Le industrie della pubblicità e dell'intrattenimento stanno attaccando le fondamenta della nostra capacità di avere esperienza, trascinandoci in una vasta e confusionaria giungla mediatica. Stanno provando a derubarci il più possibile delle nostre già scarse risorse, e lo stanno facendo in una maniera sempre più persistente e intelligente.
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You know, we bought the new toilet!
Il branding è il posizionamento all’interno dell’ecosistema cognitivo di un individuo in un luogo ben preciso. Non tanto come risoluzione a un problema e basta ma come risposta univoca a una certa esigenza esperienziale. Fare branding significa tessere una ragnatela di connessioni tra marca e consumatore (se ancora così si può chiamare, fruitore di esperienze appare più genuino e concreto) che lo intrappoli in un cosmo condiviso di valori, segni, significati, funzionalità, dettagli, parole.

Sono in attesa di un'offerta più attraente.
Gli sforzi dei pubblicitari sono rivolti a stimolare nuovi desideri nella mente dei consumatori e a contrastarne la naturale inerzia, cioè il bias dello status quo. Infatti ogni marchio "costruisce" un mondo nella mente del consumatore generando emozioni e stimolando desideri, e sofisticate tecniche di tracciamento visuale (eye tracking) consentono oggi di sperimentare in laboratorio l'attrattività dei prodotti e del loro packaging come riportato da Renê de Oliveira Joaquim dos Santos (ved. bibliografia 2014).
Scrive il filosofo Thomas Metzinger nel libro "Il tunnel dell'io" (p.269-270):
L'abilità di prestare attenzione al nostro ambiente, ai nostri sentimenti e a quelli degli altri è una caratteristica del cervello umano evoluta naturalmente. L'attenzione è un bene limitato ed è assolutamente necessaria per vivere una buona vita. [...] I nostri cervelli possono generare soltanto una quantità limitata di questa preziosa risorsa al giorno. Oggi le industrie della pubblicità e dell'intrattenimento stanno attaccando le fondamenta della nostra capacità di avere esperienza, trascinandoci in una vasta e confusionaria giungla mediatica. Stanno provando a derubarci il più possibile delle nostre già scarse risorse, e lo stanno facendo in una maniera sempre più persistente e intelligente. Ovviamente, per raggiungere i loro scopi, fanno un uso sempre maggiore delle nuove intuizioni sulla mente umana avanzate dalle scienze cognitive e psicologiche ("neuromarketing" è uno di quei neologismi che vanno tanto di moda). Possiamo immaginare il probabile risultato di tutto ciò nell'epidemia di deficit attenzionali che colpisce bambini e ragazzi, nelle crisi di mezza età e nei livelli di ansia sempre crescenti nella maggior parte della popolazione.

Il consumatore medio può essere immaginato come un individuo che vorrebbe comprare solo ciò che migliorerebbe la sua vita ma, scrivono gli economisti Akerloff e Shiller (ved. bibliografia Sunstein 2015), è come se avesse una scimmia arrampicata sulla spalla che glielo impedisce indirizzandolo verso scelte peggiori per lui, ma che soddisfano i gusti della scimmia (cioè dei mercanti/phishermen).
Secondo gli economisti Akerloff e Shiller il mercato non produce ciò di cui avremmo più bisogno, ma ciò che procura più utili ai mercanti (phisherman), e i mercanti sanno come indurre in tentazione i consumatori, creando continuamente nuovi bisogni. Ogni debolezza umana viene sfruttata a tale scopo dalla pubblicità.
- Profilazione: Con gli strumenti che la rete mette a disposizione, chi compra della pubblicità è in grado di analizzare il suo target di riferimento, capire a chi interessa il suo servizio e produrre una pubblicità mirata a seconda degli interessi, dell’area geografica, dell’età, della fascia oraria fino a scendere nel minimo dettaglio.
- Accessibilità: Internet è aperto a tutti, 24 ore su 24. Una buona campagna promozionale consente di aumentare la visibilità di un marchio o di un prodotto anche di aziende ancora sconosciute sul mercato, in quanto può essere raggiunto un numero elevatissimo di possibili acquirenti con budget più ridotti.
- Viralità: Una campagna ben riuscita si pubblicizza da sola. Grazie ai social network o ai video su youtube è possibile che un contenuto pubblicitario diventi virale. Una vignetta divertente, un’immagine emozionante, un video coinvolgente possono raggiungere un numero di utenti enorme, che cresce esponenzialmente man mano che il contenuto viene condiviso.
- Economicità: Internet è probabilmente il canale meno costoso per fare pubblicità. Servono comunque degli investimenti monetari, ma sono irrisori se paragonati, ad esempio, a 15 secondi di pubblicità su un canale televisivo, sopratutto in relazione agli indubbi vantaggi in termini di targetizzazione. Inoltre, grazie ai diversi tipi di offerta, come per esempio il Pay Per Click, il budget viene ottimizzato poiché non vengono pagate le visualizzazioni, che sono sempre utili per creare brand awareness.
