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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Intelligenza sociale: qual è lo scopo di ogni conversazione sana
TEORIE > CONCETTI > QUANTISTICA2
Scopo di questa pagina
Esistono "buone conversazioni", cioè nutrienti ed emotivamente soddisfacenti, e "cattive conversazioni", cioè vuote di contenuti ed emotivamente infastidenti. La conversazione con un'altra persona è un'attività che facciamo quotidianamente, ma spesso ci costringe a chiederci cosa la renda difficile. Se essa avviene con una persona che già conosciamo sappiamo cosa aspettarci, e quindi sappiamo quale "maschera comportamentale" indossare per risponderle. Tuttavia veniamo spesso indispettiti dalla difficoltà di intrattenere una "buona conversazione", soprattutto con le persone care (un familiare, un partner, un amico/a). Se la conversazione avviene invece con degli sconosciuti può sorprenderci l'incontro con parlatori compulsivi, narcisisti, ansiosi, o sociopatici, ma in questo caso possiamo modificare rapidamente il nostro stile conversazionale o addirittura sottrarci alla conversazione.
Questa pagina cerca di chiarire alcuni aspetti che guidano ogni conversazione, dal punto di vista linguistico, psicologico, emotivo, semiotico, e di proporre strategie per migliorare la qualità delle nostre buone conversazioni o per modificare le nostre cattive conversazioni.

Conversazione patologica
altan
What did you say?
What did you say?
Punto chiave di questa pagina
DALLA COMUNICAZIONE ALLA CONVERSAZIONE: Dal punto di vista linguistico, quando si diventa coscienti di sé si dà per scontato che la chiave d'accesso a se stessi sia la parola "io", cioè il soggetto che parla (il soggetto di un enunciato). Non si pronuncia esplicitamente "io" se non rivolgendosi ad un altro, un "tu". In questo modo può nascere un dialogo, come scrivono i semiologi Valentina Pisanty e Roberto Pellerey nel libro "Semiotica e interpretazione" (p.157): "Io e tu si implicano vicendevolmente e, insieme, costituiscono la "condizione di dialogo" che è la condizione fondamentale del linguaggio in atto, ovvero della comunicazione intersoggettiva. Anche nel caso in cui né l'uno né l'altro pronome vengano resi espliciti all'interno di un certo discorso, la loro presenza è implicita e sempre presente (sebbene lo sia a livello virtuale). Questo perchè io e tu (la polarità delle persone) forniscono le coordinate indispensabili alla costruzione di una situazione di discorso."
Punti di riflessione
L’uomo non può giungere in chiaro con se stesso da solo. La ricerca che lo concerne non può cominciare e finire nel recinto chiuso della suo individualità; può essere soltanto il frutto di un dialogare continuo con gli altri come con se stesso. (Nicola Abbagnano su La Repubblica di Platone)
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Ci sono molti percorsi che possiamo studiare attraverso la lente dell'analisi del discorso, incluso il discorso durante un dibattito politico, il discorso nella pubblicità, nei programmi televisivi / media, nelle interviste e nella narrazione. Osservando il contesto dell'uso del linguaggio, non semplicemente le parole, possiamo comprendere strati sfumati di significato che vengono aggiunti dagli aspetti sociali o istituzionali sul lavoro, come il genere, lo squilibrio di potere, i conflitti, il background culturale e il razzismo. (Richard Nordquist)
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Nelle sue interviste, la psicologa Sherry Turkle ha osservato una profonda delusione per gli esseri umani, che sono imperfetti e smemorati, bisognosi e imprevedibili, in modi che le macchine sono programmate per non essere. (Jonathan Franzen)
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La conversazione è il principio organizzativo di Turkle perché gran parte di ciò che costituisce l'umanità è minacciata quando la sostituiamo con la comunicazione elettronica. La conversazione presuppone la solitudine, ad esempio, perché è nella solitudine che impariamo a pensare da soli e a sviluppare un senso di sé stabile, essenziale per accettare le altre persone per come sono. (Jonathan Franzen)
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L'antropologo Terrence Deacon sostiene che una parola non è semplicemente una etichetta da appiccicare a una cosa, ma è un processo semiotico, dinamico e, in ultima analisi, biologico. L’uomo, più di ogni altro animale, è riuscito a portare il processo comunicativo oltre la soglia simbolica innescando processi di memoria, referenza, rappresentazione altamente sofisticati. (Roberto Bottini, Stefania Benetti)
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L'assertivo sa che essere persona significa avere la coscienza di appartenere al genere umano, significa che non possiamo trattare nessuno come estraneo. (Roberto Anchisi, Mia Gambotto Dessy - p.29)
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Parlare serve quando le parole raccolgono quello che il silenzio – e l’ascolto – hanno seminato. Altrimenti è come disperdere al vento semi che non sappiamo se troveranno mai dimora. (Nicoletta Cinotti)
Nella conversazione, dì solo ciò che è vero, pertinente e chiaro. Evita l’inganno, l’irrilevanza, l’ambiguità e la verbosità. La comunicazione di qualità è concisa e onesta. Il Rasoio di Grice elimina il rumore per rivelare il significato
L'uso del linguaggio, in un discorso, crea l'identità del soggetto parlante
Il linguaggio è implicato in molti processi mentali, oltre a quello più noto della comunicazione. Io preferisco evidenziare quello che mi sembra più importante: nella seconda metà del '900 il linguista Emile Benveniste ha proposto per il linguaggio uno scopo diverso da quello convenzionale della comunicazione.
Tale scopo consiste nel fatto che l'essere umano si costituisce come "soggetto" pensante attraverso il linguaggio perchè solo il linguaggio fonda nella realtà il concetto di "ego". Ciò non significa che, se non si parla, non si diventa consapevoli della propria individualità ma, come la psicologia novecentesca ha dimostrato: quando si dialoga con qualcuno si diventa consapevoli di se stessi e della propria separazione dagli altri e dal mondo: questo processo, che avviene nell'infanzia tra ogni madre e il suo bambino è stato ipotizzato, tra gli altri, dagli psicoanalisti Donald Winnicott e Daniel Stern (vedi box sottostante e le pagine solitudine e isolamento, svantaggi del linguaggio e differenziazione del sé).
Dal punto di vista linguistico, quando si diventa coscienti di sé si dà per scontato che la chiave d'accesso a se stessi sia la parola "io", cioè il soggetto che parla (il soggetto di un enunciato). Non si pronuncia esplicitamente "io" se non rivolgendosi ad un altro, un "tu". In questo modo può nascere un dialogo, come scrivono i semiologi Valentina Pisanty e Roberto Pellerey nel libro "Semiotica e interpretazione" (p.157):

Io e tu si implicano vicendevolmente e, insieme, costituiscono la "condizione di dialogo" che è la condizione fondamentale del linguaggio in atto, ovvero della comunicazione intersoggettiva. Anche nel caso in cui né l'uno né l'altro pronome vengano resi espliciti all'interno di un certo discorso, la loro presenza è implicita e sempre presente (sebbene lo sia a livello virtuale). Questo perchè io e tu (la polarità delle persone) forniscono le coordinate indispensabili alla costruzione di una situazione di discorso.

