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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Perché i paradossi sono importanti per il pensiero umano: dai problemi insolubili della realtà convenzionale ai confini del pensabile della fisica quantistica
TEORIE > CONCETTI > QUANTISTICA2
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Talvolta ci chiediamo cosa significhi ragionare, e come il nostro cervello sia passato dall'istinto animalesco degli albori all'argomentazione degli antichi greci. Forse in quei momenti ci rendiamo conto di quanto lungo e faticoso (e non ancora completato per la maggior parte delle persone) sia stato il processo che ci ha reso 'razionali', e di quanto questo processo non equivalga a quello che ci ha reso 'intelligenti'. Infatti Intelligenza e razionalità sono due caratteristiche diverse della mente umana. La razionalità è stata aiutata (e ancora oggi lo è) dai paradossi che, secondo la filosofa Franca D'Agostini, vennero introdotti dal filosofo greco Diogene Laerzio (180-240 d.C.). Ella scrive (nel libro "Paradossi" p.19): "I primi paradossi erano formulati come domande rivolte a un interlocutore e destinate a metterlo in difficoltà perché ammettevano due risposte contraddittorie. Diogene Laerzio nelle Vite dei filosofi (II, 10, 108) ci dice espressamente che Eubilide, esponente della scuola di Megarici, creò gli 'argomenti dialettici' noti come "il mentitore", "il velato", "il calvo", "il cumulo", presentandoli in forma di domanda. Chi dice di mentire sta mentendo o no? Se un uomo con tre capelli è calvo, anche un uomo con quattro capelli è calvo? E un uomo con cinque? La vittima di Eubilide non poteva rispondere né si né no, e se rispondeva in un senso o nell'altro diceva il falso o cadeva in contraddizione." Sembra quindi che i paradossi non siano uno scherzo linguistico, ma lo strumento fondante del ragionamento. Ogni occasione quotidiana è buona per aggiungere un tassello alla storia del pensiero, infatti anche il più piccolo esercizio mentale può essere veicolo di complessità, e il pensiero critico ce lo dimostra ogni giorno. Il motivo è che trovare la soluzione logica a un problema apparentemente insolubile ci permette di spostare ogni volta più in là il "confine del pensabile". Il filosofo Ermanno Bencivenga nell'introduzione al suo libro "La logica dei paradossi" scrive: "Paradosso" è parola di origine greca, composta da 'parà', che in questo caso significa "oltre", "al di là", e dalla radice di doxa, che significa "opinione", "credenza". Indica dunque qualcosa di non plausibile, situato al di là di quanto si possa ragionevolmente credere. I paradossi abbondano. E' paradossale che negli Stati Uniti, dove si registra un massacro con armi da fuoco alla settimana, non si riesca da decenni a far approvare una legge che imponga un minimo di controlli sulla vendita delle armi. E' paradossale che per secoli, in epoche di imbarazzante vicinanza alla nostra, migliaia di donne siano state torturate e arse vive perché accusate di essere streghe, in combutta con il demonio. Poi, studiando i fenomeni e i loro contesti, molti dei paradossi vengono spiegati e perdono il loro carattere di stranezza (non però, quando è il caso, quello di orrore). Il pesante condizionamento economico della National Rifle Association sui parlamentari americani permette di capire perché sia così difficile aggregare una maggioranza intorno a misure di assoluto buon senso. L'esigenza di di trovare capri espiatori per guerre, carestie e miseria e di sventare rivolte contadine, oltre alla persistente misoginia, permette di capire come i roghi abbiano potuto funzionare a pieno regime tanto a lungo. [...] Alcuni paradossi resistono e si insediano scomodi nella nostra quotidianità. E' paradossale che una democrazia possa scivolare democraticamente nella tirannide, come provato dall'avvento al potere del nazismo in Germania. E' paradossale che, nel nome della tolleranza, si debba proteggere il diritto alla propaganda degli intolleranti."  