- Misurabilità: A differenza dei canali tradizionali, con la pubblicità online si possono misurare, fino al più piccolo dettaglio, tutti i risultati ottenuti: quante persone hanno visto la tua pubblicità, che tipo di target hai raggiunto, quante hanno cliccato, quante hanno acquistato il prodotto, come si sono comportate sul sito e così via.
- Flessibilità: Una volta raccolti e analizzati i dati dell’audience, è possibile modificare le proprie impostazioni in pochi minuti. Si può intervenire rapidamente su ogni aspetto della pubblicità: formato, immagini, testi ecc., fino ad affinare al meglio le prestazioni della propria campagna in base agli investimenti fatti.
- Concorrenzialità: Sul web, anche le piccole aziende possono competere con i grandi marchi, è il canale perfetto per far crescere un’attività appena nata o per aumentare i profitti di realtà esistenti da anni.
- Semplicità: Creare una campagna online è semplice e veloce. Chiunque con una piccola guida è in grado di conoscere bene l’argomento e gli strumenti per pianificare una campagna pubblicitaria di successo. Realizzare uno spot televisivo, una trasmissione radio, un’uscita su una rivista di settore, richiede tempi molto più lunghi e il coinvolgimento di collaboratori esterni che si occupano di tutta la parte tecnica (video, grafica, post produzioni ecc). In più, una volta realizzato il messaggio pubblicitario, ci si deve rivolgere a centri media specializzati per poterlo rendere visibile.
L'attrazione che i saldi annuali esercitano sulla mente dei consumatori è un esempio di applicazione dell'euristica dell'ancoraggio. Scrive il filosofo Matteo Motterlini (Trappole mentali p.26):
Chiunque abbia fatto un giro in un suk marocchino avrà provato a proprie spese il modo in cui la trappola dell'ancoraggio agisce sul processo di vendita. Si comincia con un prezzo molto alto a cui l'acquirente rimane mentalmente vincolato, si procede diminuendo quella cifra per fargli apprezzare la riduzione di prezzo e, quindi, l'affare. I saldi funzionano in modo analogo. La spesa per un oggetto opportunamente scontato risulterà vantaggiosa per il semplice fatto di essere paragonata al prezzo pieno, a prescindere dal valore reale. Per la stessa ragione il personale dei negozi è spesso istruito a presentare ai clienti per primo l'articolo più caro.
Gli economisti comportamentali W.Samuelson e R.Zeckhauser proposero nel 1988 l'esistenza, nella mente del consumatore, di un Bias dello Status Quo che lo rende refrattario a prendere importanti decisioni economiche (ved. bibliografia 1988). Ma questo bias appare anche in decisioni meno importanti, quali quelle che riguardano i prodotti di consumo, nelle quali la fedeltà ai marchi favorita dal bias dello status quo ha un effetto fondamentale. Ad esempio (ved. box) la CocaCola commise nel 1985 il grave errore di immettere sul mercato un prodotto più dolce, come quello della concorrente PepsiCola che molti test dimostravano incontrare il gusto dei clienti. L'errore non fu quello di cambiare la formula ma il nome: aggiungere l'appellativo "New" interrompeva il legame emotivo dei clienti al marchio (lealtà allo status quo) più della formula, sconvolgendone le abitudini!
Il Bias dello Status Quo è stato riscontrato sperimentalmente in molti contesti decisionali (decisioni economiche, politiche, scientifiche, ecc) e, in generale, si verifica quando l'individuo si trova di fronte a due condizioni: scelte complesse o una grande quantità di proposte e, insieme a queste due, la possibilità di non decidere.
Anche Kahneman, Knetsch e Thaler si occuparono di questo problema arrivando alla conclusione che esso fosse indotto da due Bias Cognitivi: l'Effetto Dotazione (Endowement effect) e l'Avversione alla perdita (Loss Aversion).

