fenomeni di modulazione dell’espressione genica. Ne deriva una visione complessa dell’individuo, caratterizzata dalla reciproca influenza della sua dimensione culturale e della sua dimensione biologica. La malattia, in particolare, viene ad essere interpretata aldilà dei limiti della tradizionale genetica di popolazione, in un contesto, cioè, che tenga conto anche della dinamica a breve termine del genoma, sia ontogenetica che transgenerazionale; esso, infatti, non è più visto come una rigida sequenza di basi, ma come uno dei molteplici moduli dinamici capaci anche di evoluzione a breve termine, persino nel corso di una sola vita. Le basi di questa visione della malattia furono poste negli anni ’90 da David Barker, il quale elaborò una teoria sulle origini embriofetali delle malattie dell’adulto (DOHaD: Developmental Origins of Health and Disease) (Barker et al., 1993; Barker, 1994). Nel corso di questo lavoro vedremo che l’ipotesi di Barker ha avuto importanti e molteplici riscontri epidemiologici, ma soprattutto, nei vent’anni che l’hanno seguita, l’epigenetica è riuscita ad evidenziarne i possibili meccanismi molecolari in grado di darne una spiegazione causale. E’ del 1809 la pubblicazione dell’opera più famosa del naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck “ Philosophie zoologique”, nella quale per primo spiega una teoria sull’evoluzione degli organismi viventi; secondo Lamarck gli organismi sarebbero il risultato di un processo di graduale modificazione che avverrebbe sotto la pressione delle condizioni ambientali, in base a due leggi tra loro collegate: “Legge dell’uso e del non uso”, secondo la quale un organo si sviluppa quanto più è utilizzato e regredisce quanto meno è sollecitato. “Legge dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti”, secondo la quale il carattere acquisito dall’organismo durante la sua vita viene trasmesso alla progenie. In questo modo i vari adattamenti, accumulandosi e trasmettendosi attraverso le generazioni, avrebbero dato luogo a nuove specie, diverse da quelle originarie per effetto del costante adattamento all’ambiente (Lamarck, 1809). Cinquanta anni dopo, nel 1859, fu pubblicata l’opera più famosa di Charles Darwin “L’origine delle specie”, nella quale l’autore espose la sua teoria dell’evoluzione, basata sul caso e sulla necessità; nelle varie specie, uomo compreso, si avrebbero delle mutazioni naturali casuali, che intervengono nel momento della riproduzione, e sarebbe poi l’ambiente a “salvare” quelle con caratteristiche adatte alla sopravvivenza e ad “eliminare” le altre; gli individui con il carattere adatto, più forti e più sani, quindi, potrebbero sopravvivere, riprodursi e trasmetterlo alla prole, garantendo l’evoluzione della specie per selezione naturale e per selezione sessuale (Darwin, 1859).
La fase scientifica che stiamo attraversando è caratterizzata da una forte resistenza al cambiamento da parte del modello medico corrente, che porta principalmente ad ignorare l’origine complessa delle malattie, facilitando così, ad esempio, il trattamento farmacologico e il fallimento della prevenzione
Cosa si può fare per correggere le proprie marcature epigenetiche
Alessia Giovannelli, nelle conclusioni della sua tesi di laurea scrive (pp. 77-78):
I primi stadi dello sviluppo, dunque, rappresentano un periodo cruciale per la formazione e il mantenimento delle marcature epigenetiche, che potranno persistere per tutta la vita dell’individuo; inoltre, l’esposizione a determinate condizioni ambientali nel periodo embrionale è in grado di influenzare la suscettibilità alle malattie nel corso della generazione successiva o di più generazioni, come hanno dimostrato, ad esempio, gli studi citati sugli interferenti endocrini. Ne consegue che l’epigenetica può avere molteplici implicazioni: innanzi tutto può consentire di rintracciare nelle “impostazioni iniziali della vita” le radici di disordini che si manifestano nella vita adulta; può aprire possibilità di diagnosi precoce su modificazioni cellulari epigenetiche, che possono portare a patologie quali cancro, malattie cardiovascolari, malattie autoimmuni, disturbi del neurosviluppo ed altre; può aprire la possibilità di attuare interventi di correzione della marcatura epigenetica, sia tramite farmaci, sia tramite il comportamento, quali alimentazione, attività fisica, gestione dello stress, ecc. E’ ormai appurato, quindi, che non è possibile valutare il rischio di incidenza di una patologia associabile a specifiche variazioni genetiche senza considerare il contesto ambientale che condiziona l’espressione o il silenziamento di tali varianti genetiche. Questo rappresenta una grande sfida per il futuro della Genetica medica e dell’epidemiologia, aprendo uno scenario molto complesso e inimmaginabile fino a pochi anni fa, quando gli esiti del Progetto Genoma sembravano un punto di arrivo. Il Progetto Epigenoma Umano è iniziato ed è ancora in corso.