Uno dei più importanti paradossi di fronte al quale si trova oggi la mente umana, quello che ci porta davvero ai "confini del pensabile", è posto dalla meccanica quantistica di cui parla l'astrofisico Massimo Teodorani nel suo libro; paradosso che descrive così: "Il paradosso della meccanica dei quanti dice che se noi spezziamo una particella caratterizzata da momento angolare nullo (cioè senza rotazione) in due particelle, queste due particelle dovranno ruotare l'una in senso opposto all'altro. Se poi inviamo una di queste particelle a distanza grandissima, ad esempio ad un miliardo di anni luce, e poi decidiamo di cambiare il senso di rotazione della particella vicino a noi, la particella lontana dovrà per forza cambiare a sua volta anche il suo senso di rotazione e questo lo dovrà fare istantaneamente, in caso contrario viene violata una fondamentale legge di conservazione che prevede che la somma dei sensi di rotazione di entrambe le particelle deve dare luogo alla rotazione della particella originaria da cui esse sono nate, e la rotazione della particella originaria è zero. Il paradosso – denominato “Paradosso EPR” dalle iniziali  dei fisici Einstein, Podoslky e Rosen – nasce dal fatto che  per rispettare una  legge, quella della conservazione del momento angolare della particella originaria, se ne viola un'altra: quella della finitezza di propagazione dei segnali, che, come previsto dalla teoria della relatività, non possono essere trasmessi in maniera istantanea ma devono andare al massimo alla velocità della luce. Quindi fu la stessa meccanica quantistica classica con questo paradosso a suggerire a Bohm che la comunicazione istantanea fosse un processo realmente esistente nell'universo, e percepibile nei suoi livelli subatomici. Un paradosso denominato "entanglement" e confermato nel 2022 dall'attribuzione del premio Nobel ai fisici che ne hanno dimostrato la verità scientifica (Aspein, Zeilinger e Clauser). Un processo che non fa pensare ad una reale propagazione di segnali, dal momento che nessun segnale elettromagnetico si può propagare in maniera istantanea, ma al fatto che, a certi livelli, in particolare in quello subatomico, le particelle che apparentemente fanno parte di un mondo completamente frammentato, non comunicano realmente tra loro, ma fanno parte di un unico organismo unitario dove tutto coesiste in una grande totalità, dove il movimento è solo un'illusione, e dove la reale “locazione” del tutto risiede in un regno che si trova fuori dal tempo e dallo spazio." Quindi un paradosso è una contraddizione che non riusciamo a eliminare, come la sovrapposizione quantistica: un uomo (o un gatto) sembra esistere e non esistere, una proposizione è vera e falsa contemporaneamente, e non c'è modo di risolvere il problema e prendere una decisione. La soluzione, per la meccanica quantistica, consiste nell'accettare che essa si basi sull'esistenza di un nuovo paradigma scientifico (non ancora del tutto conosciuto).
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PERCHE' LA MECCANICA QUANTISTICA E' COSI' PARADOSSALE?: La filosofa Franca D'Agostini nell'introduzione al suo libro "Paradossi" scrive (p.11): "Nell'analisi dei paradossi la filosofia ha fatto di recente molti passi in avanti. Buona parte della letteratura relativa però è poco nota al largo pubblico e agli studiosi di discipline che non siano strettamente interessati al tema. La prima parte del libro è dedicata ai preliminari teorici generali, utili per orientarsi nei capitoli successivi. Viene suggerita una definizione di "paradosso", come contraddizione 'resistente', ossia difficile da eliminare. Di fronte a un paradosso mi trovo a dover pensare o dire che un oggetto esiste o non esiste, ha o non ha una certa proprietà, o a dover compiere l'azione alfa o anche l'azione beta, ma non poter compiere l'una o l'altra, oppure mi trovo a dover credere che la proposizione 'p' sia vera e che nello stesso tempo sia vera anche non-p, e non sembra esserci modo di scegliere o di aggirare il problema."
Come si vede queste condizioni sembrano proprio quelle che contraddistinguono e costituiscono la meccanica quantistica, quindi conoscere le tecniche usate per risolvere le contraddizioni e le forme in cui si presentano le contraddizioni irriducibili (ossia i "veri" paradossi), potrebbe essere utile a capirla (e/o accettarla).