Le relazioni interpersonali hanno come elemento principale il "discorso", intendendo con questo termine ciò che lo differenzia dalla "lingua", cioè l'azione di rivolgersi ad un "Altro" diverso da sé, del quale apprezzare le differenze rispetto a se stessi. Riprendendo quanto Valentina Pisanty e Roberto Pellerey, sulla scorta di quanto scritto da Emile Benveniste, hanno riportato nel loro libro (p.155):

E' nel discorso che la lingua, in quanto sistema astratto di opposizioni e differenze, assume una forma specifica e si attualizza, prendendo vita. Inoltre, è grazie alla capacità della lingua di convertirsi in discorso che l'essere umano si costituisce come soggetto, provvisto di una propria identità individuale, sociale, culturale.
Secondo Carl Gustav Jung il  "sé"  ha il compito di rappresentare l'unità e la totalità della psiche individuale (sia conscia sia inconscia). Il sè precede la costruzione dell'Io cosciente ed è espressione delle potenzialità dell'individuo
La scissione del sé nel bambino: Sé verbale ("falso Sé") e Sé esistenziale ("vero Sé")
Il concetto del "Sé" è multiforme ed appare tardi nell'opera di diversi psicoanalisti, il primo a parlarne è Carl Gustav Jung nel libro "Tipi psicologici" nel quale egli assegna al "Sé" il compito di rappresentare l'unità e la totalità della psiche individuale (sia conscia sia inconscia). Per Jung il "Sé" precede la costruzione dell'Io cosciente ed è espressione delle potenzialità dell'individuo, meta della sua realizzazione che si ottiene tramite il processo di "individuazione". Per approfondire il concetto di sé andare alla pagina "Differenziazione del sé".
Ogni bambino cresce immerso nella voce della madre, e sviluppa una propria attività intenzionale comunicativa quando sa differenziare pensieri ed emozioni propri da quelli della madre. Secondo lo psicoanalista Donald Winnicott il linguaggio scinde il Sé del bambino facendo sì che il Sé verbale ("falso Sé") e il Sé esistenziale ("vero Sé") possano essere molto distanti. Prima di acquisire il linguaggio il bambino può solo vivere la realtà percepita dai sensi, invece, dopo aver acquisito la capacità linguistica e il relativo pensiero simbolico, il bambino può distorcere e trascendere la realtà, nel bene e nel male. Per approfondire ciò che è stato ipotizzato accada nella mente di ogni bambino nel rapporto con la madre, riguardo al linguaggio, andare alla pagina: "Svantaggi del linguaggio".



è grazie alla capacità della "lingua" di convertirsi in "discorso" che la lingua si attualizza prendendo vita nel riconoscere un "altro" diverso da se e, in quel momento, l'essere umano si costituisce come "soggetto", provvisto di una propria identità individuale, sociale, culturale
Differenziazione del sè
L’asserzione di Bowen – vedere la propria famiglia come un insieme di persone – dava allo sguardo la capacità di conoscere l’altro e di riconoscerne la diversità, prerogativa per l’accettazione della sua peculiarità. (Cliccare per approfondire) Trovo riconducibile, a questo proposito, un passo del Vangelo di Luca. Nel racconto del triplice rinnegamento di Simon Pietro, l’evangelista descrive la reazione del Cristo al tradimento con queste parole: “allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro (Lc22-61).
Cosa succede in ogni conversazione
dialogo
Ogni vera conversazione con un essere umano è sempre stata (ed è) faticosa e difficile perchè, se incalzati dalle domande dell'altro, siamo costretti a ridefinire continuamente la nostra identità. Questo è proprio lo scopo delle relazioni: non esisteremmo se non avessimo delle relazioni su cui poter contare e alle quali far riferimento per "definire noi stessi".
Cos'è un essere umano se non un soggetto che dialoga (con se stesso o con altri)
La coscienza di sé è possibile solo per contrasto e ogni persona la acquisisce lentamente, durante la crescita, differenziandosi (a volte faticosamente) dalla propria famiglia. Quest'importante processo mentale è descritto alla pagina "Differenziazione del sé". L'analisi del discorso assume allora caratteristiche diverse dalla semplice analisi grammaticale, come evidenzia il linguista Richard Nordquist, che scrive (vedi bibliografia 2020):

A differenza dell'analisi grammaticale, che si concentra sulla struttura delle frasi, l'analisi del discorso si concentra sull'uso ampio e generale del linguaggio all'interno di particolari gruppi di persone. Un'altra importante distinzione è che mentre i grammatici tipicamente costruiscono gli esempi che analizzano, l'analisi del discorso si basa su scritti e di scorsi reali del gruppo sotto analisi per determinare l'uso popolare. In termini di analisi testuale, i grammatici possono esaminare i testi isolatamente per discipline quali l'arte della persuasione o la scelta delle parole (dizione), ma solo l'analisi del discorso tiene conto del contesto sociale e culturale di un dato testo.

Ma prima di essere in grado di conversare bisogna aver avuto, da bambini, una "nutrizione linguistica" adeguata, e devono essere i genitori a soddisfare l'appetito dei loro bambini per il linguaggio nell'età prescolare. Ciò è sostenuto da molti pedagogisti e psicologi dello sviluppo infantile tra i quali Laureen Head Zauche et Al. (vedi bibliografia 2017), i quali sostengono che:

[Occorre favorire] l'apprendimento delle lingue durante la prima infanzia attraverso l'alimentazione linguistica: la quantità e la qualità del linguaggio che un bambino sente quotidianamente. La nutrizione linguistica può essere suddivisa in ulteriori sottoparti, tra cui le seguenti: il numero di parole a cui è esposto un bambino, l'intonazione del discorso (l'uso di parole acute e basse in una frase) e la casa del bambino (prima lingua). In effetti, gli studi hanno dimostrato che più parole vengono dette a un bambino, migliori saranno le capacità di lettura e scrittura del bambino, la comprensione delle parole e la dimensione del vocabolario. In sostanza, proprio come i bambini hanno bisogno di un'alimentazione speciale per crescere sani e forti, i bambini hanno bisogno di un input linguistico speciale per sviluppare le abilità linguistiche. La nutrizione linguistica che ogni bambino riceve varia a causa di molti fattori tra cui il reddito dei genitori, l'esperienza lavorativa e l'istruzione. Ciò significa che nel momento in cui i bambini iniziano la scuola, la quantità di nutrizione linguistica a cui ogni bambino è stato esposto è molto ampia. Di conseguenza, c'è anche una vasta gamma di preparazione scolastica tra i bambini piccoli. La ricerca ha dimostrato che le abilità linguistiche di un bambino all'età di 3 anni predicono la sua abilità linguistica al 3 grado scolastico, dimostrando l'importanza dell'alimentazione linguistica precoce per i potenziali risultati accademici futuri"
Un dialogo è sempre anticipazione di ciò che l'altro sta per dire
Negli ultimi anni, molti neuroscienziati sono arrivati ​​a vedere il cervello come una "macchina di previsione": anticipiamo costantemente gli eventi nel mondo che ci circonda in modo da potervi rispondere in modo rapido e preciso. Invece di elaborare i suoni, metterli in parole e poi le parole in frasi, possiamo prevedere parole e suoni in base al contesto, e il nostro cervello ne approfitta.
(Cliccare per approfondire)
Patrimonio lessicale e ambiente familiare: 32 milioni di parole in meno
Uno dei fattori più importanti nello sviluppo di una società è la lotta alla povertà verbale infatti, come scrive Maryanne Wolf nel libro "Proust e il calamaro" citando varie ricerche (pp.114-115): a cinque anni, alcuni bambini cresciuti in ambienti linguisticamente poveri hanno ascoltato 32 milioni di parole in meno rispetto al tipico bambino appartenente al ceto medio. [...]