Ecco dei consigli per evitare di acquistare l'illusione degli sbiancanti ottici (ved. Bibliografia Kate Hunter):
- Utilizzare saponi e detersivi naturali da aziende che dichiarano di non utilizzare sbiancanti ottici
- Acquistare alimenti e bevande in contenitori di vetro anziché di plastica
- Comprare vestiti fatti con tessuti organici
- Leggere le etichette ed evitare prodotti contenenti le seguenti sostanze: disodico diaminostilbene disolfonato, disodio distyrylbiphenyl disolfonato, cumarine, naphthotriazolylstilbenes, benzossazolil, benzimidazoyl, naphthylimide, e tutto ciò che elenca sbiancante ottico come ingrediente
- Molte volte questi ingredienti non sono presenti in etichetta in quanto non richiesto dalla legge. Se la legge nel vostro paese non vieta gli sbiancanti ottici aumentate le cautele
L'ignoranza indotta culturalmente da gruppi di potere politico/economico è stata accertata in molti settori. Molti attivisti hanno denunciato il potere delle multinazionali, e una delle più note è l'americana Naomi Klein, diventata famosa per il movimento no-global lanciato, agli inizi del 2000, con il suo libro "No logo". Scriveva la Klein nel 2000 (p.25):
La crescita astronomica del potere culturale e patrimoniale delle multinazionali negli ultimi quindici anni può essere sostenibilmente ricondotta a un'idea apparentemente innocua concepita da teorici del management a metà degli anni Ottanta, secondo la quale le grandi aziende devono produrre principalmente marchi e non prodotti.
Ho deciso di scrivere No logo quando mi sono resa conto che queste tendenze apparentemente distinte erano unite da un’idea: che le aziende debbano sfornare marchi, non prodotti. Era l’epoca in cui gli amministratori delegati avevano improvvise intuizioni: la Nike non è un’azienda che produce scarpe da ginnastica, ma l’idea della trascendenza attraverso lo sport. Starbucks non è una catena di caffetterie, è l’idea di comunità. Ma qui sul pianeta Terra, queste intuizioni hanno avuto conseguenze concrete. Molte aziende che prima producevano nelle loro fabbriche e avevano tanti dipendenti a tempo indeterminato sono passate al modello Nike: hanno chiuso le fabbriche, affidato la produzione a una rete di appaltatori e subappaltatori e hanno investito nel design e nel marketing necessari a diffondere il più possibile la loro grande idea.
Negli ultimi anni, tuttavia, mi sono ritrovata a fare una cosa che avevo giurato di non fare più: rileggere i grandi esperti di branding citati nel mio libro. Mi sono serviti per capire cosa stava succedendo non nei centri commerciali, ma alla Casa Bianca, sia durante la presidenza di George W. Bush sia oggi con Barack Obama, il primo presidente statunitense che è anche un supermarchio. Gli anni di Bush sono stati odiosi e violenti per molti motivi: le invasioni, le guerre, la difesa di metodi violenti come la tortura, il tracollo dell’economia globale. Ma l’eredità più pesante lasciata dall’amministrazione Bush è il modo in cui ha sistematicamente fatto al governo statunitense quello che i dirigenti fissati con il branding avevano fatto alle loro aziende dieci anni prima: l’ha svuotato, assegnando al settore privato molte funzioni essenziali, dalla difesa dei confini alla protezione civile all’intelligence. Questo svuotamento non è stato un progetto secondario dell’amministrazione Bush, ma una missione centrale, che ha riguardato ogni ambito della sfera governativa. E anche se il clan di Bush è stato spesso preso in giro per la sua incompetenza, l’impresa di mettere all’asta lo stato, riducendolo a un guscio vuoto – o a un marchio – è stata condotta con un impegno e una dedizione straordinari.
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- William Samuelson, Richard Zeckhauser (1988), Status Quo Bias in Decision Making (PDF) [4848 citazioni]
- Daniel Kahneman, Jack L. Knetsch, Richard H. Thaler (1991), Anomalies: The Endowment Effect, Loss Aversion, and Status Quo Bias (PDF)
- Renê de Oliveira Joaquim dos Santos et al. (2014), Eye Tracking in Neuromarketing: A Research Agenda for Marketing Studies (PDF)
- Stephen J. Hoch, Young-Won HA (1986), Consumer Learning: Advertising and the Ambiguity of Product Experience (PDF)
- Cass R. Sunstein (2015), Why free markets make fools of us (PDF) - The New York Review of Books
- (2010), I detersivi che puliscono più del bianco - Chimicare
- Kate Hunter (2012), Optical Brighteners: The Dangers of Bluing
- Helen G. M. Vossen, Jessica Taylor Piotrowski, Patti M. Valkenburg (2014), Media Use and Effects in Childhood (PDF)
- Jeffrey G. Johnson et al (2007), Extensive Television Viewing and the Development of Attention and Learning Difficulties During Adolescence
- John C. Wright (1984), Pace and Continuity of Television Programs: Effects on Children's Attention and Comprehension (PDF)
- Robert M. Schindler (2012), The real lesson of New Coke (PDF)
- Naomi Klein (2011), No logo dieci anni dopo - Internazionale
- Jayson Demers (2016), How Trump Won Using Strategic Branding, and What Entrepreneurs Can Learn From Him - Entrepreneur
- Naomi Kampbell (2019), No Logo at 20: have we lost the battle against the total branding of our lives? - The Guardian
a chi non vuole rischiare di farsi manipolare dalla pubblicità
Pagina aggiornata il 27 novembre 2020