Punti di riflessione
E' vero che è dal paradosso, dallo stupore che il mondo ci causa, che (insegnano Platone nel Teeteto e Aristotele nella Metafisica) nasce la filosofia. Con uno sguardo incantato, e con un sorriso. (Ermanno Bencivenga p.10 del libro "la logica dei paradossi")
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Il sorite è un paradosso molto antico: a quanto ci risulta è stato inventato da Eubulide, insieme al mentitore. Soròs vuol dire "mucchio" o "cumulo" in greco, e soreìtes era detto l'argomento "per accumulo". Se diciamo che un certo quantitativo di granelli di sabbia è un mucchio di sabbia, togliendo un granello non cambia molto: continua ad essere un mucchio; ma questo  vale ancora per tutti i granelli successivi: quale sarà allora il punto in cui un mucchio cessa di essere tale? Inversamente: se tre granelli di sabbia non sono un mucchio, allora non lo sono neppure quattro, e neppure cinque ecc. (Franca D'Agostini p.163 del libro "Paradossi")
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Un problema è definito classicamente come un conflitto epistemico, più precisamente come un contrasto tra le 'credenze possedute' e 'una situazione per cui tali credenze si rivelano inappropriate' (cfr. Copi, Cohen, 1998 p.83). E' questa situazione che genera le condizioni del dubbio, esattamente nella forma in cui abbiamo descritto la situazione paradossale al suo primo presentarsi: "so che è così, eppure vedo che non è così; è così, eppure non può esserlo". Il dubbio genera la ricerca, che Peirce (1877) definisce come "tensione verso uno stato di credenza". La tensione si risolve quando la nuova credenza è conquistata. Ora supponiamo una tensione irrisolta verso una stato di credenza, ovvero una ricerca che non riduce il dubbio: è questa esattamente la situazione paradossale al suo stadio finale, ossia di fronte a quei paradossi la cui soluzione è (si presume essere) inaccessibile. (Franca D'Agostini p.185 del libro "Paradossi")
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L'aspetto interessante del paradigma quantistico sta proprio nel fatto che ci offre una rappresentazione della realtà diversa da quella a cui siamo abituati, dandoci l'idea che sia molto più articolata  e complessa di quella che percepiamo, costringendoci in un certo senso a guardare la realtà delle cose con occhi diversi. (Doriano Dal Cengio p.47 del libro "La realtà delle cose")
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In filosofia, un paradosso è una situazione o un’affermazione che sembra contraddire l’opinione comune o che sembra auto-contraddittoria, ma che in realtà può essere dimostrata vera o utile se si guarda più attentamente. Ad esempio, il paradosso del mentitore (in cui una persona afferma di mentire, creando una contraddizione) o il paradosso di Zenone (in cui un oggetto che si muove a una certa velocità sembra non poter mai raggiungere la meta, a causa dell’infinita divisione del tempo e dello spazio)
sono esempi di paradossi che sfidano la logica comune, ma che possono essere utili per indagare i limiti della nostra comprensione. (Agenda filosofica)
Sembra che i paradossi non siano uno scherzo linguistico, ma lo strumento fondante del ragionamento. Ogni occasione quotidiana è buona per aggiungere un tassello alla storia del pensiero, infatti anche il più piccolo esercizio mentale può essere veicolo di complessità, e il pensiero critico ce lo dimostra ogni giorno. Questo accade perché trovare la soluzione logica a un problema apparentemente insolubile ci permette di spostare ogni volta più in là il "confine del pensabile"

Importanza dei paradossi per il pensiero umano
Quando ci sforziamo di ragionare, e sappiamo che quest'inclinazione è diversa per ogni individuo e dipende dall'avere o dal non avere una "personalità cognitiva"). Infatti trovare la soluzione logica a un problema apparentemente insolubile ci permette di spostare ogni volta più in là il confine del pensabile. Riguardo al comportamento che si può adottare di fronte a un paradosso, il filosofo Ermanno Bencivenga, nell'introduzione al suo libro "La Logica dei paradossi", scrive (pp. 8-9):