Nella maturazione linguistica del bambino, niente è isolato e senza conseguenze. [...] Nello sviluppo iniziale delle abilità linguistiche, uno dei principali aiuti alla futura capacità di leggere è semplicemente la quantità di tempo riservata al 'chiacchierare a tavola'.

L'importanza di di gesti così banali come parlare al bambino, leggergli qualcosa e ascoltarlo è una parte importante dello sviluppo linguistico iniziale, ma la realtà di molte famiglie (alcune economicamente disagiate, altre no) è tale che viene dedicato troppo poco tempo perfino a queste attenzioni elementari prima che il bambino raggiunga i cinque anni. [...] Tutti i professionisti che si occupano di bambini possono aiutare a fare in modo che i genitori prendano coscienza del contributo che possono dare alle capacità future dei figli.

L'interazione madre-bambino
I neonati sono preparati a interagire con le persone. Già nel corso delle prime quindici ore distinguono la voce della madre e la preferiscono a quella di estranei (DeCasper e Fifer, 1980), così come ne preferiscono l'odore (MacFarlane, 1975) e il volto (Field et al., 1982). (Cliccare per approfondire)
A cinque anni, alcuni bambini cresciuti in ambienti linguisticamente poveri, hanno ascoltato 32 milioni di parole in meno rispetto al tipico bambino appartenente al ceto medio. L'importanza di gesti così banali come parlare al bambino, leggergli qualcosa e ascoltarlo è una parte importante dello sviluppo linguistico iniziale
Cibernetica e Conversazione
La conversazione cibernetica per una comunicazione efficace: il modello di Gordon Pask
Lo psicologo e cibernetico Gordon Pask è stato un teorico dell'apprendimento e ha studiato come avvengono le interrelazioni tra esseri umani (in assenza di effetti emotivi e nevrotici: si può ritenere un processo puramente ideale). Oggi le conversazioni cibernetiche hanno avuto nuova attenzione a causa dell'incremento di relazioni tra umani e macchine o tra macchine e macchine. Negli anni '50 del Novecento, importanti studiosi quali Gregory Bateson e Paul Watzlavick hanno condotto studi sugli scambi comunicativi umani e artificiali (per approfondire vedi "che cos'è l'interazione").
Gordon Pask ha proposto che, tra persone dotate di un buon equilibrio psichico,  il processo di apprendimento avvenga mediante un accordo consensuale di attori interagenti in un dato ambiente ("conversazione"). Egli ha costruito delle macchine per sperimentare il processo conversazionale (Musicolour) che hanno permesso, pur con i mezzi tecnologicamente poveri di allora, esperienze immersive interattive. Egli ha quindi proposto una sua  "Teoria della conversazione" (vedi bibliografia Pangaro):

Le conversazioni iniziano con un partecipante che ha una sorta di obiettivo, specifico o generale, articolato o informe. Le conseguenze del perseguimento di tale obiettivo nella conversazione possono essere caratterizzate con i seguenti elementi:

1.Contesto - un momento, una situazione, un luogo e/o una storia condivisa preparano il terreno per [...];

2. Linguaggio - almeno un mezzo iniziale condiviso per trasmettere significato, per iniziare uno [...];

3. Scambio - coinvolgimento in interazioni basate sul linguaggio che possono costruire un [...];

4. Accordo - comprensione (sufficientemente) condivisa di concetti, intenti, valori, ciò che potrebbe portare a [...];

5. Azione o (trans) azione - un'interazione coordinata in domini diversi dal linguaggio, ad esempio, commercio, contratti, danza, giochi


Il modello conversazionale di Gordon Pask
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Gordon Pask e la sua macchina Musicolour
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Le conversazioni iniziano con un partecipante che ha una sorta di obiettivo, specifico o generale, articolato o informe. Secondo Gordon Pask, le conseguenze del perseguimento di tale obiettivo vengono caratterizzate (nella conversazione) con i seguenti elementi: contesto, linguaggio, scambio, accordo, azione o (trans) azione
Linguistica e conversazione
La mappa concettuale seguente è basata sulle idee dei linguisti John Austin, Paul Grice, Dan Sperber, Deirdre Wilson, ed Emile Benveniste, riassunte dai semiologi Valentina Pisanty e Roberto Pellerey nel libro "Semiotica e interpretazione" (pp.127-163). La mappa è scaricabile in formato PDF cliccando sull'immagine o qui.
Cos'è una conversazione secondo la linguistica (Mappa concettuale)
Secondo la linguistica novecentesca, ogni conversazione tra due soggetti si basa su un'intenzione comunicativa di un parlante (soggetto1) verso un ascoltatore (soggetto2). Lo scopo del parlante è quello di agire sul sistema cognitivo dell'ascoltatore, mentre lo scopo dell'ascoltatore è quello di cogliere le intenzioni del parlante. Quando la conversazione è "sana" deve produrre un'informazione "pertinente", cioè un'informazione che modifica o migliora la rappresentazione che il ricevente ha del mondo
Per costruire il significato di un incontro relazionale, l'analisi del discorso aggiunge gli elementi che mancano alla lingua
L'analisi del discorso, per costruire il significato di un incontro relazionale, aggiunge tutti gli elementi mancanti alla sintassi e alla grammatica come scrive Il linguista Richard Nordquist (vedi bibliografia 2020):

Nell'analisi del discorso, il contesto di una conversazione viene preso in considerazione così come ciò che viene detto. Questo contesto può comprendere un quadro sociale e culturale, inclusa la posizione di un oratore al momento del discorso, nonché segnali non verbali come il linguaggio del corpo e, nel caso della comunicazione testuale, può anche includere immagini e simboli.

Aspetti chiave dell'analisi del discorso sono:

  • L'analisi del discorso esamina le conversazioni nel loro contesto sociale.
  • L'analisi del discorso fonde linguistica e sociologia tenendo conto del contesto sociale e culturale in cui viene utilizzata la lingua.
  • Può essere utilizzato da aziende, ricercatori accademici o dal governo, qualsiasi persona o organizzazione che desideri comprendere meglio un aspetto della comunicazione.

Il malinteso delle informazioni trasmesse può portare a problemi, grandi o piccoli.
Essere in grado di distinguere il sottile sottotesto al fine di distinguere tra notizie fattuali e notizie false, editoriali o propaganda è fondamentale per interpretare il vero significato e l'intento.
Questo è il motivo per cui avere competenze ben sviluppate nell'analisi critica del discorso - saper "leggere tra le righe" della comunicazione verbale e/o scritta - è della massima importanza. [...]
Di conseguenza, l'analisi del discorso può essere utilizzata per studiare la disuguaglianza nella società, come il razzismo istituzionale, i pregiudizi intrinseci nei media e il sessismo.