Alessia Giovannelli scrive: "Mentre, quando era dominante il “dogma centrale della biologia molecolare” di Crick, la vita era concepita come il casuale prodotto dell’informazione genica, con il paradigma epigenetico la vita diventa capace di retroagire sulle condizioni che l’hanno prodotta; si passa, quindi, da una visione deterministica e meccanicistica ad una complessa e sistemica: il DNA è solo la molecola di base, un prodotto potenziale che fa parte di un network molecolare complesso contenuto nel nucleo di tutte le cellule e composto da proteine, enzimi, RNA minori che ruotano attorno al DNA, riconfigurandolo continuamente. In questa visione acquista un’importanza fondamentale il flusso continuo di informazioni chimico-fisiche e psichiche che arrivano all’individuo dall’ambiente fisico e sociale in cui vive e che lo inducono a modificarsi nel tempo nella sua componente epigenetica. La variabilità della metilazione del genoma, infatti, è funzione delle condizioni metaboliche, della dieta, degli stili di vita, dello stress, dell’età e dell’assetto genomico; ne consegue che ogni trasformazione del fenotipo è indotta dall’ambiente, modulata epigeneticamente e condizionata geneticamente"
Francesco Bottaccioli scrive: "E' oggi in corso una rivoluzione medica che riguarda due branche: la prima è quella epigenetica, che, attraverso i meccanismi di regolazione epigenetica (metilazione del DNA, rimodellamento della cromatina, azione dei microRNA) stabilisce le vie di attivazione genica che verranno segnate epigeneticamente". La seconda è quella "psiconeuroendocrinoimmunologica" che si occupa delle relazioni bidirezionali tra psiche e sistemi biologici. "Questo significa che la psiche è in grado di modificare l'attività e l'assetto dei sistemi biologici (il nervoso, l'endocrino, l'immunitario, i sistemi metabolici) che, a loro volta, sono in grado di modificare l'attività e l'assetto della psiche"
Conclusioni (provvisorie): una nuova visione della malattia
Il neurofisiologo Fabrizio Benedetti ha messo in rilievo, nel suo libro "La speranza è un farmaco", l'importanza delle parole nell'influenzare (positivamente o negativamente) la mente di un malato mediante la produzione di sostanze, stimolata dall'effetto delle parole nel cervello del malato. Le sostanze sono prevalentemente neurotrasmettitori, ma anche endocannabinoidi, che controllano dolore, cuore, respirazione e sistema immunitario. Egli scrive: "Le parole e la speranza acquistano un significato diverso rispetto al passato. Le parole possono guarire. Ma le parole possono anche uccidere. E tutto ciò avviene con effetti, meccanismi e azioni simili ai farmaci. La scienza oggi descrive così la speranza, cioè come un'entità concreta che ha il potere e la forza di modificare il cervello e l'intero organismo". L'importanza delle parole che ascoltiamo nel nostro ambiente e della psiche che le riceve viene confermata dall'epigenetica, cioè da quella nuova scienza che studia l'epigenoma, cioè l'insieme dei fenomeni che modificano il DNA senza intaccarne la sequenza, ma regolandone l'espressione.
per scaricare le conclusioni (in pdf):

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Bibliografia (chi fa delle buone letture è meno manipolabile)
- Fabrizio Benedetti (2012), L'effetto placebo - Breve viaggio tra mente e corpo - Carocci Editore
- Fabrizio Benedetti (2015), EFFETTO PLACEBO: UN VIAGGIO TRA MENTE E CORPO. INTERVISTA - The state of mind
- Fabrizio Benedetti (2009), Il mondo mi fa male
- Karen Dion, Ellen Berscheid (1972), What is beautiful is good (PDF)
- Francesco Bottaccioli (2014), Epigenetica cerebrale, i segni dell’ambiente e della società nel cervello (PDF)
- Molly Campbell (2020), Genotype vs Phenotype: Examples and Definitions
- Alessia Giovannelli (2015), L’EPIGENETICA E LA TEORIA DELLE ORIGINI EMBRIOFETALI DELLE MALATTIE DELL’ADULTO (DOHaD) (PDF) [Tesi di laurea]
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Pagina aggiornata il 23 agosto 2021