Quando un filosofo scopre un paradosso, altri filosofi si danno da fare per risolverlo: per spiegare che, come nel caso delle armi da fuoco in America e della caccia alle streghe, non c'è nulla di strano per chi analizzi e comprenda bene i termini della questione. Non sempre, però, le soluzioni sono vantaggiose: talvolta sono estreme e il rimedio che offrono si dimostra peggiore del male, in quanto taglia via, insieme con la (presunta) infezione, anche carne sana. Nei confronti di questi paradossi di natura ostinata il mio atteggiamento è diverso. Da un lato ritengo che bisogna imparare, semplicemente, a conviverci: ogni struttura complicata, come la democrazia o la tolleranza, ammette casi-limite in cui entra in contraddizione con sé stessa. Invece di spaventarsene e correre ai ripari, bisogna contemplarli con serenità ed esercitare costante vigilanza, adottando se necessario opportune disposizioni locali, perché non facciano danni; ma certo non buttare a mare la struttura, o emendarla fino a renderla irriconoscibile, se è altrimenti valida - non rinunciare alla democrazia o alla tolleranza, o sconvolgerle, perché ogni tanto si impegolano in un circolo vizioso. Se questo primo aspetto del mio atteggiamento sembra concepire i paradossi come un male inevitabile, il secondo assegna loro maggior credito: li concepisce come un 'bene' con il quale non solo convivere ma anche operare, nel modo in cui si opera con un utile, prezioso strumento."

Un tassello importante alla storia del pensiero umano lo pone la risoluzione del paradosso della meccanica quantistica, che ha richiesto uno sforzo mentale enorme al quale si è dedicato, nel secolo scorso, il fisico e filosofo David Bohm, con l'argomento che è oggetto di questa pagina.
Treccani scrive: "Il paradosso, in filosofia, non è stato solo una curiosità o un gioco intellettuale, ma l’occasione per verificare la solidità strutturale e la coerenza interna delle teorie logiche. La storia di questo percorso mostra come l’interesse nei confronti dei grandi paradossi, elaborati per la prima volta dalla filosofia greca, sia rimasto costante ed intenso, ed abbia sempre agito da stimolo per il dibattito logico-epistemologico, fino alle soluzioni complesse delle teorizzazioni moderne di Lewis, Tarski, Russell."
Alcuni paradossi famosi (proposti da Giacomo Penna)
Il paradosso di Zenone
Il paradosso di Zenone – celebre come paradosso di Achille e la tartaruga – deve il suo nome al filosofo greco del V secolo a.C. Zenone di Elea, seguace di Parmenide, noto per aver affinato il metodo dialettico e la reductio ad absurdum (tecnica della riduzione all’assurdo) al fine di difendere le tesi del maestro e confutare le tesi avversarie.
Il paradosso di Achille e la tartaruga raffigura una gara tra l’eroe greco Achille, soprannominato piè veloce per la sua velocità, e una tartaruga: a quest’ultima è concesso un vantaggio di un piede. La tesi di Zenone è che Achille non riuscirebbe mai a raggiungerla: egli infatti dovrebbe prima raggiungere la posizione occupata precedentemente dalla tartaruga che, nel frattempo, avrà raggiunto un’altra posizione e così via. La distanza tra Achille e la tartaruga dunque, pur riducendosi costantemente, non arriverà mai ad essere pari a zero, corroborando la tesi parmenidiana dell’illusorietà del movimento.
Il paradosso del Mentitore
Il paradosso del mentitore è anch’esso attribuito al filosofo Eubilide di Mileto, pur avendo avuto elaborazioni precedenti come quella di Paolo di Tarso e di Epimenide. La formulazione di Eubilide di Mileto asserisce semplicemente che la frase “io sto mentendo” non può essere considerata né vera né falsa. Nel caso in cui infatti fosse vera, allora starei mentendo e dunque non è possibile che la frase da me affermata sia null’altro se non una menzogna. Se invece fosse falsa, allora non sarebbe vero che io sto mentendo e dunque la frase diventerebbe “io non sto mentendo”, dunque sto dicendo la verità.