L'analisi del discorso è un termine ampio per lo studio dei modi in cui la lingua viene utilizzata tra le persone, sia nei testi scritti che nei contesti parlati
Analisi del discorso in contesti multiculturali
Foto: Tower of Babel, 1595, by Marten van Valkenborch. De Agostini / M. Carrieri
(Cliccare per approfondire)
conversazione verbale
Can you tell me a fairy tale?
No, I'll tell you a lie so you get used to it.
Emotività e conversazione
In che modo l'intelligenza emotiva condiziona le conversazioni
La persona dotata di intelligenza emotiva si può pensare che abbia raggiunto una forma (seppure limitata) di salute mentale positiva. Questi individui sono consapevoli dei propri sentimenti e di quelli degli altri. Sono aperti ad aspetti positivi e negativi dell'esperienza interna, sono in grado di etichettarli e comunicarli. Tale consapevolezza spesso conduce alla regolazione efficace degli affetti, sia all'interno di se stessi che nelle relazioni con gli altri, contribuendo così al benessere generale. Pertanto, la persona emotivamente intelligente è piacevole da frequentare e lascia che anche gli altri si sentano meglio. Ciò significa che la qualità delle conversazioni che una persona emotivamente intelligente intrattiene è elevata perchè l'interlocutore si sente meglio dopo aver conversato con essa. La persona emotivamente intelligente, tuttavia, non cerca il piacere a tutti i costi.
Molti problemi nella vita umana possono derivare da deficit dell'intelligenza emotiva. Le persone che non imparano a regolare le proprie emozioni possono diventarne schiavi. Individui che non riconoscono le emozioni negli altri possono creare disagio emotivo negli altri, ed essere percepite come stupide o balorde ed essere ostracizzate. I sociopatici, impoveriti nella loro esperienza delle emozioni, sembrano regolare l'umore negli altri per orientarli verso i propri scopi personali. L'intelligenza emotiva coinvolge il sé. In una società fatta prevalentemente di tali individui emotivamente carenti, si potrebbe facilmente creare una cultura in cui le persone non si sentono sufficientemente premiate, e cercherebbero di regolare le proprie emozioni in modi alienanti (ad esempio alcol, droghe, gioco d'azzardo, ecc). Per approfondire andare alla pagina "Intelligenza emotiva".
La persona emotivamente intelligente è piacevole da frequentare e lascia che anche gli altri si sentano meglio. Ciò significa che la qualità delle conversazioni che una persona emotivamente intelligente intrattiene è elevata perché l'interlocutore si sente meglio dopo aver conversato con essa. La persona emotivamente intelligente, tuttavia, non cerca il piacere a tutti i costi
Psicoanalisi/Psicologia e conversazione
Qual è la differenza tra conversazioni sane e conversazioni patologiche?
Tutti noi, quando conversiamo con qualcuno, ci rendiamo conto della qualità del dialogo che stiamo sperimentando e, a volte, ci troviamo costretti ad ammettere che la persona con cui parliamo ha qualche problema mentale. Lo psicoanalista Jacques Lacan ha riassunto tali problemi nel distinguere, in una relazione intersoggettiva, tra "parola piena" e "parola vuota". Semplificando, si tratta di termini che, secondo Lacan, indicano la sanità di un dialogo e quindi di una relazione. Quando ci si pone, nei confronti del proprio interlocutore, con il desiderio di riconoscerlo come "Altro", cioè diverso da noi, dobbiamo aver voglia di capirne le differenze (e magari di apprezzarle, ma non è detto). Quando invece, ci si pone nella relazione solo con le proprie certezze narcisistiche, non è possibile alcuno scambio (o tentativo di scambio), e le parole che scambiamo diventano vuote. Lo psicoanalista Nicolò Terminio scrive (vedi bibliografia 2020):

Nella prima fase dell’insegnamento di Lacan la parola piena si configura come un'occasione per ricongiungersi con la tensione inconscia che muove verso l'Altro. [...] La distinzione tra «parola piena» e «parola vuota» indica due modi di posizionamento del soggetto in relazione alla funzione della parola. Questa relazione è ispirata dalla dialettica hegeliana del riconoscimento, nella quale il soggetto si fa riconoscere attraverso il campo dell’Altro. La funzione della parola «impegna il suo autore coll’investire il suo destinatario di una realtà nuova. [...]  La parola piena compare ogni qualvolta la parola si apre sull’alterità e si configura come una domanda di senso che può trovare il suo compimento nel messaggio ricevuto dall’Altro. La «parola vuota» è invece il medium della certezza narcisistica, è un veicolo dell’Io e proprio per questo è un veicolo senza soggetto. La parola vuota è un taglio della dialettica del riconoscimento, l’individuo smette di rivolgersi all’Altro, per appiattirsi su una dimensione che contempla solo quell’altro narcisistico (e quin­di speculare) in cui si era originariamente alienato.
Ogni persona, in una conversazione o più in generale, in società, indossa una maschera sociale
Le maschere sociali di Saul Steinberg
Foto: Inge Morath Fonte: Magnumphotos.com
Le maschere indossate dalle persone durante i rapporti sociali equivalgono al "falso sé" ipotizzato dallo psicoanalista Donald Winnicott, cioè a quelle maschere di convenienza che ognuno di noi indossa per gestire al meglio le proprie relazioni (sentimentali, professionali, amicali, ecc.). Vengono nel seguito indicati i criteri che dovrebbero contraddistinguere le buone e le cattive conversazioni, indicati da Celeste Headlee e Karl Albrecht.
Per approfondire andare alla pagina "Maschere quotidiane".
linguaggio
Nella comunicazione interpersonale, un osservatore acuto può osservare la differenza tra comportamenti verbali e non verbali. Come ha scritto lo psicoanalista Daniel Stern (p.186): "Chi parla ha bisogno di una forma di comunicazione che sia ritrattabile. Esprimere ostilità, sfidare la competenza altrui, ovvero esprimere amicizia o affetto in modo tale da poterlo poi negare può rappresentare un vantaggio dal punto di vista della responsabilità. Se non esistesse un canale di comunicazione ritrattabile, e se i profili dell'intonazione divenissero così precisamente riconoscibili ed espliciti da rendere le persone responsabili delle loro intonazioni, si svilupperebbe senz'altro qualche altra forma di comunicazione ritrattabile." I comportamenti non verbali sono ritrattabili, di quelli verbali si è responsabili.
L'intelligenza sociale creata dal discorso
Viviamo in un mondo in cui i discorsi giocano un ruolo prevalente nel dare forma alle nostre idee su come sia questo mondo e hanno un forte impatto sulle nostre decisioni e azioni. Il discorso si riferisce a insiemi di asserzioni che strutturano il modo in cui una cosa è, e il modo in cui agiamo sulla base di quel pensiero. Data l'importanza crescente del discorso in contesti sociali sempre più complessi e interculturali, lo psicologo Karl Albrecht ha sviluppato un modello per misurare l'intelligenza sociale. Esso può essere utile per le organizzazioni aziendali e professionali in cui i dipendenti hanno a che fare con molte interazioni interpersonali. Karl Albrecht scrive (vedi bibliografia Gould 2008);