Il paradosso del Sorite
Il paradosso del sorite è un paradosso generalmente attribuito al filosofo greco Eubilide di Mileto, filosofo megarico del IV secolo.
La domanda che si pone Eubilide di Mileto è: che cosa differenzia un mucchio di sabbia da un raggruppamento di sabbia che non può più essere definito un mucchio? Dato un mucchio di un numero molto grande di granelli di sabbia, infatti, si può concordare sul fatto che togliendo un granello di sappia non si intacchi la sua definizione di mucchio. Così come se togliamo un altro granello di sabbia da quel che è rimasto del mucchio, ossia il mucchio privato di un granello di sabbia, si può continuare a concordare sul fatto che sempre di un mucchio si tratta. E così via fino a ritrovarsi con un solo granello di sabbia, che evidentemente non può più essere definito mucchio. La conseguenza paradossale si ha ancora maggiormente qualora privassimo il mucchio, ormai con un solo granello, di quell’ultimo granello. Partendo dalla premessa accettata all’inizio, ossia che se da un mucchio togliamo un granello di sabbia, ecco che si arriva ad una conclusione palesemente inaccettabile, ossia che un granello di sabbia o nessun granello di sabbia sono pur sempre esempi di mucchio
Il paradosso del Barbiere
Il paradosso del barbiere è un paradosso elaborato dal filosofo britannico del XX secolo Bertrand Russell, versione semplificata del paradosso con cui rispose a al matematico e logico Gottlob Frege e al suo tentativo di dare alla matematica una fondazione basata sulla logica.
La formulazione originale è questa:

In paese vi è un solo barbiere che non porta la barba ed è sempre ben rasato. Egli rade tutti e soltanto gli uomini del paese che non si radono mai da soli. Il barbiere rade se stesso?

Se il barbiere si radesse da solo, verrebbe contraddetta la premessa secondo cui il barbiere rade solo gli uomini che non si radono da soli. Se invece il barbiere non si radesse da solo, allora dovrebbe essere rasato dal barbiere, che però è lui stesso: in entrambi i casi si cade in una contraddizione.
Paradosso dell'Onnipotenza
Il paradosso dell’onnipotenza è un paradosso di epoca medievale e moderna, che fu affrontato tra gli altri dai filosofi medievali Pier Damiani, Abelardo, Nicola Cusano e da Cartesio. La domanda che sta alla base del paradosso è se Dio, che nel cristianesimo è per definizione onnipotente, sia in grado di creare un masso inamovibile. Se Dio è onnipotente infatti deve poter creare un masso del genere, ma essendo onnipotente dovrebbe anche essere in grado di muovere quello stesso masso, cosa che però negherebbe la sua onnipotenza nel crealo. Se infatti Dio spostasse quel masso che ha creato, allora questo non era inamovibile e dunque non è stato in grado di renderlo inamovibile, nonostante la sua onnipotenza.
Un conflitto epistemico si verifica quando c'è un contrasto tra le 'credenze possedute' e 'una situazione per cui tali credenze si rivelano inappropriate': questo è il caso di certi paradossi la cui soluzione si presume essere inaccessibile (ad esempio, oggi, quelli della meccanica quantistica)
Per affrontare i propri conflitti epistemici, in modo critico, è conveniente aggiornare il proprio sistema di 'credenze' e il proprio sistema di 'valutazione della realtà'. Per ridurre la dissonanza cognitiva vi sono tre possibili soluzioni: (1) l'individuo può agire modificando il suo comportamento, o (2) modificando (cambiando) l'ambiente nel quale il comportamento si attua, o (3) modificando il proprio mondo cognitivo; in quest'ultimo caso si presentano due opzioni, la prima, positiva, che comporta l'apertura a informazioni e conoscenze che aumentano la dissonanza, la seconda, negativa, che evita le fonti favorevoli alla dissonanza. Di solito quest'ultima è la soluzione più semplice e meno costosa per l'individuo,  ma è anche quella che lo "impoverisce" di più dato che comporta razionalizzazioni, minimizzazioni, svalutazioni e deformazioni della realtà. La dissonanza cognitiva è uno dei modi che consentono all'individuo di modificare le proprie credenze.