Il nostro mondo esterno (sociale) è costituito da più contesti che si verificano simultaneamente: il contesto semantico, il contesto comportamentale, il contesto politico e il contesto culturale. Inoltre, tutte le professioni e le organizzazioni hanno sottoculture, norme, valori, codici di condotta, gerarchia, sistemi e conflitti che esistono tutti nella loro relazione con le dinamiche di potere. Pertanto, per essere socialmente intelligenti dobbiamo essere consapevoli della situazione in cui ci troviamo, presenti con gli altri e nei contesti, autentici rispetto al nostro vero sé, chiari con le nostre parole usando parole nutrienti invece di parole tossiche ed empatici con il nostro ambiente esterno e con coloro che lavorano con noi in esso.
Modello di intelligenza sociale di Karl Albrecht
Cliccare per approfondire
Per essere socialmente intelligenti dobbiamo essere consapevoli della situazione in cui ci troviamo, presenti con gli altri e nei contesti, autentici rispetto al nostro vero sé, chiari con le nostre parole usando parole nutrienti invece di parole tossiche, ed empatici con il nostro ambiente esterno e con coloro che lavorano con noi in esso

Una massa informe e gelatinosa è l'essenza del Blob
dialoghi umani
Tale massa (informe, vischiosa e gelatinosa) è diventata il simbolo dell'invadenza informativa e culturale della società moderna
Come possiamo evitare di partecipare a conversazioni che diventino dei blob?
"Blob" è un termine statunitense che indica una massa informe e gelatinosa come sono i dialoghi di alcune persone. Negli USA, nel 1958, è stato realizzato un film d'avanguardia (Blob - Fluido mortale) e in Italia una trasmissione televisiva RAI che va in onda dal 1988 fino ad oggi su RAI3 e che Wikipedia descrive così: "Secondo Angelo Guglielmi [ideatore del programma] il blob del film, che invade il mondo raggiungendo e soffocando gli spazi vitali a partire dalle infrastrutture, rappresenta a dovere il "sistema gelatinoso" in cui si sta trasformando non solo la televisione ma tutta la cultura italiana."

Se pensate di essere "parlatori compulsivi", cioè di parlare troppo e impropriamente, potete verificarlo rispondendo alle domande del modello realizzato dai neurobiologi Virginia P. Richmond e James C. McCroskey. : "Talkaholic Scale (TAS)" (PDF).
Tipologie di conversatori e ascoltatori patologici
Quali strategie usare di fronte a parlatori compulsivi?
(Cliccare per approfondire)
Quanti tipi di ascoltatori ci sono?
E' importante, per avere successo nelle nostre relazioni, cercare di diventare ascoltatori attivi. Abbiamo scelto questa categorizzazione: ascoltatori attivi, passivi, competitivi, combattivi.
Tipologie di ascoltatori
Il formatore manageriale Mike Crandall ha suddiviso gli ascoltatori in quattro categorie. Su queste categorie è opportuno concentrarsi al fine di impostare la propria strategia comunicativa:

  1. Ascoltatori attivi: sono gli ascoltatori realmente coinvolti nella conversazione. Diventare ascoltatori attivi è l'obiettivo verso cui tendere se si vuole diventare anche dei buoni conversatori.

  2. Ascoltatori passivi: sono quegli ascoltatori non realmente coinvolti nella conversazione, o distratti e coinvolti solo apparentemente nella conversazione durante la quale spesso pensano ai fatti propri.

  3. Ascoltatori competitivi: sono quegli ascoltatori che ascoltano solo per percepire idee del parlante alle quali controbattere dando il loro punto di vista.

  4. Ascoltatori combattivi: sono quegli ascoltatori che vogliono rispondere, punto per punto, alle osservazioni in modo alternativo e aggressivo a quello del parlante.
Imparare a gestire il proprio conflitto interno, diventando "assertivi"
Quando, in una situazione lavorativa, familiare, associativa, politica, ecc. si percepisce un disagio e un senso di generale insoddisfazione (o quando lo stesso disagio si presenta nel corso di una conversazione insoddisfacente), e si avverte di non riuscire a risolverlo con le proprie forze, probabilmente è presente un conflitto con le inclinazioni personali. Se il "falso Sé" dell'adulto ha completamente forgiato il suo modo di relazionarsi con gli altri non resta che rivolgersi a uno/a psicoterapeuta. Ma questo è un caso estremo, infatti nella maggior parte dei casi, il "falso Sé" crea solo lievi sensi di colpa che non consentono al soggetto di sottrarsi alle richieste degli altri. In questi casi occorre imparare a dire no, cioè a diventare 'assertivi '. Ma cos'è l'assertività? Il termine deriva  dal latino "asserere" e dall'italiano "asserire" con il significato di affermare, sostenere con vigore. Gli psicologi Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy danno, nel libro "Manuale di assertività", questa definizione (p. 21):

L'assertività è la caratteristica di chi realizza se stesso, manifestando le proprie doti e le proprie esigenze nel contesto sociale, ma senza ritenersi coincidente con esse: tutto ciò che appartiene al mondo dell'esperienza è mutevole, mentre solo l'Io è immutabile.

Sembra quindi che l'assertività sia una forma di cultura che, secondo Anchisi e Dessy (pp.24-59), "non dobbiamo cambiare la nostra personalità, ma migliorare il nostro stile" si associa agli sviluppi più recenti della ricerca scientifica nell'ambito della psicoterapia, cioè l'ACT (Acceptance and Committment Therapy).

imparare a dire no
Molte persone, nella relazione con gli altri, adottano un atteggiamento di passività che, in certe occasioni, cambia repentinamente in aggressività. Questo è il segno di una relazione poco equilibrata con se stessi (rapporto tra il falso Sè e il vero Sé del soggetto) e con gli altri. Per migliorare il rapporto con il proprio ambiente occorre, innanzitutto, imparare a gestire il proprio conflitto interno.
Strategie per intrattenere buone conversazioni ed evitare la cattive
Cos'è una buona conversazione: dieci criteri per conversazioni sane e nutrienti
La musicista Elizabeth Wagele ha fatto una suggestiva interpretazione personale (basata sui modelli di personalità immaginati dalla psicologia esoterica dell' Enneagramma) di come vari tipi di personalità potrebbero reagire di fronte a parlatori compulsivi. Nota: le relazioni tra i principi dell'Enneagramma e la psicologia occidentale sono stati espressi dalla psicologa Rebecca Rubbini qui.
Cos'è una conversazione cattiva: quasi un blob...
linguistica
Buone conversazioni
La conduttrice radiofonica Celeste Headlee, a corredo del suo intervento TED del maggio 2015, ha riassunto i suoi suggerimenti per avere delle buone conversazioni (il documento originale in lingua inglese è scaricabile in bibliografia):