Paradossi della fisica quantistica
Massimo Teodorani, a proposito dei paradossi dei quali si rese conto David Bohm affrontando la meccanica quantistica, nel suo libro/articolo "Metafore dal prespazio" (vedi bibliografia 2005) scrive:

Bohm riscontrò molto presto il paradosso che la meccanica quantistica classica, pur essendo basata su un'architettura matematica estremamente complessa, porta alla fine a delle conclusioni vaghe, conclusioni del tutto insoddisfacenti dal punto di vista gnostico e che gli davano un‟impressione assolutamente metafisica, ben lontane da quel determinismo che aveva caratterizzato tutta la fisica classica fino ad allora, inclusa la relatività. Egli voleva portare anche la meccanica quantistica classica su un terreno determinista, ovvero trovare un metodo che permettesse di determinare la traiettoria delle particelle elementari senza alcuna incertezza. Ma qui sopraggiunse un nuovo paradosso: per arrivare a questo era necessario invocare forze completamente diverse da quelle che erano state contemplate dalla fisica classica. Ben presto egli si accorse che queste “forze inedite” che animerebbero l‟universo nella sua struttura più intima, non si comportano come quelle della fisica classica ma sembrano seguire leggi che non hanno le loro radici nel mondo della materia, ma in un regno più vicino allo spirito. Dunque, per poter evitare l‟indeterminismo e la casualità proprie della teoria quantistica classica a cui si era peraltro arrivati usando calcoli matematici molto sofisticati, e per giungere ad una trattazione determinista dove la casualità fosse completamente sostituita dalla “causalità”, era paradossalmente necessario ricorrere a strumenti e ad assunti apparentemente “irrazionali”, ovvero sondare la natura più profonda della realtà andando ben oltre il classico metodo matematico. A livelli profondi  come quelli che si riscontrano nelle particelle del mondo subatomico, l‟unico modo di determinare la traiettoria di una particella è quello di concepire l'esistenza di forze dalla caratteristica molto metafisica. Con David Bohm allora era possibile raggiungere conclusioni razionali, ovvero deterministe, solo passando per un terreno apparentemente irrazionale o metafisico. Mentre con la teoria quantistica classica succedeva l‟esatto contrario: si procedeva su un terreno assolutamente razionale e matematico per arrivare a conclusioni metafisiche, proprio per la loro indeterminatezza. L‟indeterminazione insita nella teoria quantistica dimostrò per la prima volta che quando la mente umana si avventura in sentieri misteriosi e invisibili come quelli del mondo subatomico, essa viene ad un certo punto bloccata da una barriera. Questa barriera mostra che a livelli profondi il pensiero razionale classico non porta a nessuna conoscenza della realtà. Il metodo classico funziona straordinariamente bene quando si vuole determinare la traiettoria di un sasso lanciato in alto, oppure la traiettoria di un satellite, ma non funziona più quando si entra dentro la struttura stessa della materia di cui siamo fatti. La barriera che blocca una piena conoscibilità dell'universo che Bohm, a differenza di tutti gli altri colleghi che operavano nello stesso campo, riuscì ad intravedere, gli mostrava in maniera estremamente chiara che per conoscere l'universo nella sua intima struttura era necessario uscire dai binari della fisica classica e, per certi versi, anche dal metodo standard da essa impiegato. Solo così si poteva arrivare a capire chi realmente è il regista delle dinamiche che avvengono nell'universo, in particolare il comportamento delle particelle. In questo senso le conclusioni indeterminate a cui arrivava la fisica quantistica standard e i suoi metodi, venivano completamente aggirate facendo ricorso a nuove procedure. Queste nuove procedure potevano essere concepite solo da chi, come Bohm, era in grado di riflettere a fondo sui problemi che stavano dietro alla teoria, e non da chi pretendeva di passare alla soluzione di tali problemi senza averli prima realmente compresi nella loro completezza e nel loro intrinseco