  1. Non essere multitasking. E non intendo solo posare il cellulare o il tuo tablet o le chiavi della tua macchina o qualunque cosa hai in mano. Voglio dire, sii presente. Sii in quel momento. Non pensare alla discussione che hai avuto con il tuo capo. Non pensare a cosa mangerai per cena. Se vuoi uscire dalla conversazione, esci dalla conversazione, ma non esserlo metà dentro e metà fuori.
  2. Non pontificare. Se vuoi esprimere la tua opinione senza alcuna opportunità di risposta o discussione, opposizione o crescita, scrivi a un blog. Devi entrare in ogni conversazione supponendo che tu lo abbia fatto per imparare qualcosa. Il famoso terapista M. Scott Peck ha detto che l'ascolto vero richiede una messa da parte di se stessi. E a volte questo significa mettere da parte la tua opinione personale. Ha detto che percependo questa accettazione, chi parla diventerà sempre meno vulnerabile e sempre più suscettibile ad aprire i recessi interiori della sua mente all'ascoltatore. Di nuovo, supponi di avere qualcosa da imparare.
  3. Usa domande aperte. In questo caso, prendi spunto dai giornalisti. Inizia le tue domande con chi, cosa, quando, dove, perché o come. Se metti una domanda complicata, otterrai una risposta semplice. Se ti chiedo, "Eri terrorizzato?" risponderai con la più potente parola in quella frase, che è "terrorizzato", e la risposta è "Sì, lo ero" o "No, non lo ero". "Eri arrabbiato?" "Sì, ero molto arrabbiato." Lasciate che gli altri descrivano. Sono quelli che sanno. Prova a chiedere loro cose come,"Com'è stato?" "Come ti sei sentito?" Perché allora potrebbero fermarsi un attimo e pensarci, e otterrai risposte molto più interessanti.
  4. Seguire la corrente. Ciò significa che i pensieri verranno nella tua mente e devi lasciarli andare fuori dalla tua testa. Abbiamo sentito spesso interviste in cui un ospite parla per diversi minuti e poi arriva l'ospite che torna dentro e fa una domanda che sembra spuntare dal nulla, o a cui è già stato risposto. Ciò significa che probabilmente l'ospite ha smesso di ascoltare due minuti fa perché ha pensato a questa domanda davvero intelligente, ed era solo vincolato e determinato a dirlo. E facciamo la stessa identica cosa. Siamo seduti lì a conversare con qualcuno, e poi ricordiamo quella volta in cui abbiamo incontrato Hugh Jackman in una caffetteria. E smettiamo di ascoltare. Storie e idee arriveranno a te. Devi lasciarle venire e lasciarle andare.
  5. Non equiparare la tua esperienza alla loro. Se stanno parlando di avere perso un membro della famiglia, non iniziare a parlare di quando tu hai perso un familiare. Se parlano dei problemi che hanno sul lavoro, non dire loro quanto odi il tuo lavoro. Non è lo stesso. Non è mai lo stesso. Tutte le esperienze sono individuali. E, cosa più importante, non riguarda te. Non hai bisogno di prendere quel momento per dimostrare come sei incredibile o quanto hai sofferto. Qualcuno ha chiesto a Stephen Hawking una volta quale fosse il suo QI e disse: "Non ne ho idea. Le persone che si vantano del loro QI sono perdenti." Le conversazioni non sono opportunità promozionali.
  6. Se non lo sai, dì che non lo sai. Ora, le persone alla radio, sono molto più consapevoli che stanno andando in onda, e quindi sono più attente quando affermano di essere degli  esperti e di ciò che affermano di sapere con certezza. Fai la stessa cosa. Stai dalla parte dell'attenzione. Parlare non dovrebbe costar poco.
  7. Cerca di non ripeterti. È condiscendente, ed è davvero noioso, e tendiamo a farlo molto. Soprattutto nelle conversazioni di lavoro o in conversazioni con i nostri figli, abbiamo un punto da sottolineare, quindi continuiamo a riformulandolo più e più volte. Non farlo.
  8. Stai lontano dalle erbacce. Francamente, alla gente non interessano gli anni, i nomi, le date, tutti quei dettagli che stai lottando per trovare nella tua mente. A loro non importa. Quello che gli interessa sei tu. A loro importa come sei, cosa hai in comune. Quindi dimentica i dettagli. Lasciali fuori.
  9. Questo non è l'ultimo, ma è il più importante. Ascolta. Non posso dirti quante persone veramente importanti hanno detto che ascoltare è forse la più importante, l'abilità numero uno che potresti sviluppare. Buddha ha detto, e sto parafrasando: "Se la tua bocca è aperta,non stai imparando. "E Calvin Coolidge disse:" Nessun uomo si rende conto di non essere più al lavoro. "Perché non ci ascoltiamo? Numero uno, lo facciamo piuttosto parlare. Quando parlo, ho il controllo. Non devo sentire tutto ciò che non mentirà. Ma c'è un altro motivo: ci distraiamo. Una persona media parla a circa 225 parole al minuto, ma possiamo ascoltare fino a 500 parole al minuto. Quindi le nostre menti stanno riempiendo quelle altre 275 parole. Sono al centro dell'attenzione. Posso sostenere la mia identità. E guarda, lo so, ci vuole impegno ed energia per dare davvero attenzione a qualcuno, ma se non puoi farlo, non sei in una conversazione. Siete solo due persone che gridano frasi nello stesso luogo. Dovete ascoltarvi l'un l'altro. Stephen Covey lo ha detto in modo molto bello. Ha detto: "La maggior parte di noi non ascolta con l'intenzione di capire. Ascoltiamo con l'intento di rispondere".
  10. Sii breve. Tutto questo si riduce allo stesso concetto di base, ed è questo: essere interessati alle altre persone. Esci, parla con le persone, ascolta le persone e, cosa più importante, preparati a rimanere stupito.
Cattive conversazioni
Il nostro modo di conversare con gli altri ha un forte impatto su come le persone si sentiranno emotivamente all’interno della relazione, dunque sulla loro propensione a continuare ad avere a che fare con noi, sia in contesti informali sia lavorativi.

Secondo Karl Albrecht, esperto di comunicazione e leadership, il segreto per essere dei buoni conversatori consiste nel monitorare ed equilibrare tre elementi della comunicazione: espressioni dichiarative, domande e condizionali.
Ecco un esercizio pratico, ispirato alla sua “regola dei tre”, per implementare le nostre abilità comunicative e aumentare significativamente il grado di empatia che si riuscirà ad instaurare con i nostri interlocutori. C'è da aggiungere un quarto elemento: il silenzio. Saper ascoltare l’altro in modo attento e partecipe, senza interromperlo prematuramente, permette all’interlocutore di esprimersi e di sentirsi ascoltato, e a noi di comprenderlo meglio fornendo successivamente anche risposte più opportune. Secondo Karl Albrecht: l’esperienza di avere a che fare con conversatori poco abili può essere riassunta in queste brevi testimonianze:

  • “Parla sempre di sé stesso, di quello che sta facendo, di quello che gli interessa, di quelle che sono le sue idee”

  • “Mi dà costantemente delle lezioni. Non chiede mai quello che penso”

  • “Non è possibile non essere d’accordo con lui. Lo lascio semplicemente esporre e poi cerco solo di cambiare argomento.”

  • “Ha un’opinione su tutto e ve la darà, sia che voi la chiediate o meno.”

Una conversazione con il 100% di dichiarazioni (la maggior parte delle quali sono in realtà opinioni) non è certo un buon biglietto da visita per chi sia interessato a diventare un efficace conversatore.

Sono i modi in cui autorizziamo gli altri a contribuire rispetto a ciò che sanno e credono. Le domande personalizzano la conversazione e permettono agli altri di sentire che vi stanno partecipando, piuttosto che subirla: “Quali sono i tuoi posti preferiti da visitare?”, “Cosa ne pensi dei candidati?”, “Qual è stata la tua esperienza in merito?” Porre un discreto numero di domande durante una conversazione dimostra che siete disposti a condividere il palco con altre persone. Cercate di porre le vostre domande in modo curioso ma delicato, senza scivolare nell’interrogatorio, cercando di rispettare il livello di apertura che il vostro interlocutore è disposto a concedervi.

Sono chiamati anche “qualificativi” e sono quei modi gentili di esprimere i nostri punti di vista, le nostre opinioni e le nostre prospettive riconoscendo però che gli altri hanno il diritto di vedere le cose in modo diverso. Ad esempio:
“Non posso parlare per gli altri, ma non mi sembra che l’assunzione di integratori di melatonina mi aiuti a dormire..”
Provate a comparare questa affermazione con l’alternativa dogmatica: “La melatonina non va bene per l’insonnia”

Secondo ricerche psicologiche degli anni '90, circa una persona su venti parla troppo (Talkaholics). Cosa fare se ci si rende conto di star conversando con un "parlatore compulsivo"? Qualche consiglio lo dà la giornalista Nancy Wartik (vedi bibliografia 2019).

Per valutare l’efficacia della “regola del tre”, provate a fare il seguente esercizio:

Quando siete impegnati in una conversazione di qualsiasi tipo, che sia informale o di business, monitorate la percentuale di espressioni dichiarative, interrogative e condizionali di cui fate uso.

Cercate di capire il vostro stile abituale di conversazione:

  • Vi limitate a esprimere dichiarazioni? Si tratta di espressioni realmente dichiarative (dunque dati di fatto verificabili che avete precedentemente appreso) oppure sono “opinioni” travestite da dichiarazioni?
  • Ponete un sufficiente numero di domande, affinché anche il vostro interlocutore possa esprimersi? In caso affermativo, il vostro modo di porre domande denota una rispettosa curiosità oppure ha più le caratteristiche di un interrogatorio?
  • Utilizzate il condizionale nel vostro modo di esprimervi oppure siete soliti utilizzare espressione dogmatiche che non lasciano spazio a pareri discordanti?

Globalmente, una buona conversazione dovrebbe prevedere tutte e tre le tipologie di comunicazione, che si intrecciano alternativamente con le espressioni dei vostri interlocutori.
Anche se non sempre è possibile (nè conveniente), Amelia Rosselli ci invita ad abbandonare il nostro "falso sé" nelle conversazioni, affinchè esse non siano infelici. Ci invita, cioè a gettare la maschera che abbiamo indossato per quella conversazione, e ad essere ciò che intimamente siamo: il nostro "vero sè"

Il contributo della Poesia (Amelia Rosselli)
Una conversazione con il 100% di dichiarazioni (la maggior parte delle quali sono in realtà opinioni) non è certo un buon biglietto da visita per chi sia interessato a diventare un efficace conversatore.
Cercate di capire il vostro stile abituale di conversazione:

  • Vi limitate a esprimere dichiarazioni? Si tratta di espressioni realmente dichiarative (dunque dati di fatto verificabili che avete precedentemente appreso) oppure sono “opinioni” travestite da dichiarazioni?
  • Ponete un sufficiente numero di domande, affinchè anche il vostro interlocutore possa esprimersi? In caso affermativo, il vostro modo di porre domande denota una rispettosa curiosità oppure ha più le caratteristiche di un interrogatorio?
  • Utilizzate il condizionale nel vostro modo di esprimervi oppure siete soliti utilizzare espressione dogmatiche che non lasciano spazio a pareri discordanti?

Globalmente, una buona conversazione dovrebbe prevedere tutte e tre le tipologie di comunicazione, che si intrecciano alternativamente con le espressioni dei vostri interlocutori.

Conclusioni (provvisorie): nelle conversazioni sane, se vogliamo che siano felici, occorre gettare la maschera, ed essere ciò che intimamente siamo: il nostro "vero sè"
Ogni bambino cresce immerso nella voce della madre
La conversazione con un'altra persona è un'attività che facciamo quotidianamente, ma spesso ci costringe a chiederci "cosa" la rende difficile. Veniamo spesso indispettiti dalla difficoltà di intrattenere una "buona conversazione", soprattutto con le persone care (un familiare, un amico/a, un partner). Se la conversazione avviene invece con degli sconosciuti ci sorprende l'incontro con parlatori compulsivi, o narcisisti, ansiosi, nevrotici o sociopatici, e cerchiamo di modificare rapidamente il nostro stile conversazionale o di sottrarci alla conversazione. Come mai l'essere umano impara molto presto a parlare correttamente dal punto di vista sintattico e grammaticale, ma scorrettamente dal punto di vista sociale? E come mai impara subito a mentire verbalmente? La conversazione nasce quando ogni madre si rivolge al suo bambino e lì accade un fenomeno mentale sorprendente, che lo psicoanalista Donald Winnicott ha ipotizzato, cioè il bambino si rende conto, inconsciamente, che non gli conviene dire alla madre tutto ciò che egli desidera ma che, per conservare l'amore della madre, egli deve rapidamente imparare a mentire. Quello è il periodo nella vita di ogni bambino (indicativamente dalla nascita ai 18 mesi) in cui egli sta formando il suo sé e matura la percezione che ottiene maggiore attenzione dalla madre se accetta "verbalmente" i suoi desideri. Secondo Donald Winnicott il linguaggio "scinde" il Sé del bambino facendo sì che il Sé verbale ("falso Sé") e il Sé esistenziale ("vero Sé") possano essere molto distanti. Prima di acquisire il linguaggio il bambino può solo vivere la realtà percepita dai sensi, invece, dopo aver acquisito la capacità linguistica e il relativo pensiero simbolico, il bambino può distorcere e trascendere la realtà, nel bene e nel male.
Negli anni '50 del Novecento, importanti studiosi cibernetici quali Gregory Bateson e Paul Watzlavick hanno condotto studi sugli scambi comunicativi umani e robotici. Lo sviluppo di Intelligenza artificiale e robotica, probabilmente aumenteranno l'importanza di questa prospettiva. Il cibernetico Gordon Pask ha proposto che, il processo di apprendimento avvenga mediante un accordo consensuale di attori interagenti in un dato ambiente ("conversazione"), ma si tratta di in processo ideale che non tiene conto di emozioni e predisposizioni mentali.
Secondo la linguistica novecentesca ( John Austin, Paul Grice, Dan Sperber, Deirdre Wilson, ed Emile Benveniste), ogni conversazione tra due soggetti si basa su un'intenzione comunicativa di un parlante (soggetto1) verso un ascoltatore (soggetto2). Lo scopo del parlante è quello di agire sul sistema cognitivo dell'ascoltatore, mentre lo scopo dell'ascoltatore è quello di cogliere le intenzioni del parlante. Quando la conversazione è "sana" deve produrre un'informazione "pertinente", cioè un'informazione che modifica o migliora la rappresentazione che il ricevente ha del mondo.
Per costruire il significato di un incontro relazionale, non bastano grammatica e sintassi, ma occorre aggiungere tutti gli elementi riguardanti il contesto sociale in cui avviene la conversazione che mancano al linguaggio. Ciò viene fatto dall'analisi del discorso.
Molti problemi nella vita e nelle conversazioni umane possono derivare da deficit dell'intelligenza emotiva. La persona emotivamente intelligente è piacevole da frequentare e lascia che anche gli altri si sentano meglio. Ciò significa che la qualità delle conversazioni che una persona emotivamente intelligente intrattiene è elevata perchè l'interlocutore si sente meglio dopo aver conversato con essa. La persona emotivamente intelligente, tuttavia, non cerca il piacere a tutti i costi. Quando conversiamo con qualcuno, ci rendiamo conto della qualità del dialogo che stiamo sperimentando e, a volte, ci troviamo costretti ad ammettere che la persona con cui parliamo ha qualche problema mentale. Lo psicoanalista Jacques Lacan ha riassunto tali problemi nel distinguere, in una relazione intersoggettiva, tra "parola piena" e "parola vuota". Semplificando, si tratta di termini che, secondo Lacan, indicano la sanità di un dialogo e quindi di una relazione. Quando ci si pone, nei confronti del proprio interlocutore, con il desiderio di riconoscerlo come "Altro", cioè diverso da noi, dobbiamo aver voglia di capirne le differenze (e magari di apprezzarle, ma non è detto). Quando invece, ci si pone nella relazione solo con le proprie certezze narcisistiche, non è possibile alcuno scambio (o tentativo di scambio), e le parole che scambiamo diventano vuote.
Le maschere indossate dalle persone durante i rapporti sociali equivalgono al "falso sé" ipotizzato dallo psicoanalista Donald Winnicott, cioè a quelle maschere di convenienza che ognuno di noi indossa per gestire al meglio le proprie relazioni (sentimentali, professionali, amicali, ecc.). Nelle comunicazione interpersonali alle quali assistiamo ma nelle quali non siamo coinvolti, se osserviamo attentamente possiamo osservare la differenza tra comportamenti verbali e non verbali. Come ha scritto lo psicoanalista Daniel Stern: "Chi parla ha bisogno di una forma di comunicazione che sia ritrattabile. Esprimere ostilità, sfidare la competenza altrui, ovvero esprimere amicizia o affetto in modo tale da poterlo poi negare può rappresentare un vantaggio dal punto di vista della responsabilità." I comportamenti non verbali sono ritrattabili, di quelli verbali si è responsabili.
Per essere socialmente intelligenti dobbiamo essere consapevoli della situazione in cui ci troviamo, presenti con gli altri e nei contesti, autentici rispetto al nostro vero sé, chiari con le nostre parole usando parole nutrienti invece di parole tossiche, ed empatici con il nostro ambiente esterno e con coloro che lavorano con noi in esso. Questi sono i consigli comportamentali del consulente aziendale Karl Albrecht che ha scritto: "Il nostro mondo esterno (sociale) è costituito da più contesti che si verificano simultaneamente: il contesto semantico, il contesto comportamentale, il contesto politico e il contesto culturale. Inoltre, tutte le professioni e le organizzazioni hanno sottoculture, norme, valori, codici di condotta, gerarchia, sistemi e conflitti che esistono tutti nella loro relazione con le dinamiche di potere." La capacità di ascolto è una dote fondamentale per ogni buon conversatore, il formatore manageriale Mike Crandall ha suddiviso gli ascoltatori in quattro categorie, sulle quali è opportuno concentrarsi al fine di impostare la propria strategia comunicativa: ascoltatori attivi, passivi, competitivi, combattivi.
Secondo Karl Albrecht il segreto per essere dei buoni conversatori consiste nel monitorare ed equilibrare tre elementi della comunicazione: espressioni dichiarative, domande e condizionali.  L’esperienza di avere a che fare con conversatori poco abili può essere riassunta in queste brevi testimonianze:

  • “Parla sempre di sé stesso, di quello che sta facendo, di quello che gli interessa, di quelle che sono le sue idee”
  • “Mi dà costantemente delle lezioni. Non chiede mai quello che penso”
  • “Non è possibile non essere d’accordo con lui. Lo lascio semplicemente esporre e poi cerco solo di cambiare argomento.”
  • “Ha un’opinione su tutto e ve la darà, sia che voi la chiediate o meno.”

Una conversazione con il 100% di dichiarazioni (la maggior parte delle quali sono in realtà opinioni) non è certo un buon biglietto da visita per chi sia interessato a diventare un efficace conversatore. Celeste Headlee dà dieci consigli per essere buoni conversatori:
  • Non essere multitasking. Sii presente. Sii in quel momento.
  • Non pontificare. Se vuoi esprimere la tua opinione senza alcuna opportunità di risposta o discussione, opposizione o crescita, scrivi a un blog.
  • Usa domande aperte. Inizia le tue domande con chi, cosa, quando, dove, perché o come. Se metti una domanda complicata, otterrai una risposta semplice
  • Segui la corrente. Segui il tema della conversazione
  • Non equiparare la tua esperienza alla loro. Non è lo stesso. Non è mai lo stesso. Tutte le esperienze sono individuali.
  • Se non lo sai, dì che non lo sai.
  • Cerca di non ripeterti.
  • Stai lontano dalle erbacce. Francamente, alla gente non interessano gli anni, i nomi, le date, tutti quei dettagli che stai lottando per trovare nella tua mente. A loro non importa. Quello che gli interessa sei tu.
  • Ascolta. La maggior parte di noi non ascolta con l'intenzione di capire. Ascoltiamo con l'intento di rispondere.
  • Sii breve. Tutto questo si riduce allo stesso concetto di base, ed è questo: essere interessati alle altre persone.
Quando, in una situazione lavorativa, familiare, associativa, politica, ecc. si percepisce un disagio e un senso di generale insoddisfazione (o quando lo stesso disagio si presenta nel corso di una conversazione insoddisfacente), e si avverte di non riuscire a risolverlo con le proprie forze, probabilmente è presente un conflitto con le inclinazioni personali. Se il "falso Sé" dell'adulto ha completamente forgiato il suo modo di relazionarsi con gli altri non resta che rivolgersi a uno/a psicoterapeuta. Ma questo è un caso estremo, infatti nella maggior parte dei casi, il "falso Sé" crea solo lievi sensi di colpa che non consentono al soggetto di sottrarsi alle richieste degli altri. In questi casi occorre imparare a dire no, cioè a diventare 'assertivi '. Ma cos'è l'assertività? Il termine deriva  dal latino "asserere" e dall'italiano "asserire" con il significato di affermare, sostenere con vigore. Gli psicologi Roberto Anchisi e Mia Gambotto Dessy danno, nel libro "Manuale di assertività", questa definizione (p. 21):

L'assertività è la caratteristica di chi realizza se stesso, manifestando le proprie doti e le proprie esigenze nel contesto sociale, ma senza ritenersi coincidente con esse: tutto ciò che appartiene al mondo dell'esperienza è mutevole, mentre solo l'Io è immutabile.

Sembra quindi che l'assertività sia una forma di cultura che, secondo Anchisi e Dessy (pp.24-59), "non dobbiamo cambiare la nostra personalità, ma migliorare il nostro stile" si associa agli sviluppi più recenti della ricerca scientifica nell'ambito della psicoterapia, cioè l'ACT (Acceptance and Committment Therapy).

Il contributo della Poesia
Una poesia di Amelia Rosselli recita: Conversazioni! infelicità che si spreme ad essere quel che non vorrei, fingendo d'essere quel che semmai potrei.
Anche se non sempre è possibile (nè conveniente), Amelia Rosselli ci invita ad abbandonare il nostro "falso sé" nelle conversazioni, affinchè esse non siano infelici. Ci invita, cioè a gettare la maschera che abbiamo indossato per quella conversazione, e ad essere ciò che intimamente siamo: il nostro "vero sè".
per scaricare le conclusioni (in pdf):
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              Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

              Pagina aggiornata il 18 maggio 2024

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