significato. Le riflessioni di Bohm sulla natura e sul comportamento delle particelle elementari lo avevano portato a capire che dietro alla nostra realtà fenomenica fatta di materia, di energia, di spazio e di tempo, si cela un fattore nascosto che ne guida completamente l‟esistenza. Bohm capì che questo fattore nascosto – che potrebbe anche essere definito un “principio creativo” – non obbedisce alle leggi della fisica tradizionale vincolate dalla limitatezza della velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche (come ad esempio la velocità della luce), ma obbedisce ad un cosiddetto “principio di non-località” entro cui le parti che compongono la materia, come le particelle elementari, seguono una specie di “guida invisibile” situata in un non-tempo-non-spazio, in grado di informare tutte le particelle in maniera istantanea e mettendo tutte le particelle in comunicazione simultanea a qualunque distanza esse si trovino tra loro. Questa istantaneità di comunicazione non era un'invenzione fantasiosa a cui Bohm aveva fatto ricorso per giustificare la sua teoria, ma era un reale paradosso della meccanica quantistica che fu constatato da tutti gli altri più importanti fisici teorici del tempo come Albert Einstein, Boris Podolsky, Nathan Rosen, John Bell e Alain Aspect, un paradosso che aveva creato parecchi problemi al modo classico di procedere in fisica e che si tentò ciecamente di ignorare. Bohm invece sviscerò questo paradosso. Il paradosso della meccanica
dei quanti dice che se noi spezziamo una particella caratterizzata da momento angolare nullo (cioè senza rotazione) in due particelle, queste due particelle dovranno ruotare l‟una in senso opposto all'altro. Se poi inviamo una di queste particelle a distanza grandissima, ad esempio ad un miliardo di anni luce, e poi decidiamo di cambiare il senso di rotazione della particella vicino a noi, la particella lontana dovrà per forza cambiare a sua volta anche il suo senso di rotazione e questo lo
dovrà fare istantaneamente, in caso contrario viene violata una fondamentale legge di conservazione che prevede che la somma dei sensi di rotazione di entrambe le particelle deve dare luogo alla rotazione della particella originaria da cui esse sono nate, e la rotazione della particella originaria è zero. Il paradosso denominato “Paradosso EPR” dalle iniziali  dei fisici Einstein, Podoslky e Rosen nasce dal fatto che  per rispettare una  legge, quella della conservazione del momento
angolare della particella originaria, se ne viola un'altra: quella della finitezza di propagazione dei segnali, che, come previsto dalla teoria della relatività, non possono essere trasmessi in maniera istantanea ma devono andare al massimo alla velocità della luce. Quindi fu la stessa meccanica quantistica classica con questo paradosso a suggerire a Bohm che la comunicazione istantanea fosse un processo realmente esistente nell'universo, e percepibile nei suoi livelli subatomici. Un processo che non fa pensare ad una reale propagazione di segnali, dal momento che nessun segnale elettromagnetico si può propagare in maniera istantanea, ma al fatto che, a certi livelli, in particolare in quello subatomico, le particelle che apparentemente fanno parte di un mondo completamente frammentato, non comunicano realmente tra loro, ma fanno parte di un unico organismo unitario dove tutto coesiste in una grande totalità, dove il movimento è solo un‟illusione, e dove la reale “locazione” del tutto risiede in un regno che si trova fuori dal tempo e dallo spazio.
La barriera che blocca una piena conoscibilità dell'universo che Bohm, a differenza di tutti gli altri colleghi che operavano nello stesso campo, riuscì ad intravedere, gli mostrava in maniera estremamente chiara che per conoscere l'universo nella sua intima struttura era necessario uscire dai binari della fisica classica e, per certi versi, anche dal metodo standard da essa impiegato. Solo così si poteva arrivare a capire chi realmente è il regista delle dinamiche che avvengono nell'universo, in particolare il comportamento delle particelle.
Conclusioni (provvisorie): Ogni paradosso è una sfida al pensiero, e la meccanica quantistica richiede oggi il massimo sforzo mentale
I paradossi non sono uno scherzo linguistico, ma lo strumento fondante del ragionamento. Ogni occasione comune è buona per aggiungere un tassello alla storia del pensiero, ma anche come il più piccolo esercizio mentale può essere veicolo di complessità. Perché trovare la soluzione logica a un problema apparentemente insolubile ci permette di spostare ogni volta più in là il confine del pensabile. Il filosofo Ermanno Bencivenga nell'introduzione al suo libro "La logica dei paradossi" scrive: "Paradosso" è parola di origine greca, composta da 'parà', che in questo caso significa "oltre", "al di là", e dalla radice di doxa, che significa "opinione", "credenza". Indica dunque qualcosa di non plausibile, situato al di là di quanto si possa ragionevolmente credere. I paradossi abbondano. E' paradossale che negli Stati Uniti, dove si registra un massacro con armi da fuoco alla settimana, non si riesca da decenni a far approvare una legge che imponga un minimo di controlli sulla vendita delle armi. E' paradossale che per secoli, in epoche di imbarazzante vicinanza alla nostra, migliaia di donne siano state torturate e arse vive perché accusate di essere streghe, in combutta con il demonio. Poi, studiando i fenomeni e i loro contesti, molti dei paradossi vengono spiegati e perdono il loro carattere di stranezza (non però, quando è il caso, quello di orrore). Il pesante condizionamento economico della National Rifle Association sui parlamentari americani permette di capire perché sia così difficile aggregare una maggioranza intorno a misure di assoluto buon senso. L'esigenza di di trovare capri espiatori per guerre, carestie e miseria e di sventare rivolte contadine, oltre alla persistente misoginia, permette di capire come i roghi abbiano potuto funzionare a pieno regime tanto a lungo. [...] Alcuni paradossi resistono e si insediano scomodi nella nostra quotidianità. E' paradossale che una democrazia possa scivolare democraticamente nella tirannide, come provato dall'avvento al potere del nazismo in Germania. E' paradossale che, nel nome della tolleranza, si debba proteggere il diritto alla propaganda degli intolleranti. Uno dei più importanti paradossi di fronte al quale si trova oggi la mente umana, quello che ci porta veramente ai "confini del pensabile", è quello posto dalla meccanica quantistica di cui parla l'astrofisico Massimo Teodorani nel suo libro, paradosso che così descrive: "Il paradosso della meccanica dei quanti dice che se noi spezziamo una particella caratterizzata da momento angolare nullo (cioè senza rotazione) in due particelle, queste due particelle dovranno ruotare l‟una in senso opposto all'altro. Se poi inviamo una di queste particelle a distanza grandissima, ad esempio ad un miliardo di anni luce, e poi decidiamo di cambiare il senso di rotazione della particella vicino a noi, la particella lontana dovrà per forza cambiare a sua volta anche il suo senso di rotazione e questo lo dovrà fare istantaneamente, in caso contrario viene violata una fondamentale legge di conservazione che prevede che la somma dei sensi di rotazione di entrambe le particelle deve dare luogo alla rotazione della particella originaria da cui esse sono nate, e la rotazione della particella originaria è zero. Il paradosso – denominato “Paradosso EPR” dalle iniziali  dei fisici Einstein, Podoslky e Rosen – nasce dal fatto che  per rispettare una  legge, quella della conservazione del momento angolare della particella originaria, se ne viola un'altra: quella della finitezza di propagazione dei segnali, che, come previsto dalla teoria della relatività, non possono essere trasmessi in maniera istantanea ma devono andare al massimo alla velocità della luce. Quindi fu la stessa meccanica quantistica classica con questo paradosso a suggerire a Bohm che la comunicazione istantanea fosse un processo realmente esistente nell'universo, e percepibile nei suoi livelli subatomici. Un processo che non fa pensare ad una reale propagazione di segnali, dal momento che nessun segnale elettromagnetico si può propagare in maniera istantanea, ma al fatto che, a certi livelli, in particolare in quello subatomico, le particelle che apparentemente fanno parte di un mondo completamente frammentato, non comunicano realmente tra loro, ma fanno parte di un unico organismo unitario dove tutto coesiste in una grande totalità, dove il movimento è solo un'illusione, e dove la reale “locazione” del tutto risiede in un regno che si trova fuori dal tempo e dallo spazio."
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