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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Intelligenza artificiale, coscienza e linguaggio umani
TEORIE > CONCETTI > LINGUAGGIO
Scopo di questa pagina
Siamo in una fase di forte sviluppo dell'intelligenza artificiale (AI), più che altro caratterizzata dalla necessità di applicare alla AI le regole che l'evoluzione ha inserito nell'intelligenza umana. Siamo oggi solo all'inizio di quella che sarà una rivoluzione del modo di agire e lavorare nel mondo sociale e aziendale. Il problema è che l'essere umano, oggi, non ha ben chiari molti dei meccanismi che governano le sue azioni, il suo linguaggio e la sua intelligenza. Molte applicazioni di intelligenza artificiale usano il linguaggio, sia per comunicare tra loro che per comunicare con gli umani. Qui si pone la differenza oggi esistente tra i due linguaggi, dato che è stato notato che le applicazioni di intelligenza artificiale difettano di competenza pragmatica, cioè di quegli elementi riguardanti il contesto sociale in cui si svolge il dialogo. Sembra che questa competenza dipenda dalla "coscienza" umana che non appare oggi spiegabile e caratterizzabile per poter essere trasferita alle macchine. Questa pagina cerca di chiarire alcuni aspetti che ostacolano la conversazione tra umani e applicazioni di intelligenza artificiale, oltre che di evidenziare i motivi che legano il linguaggio umano alla presenza della coscienza nella mente umana.
Questa è una pagina complessa, densa di concetti e relazioni che richiede uno stile di apprendimento che il linguista Fabio Caon descrive così: occorre sopportare il disagio dell'incertezza che nasce dall'urgenza classificatoria che può portare verso credenze pregiudiziali.
chiacchiere
One is born, and then dies. The rest are chatter.
Punto chiave di questa pagina
LA COMUNICAZIONE INTERCULTURALE: Il linguista Fabio Caon, nell'analizzare le competenze necessarie alla comunicazione interculturale "umana" elenca e descrive una serie di esigenze fondamentali per gli umani: saper relativizzare, saper sospendere il giudizio, saper comprendere emotivamente (empatizzare ed exotopizzare), saper ascoltare attivamente, saper negoziare i significati. Riguardo al saper negoziare i significati egli scrive: "La disponibilità ad ‘esporsi’, propria della sfera emotiva, unita alla consapevolezza razionale della propria ‘relatività’ possono favorire quel processo di spiazzamento che viene definito ‘transitività cognitiva’. La transitività cognitiva crea una sorta di ‘permeabilità’ relazionale e comunicativa, una disponibilità ad accogliere l’altro e a valutare se quel che egli ‘propone’ possa essere accolto e integrato nel nostro sistema cognitivo o se, invece, sia da accettare parzialmente o da rifiutare." Quando ci si trova in una situazione relazionale "interculturale" occorre sopportare il disagio dell'incertezza che nasce dall'urgenza classificatoria che può portare verso credenze pregiudiziali.
Punti di riflessione
All'ingresso dell'Oracolo di Delfi, i visitatori venivano accolti con il famoso comando "Conosci te stesso." Può sembrare ironico che questo comando venisse posto in un luogo in cui le persone andavano per conoscere se stesse da una fonte esterna. Forse, tuttavia, il comando aveva uno scopo diverso: ricordare alle persone quella conoscenza di sé che a volte si può meglio ottenere guardando all'esterno le opinioni degli altri, specialmente quelli più saggi di noi e con prospettive più distaccate, piuttosto che riflettendo da seduti, con il mento in mano. (Emily Pronin, Katherine Hansen)
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La nostra salute morale e intellettuale ritrae un gran giovamento quando ci troviamo obbligati a mescolarci con individui del tutto diversi, che non condividono le nostre aspirazioni e posseggono interessi e abilità, che dobbiamo fare uno sforzo per poter apprezzare.
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Si può dire che l'automazione della facoltà umana del linguaggio sia sempre stata e lo sia ancora la frontiera più avanzata dell'IA. (Guido Vetere Sole24Ore 1/11/20)
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Chiunque apra bocca automaticamente designa se stesso come "io"  e l'interlocutore come "tu". "Io"e "tu" costituiscono dunque l'ossatura fondamentale di ogni situazione di scambio comunicativo. (Valentina Pisanty, Roberto Pellerey p.157)
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I fallimenti della comunicazione sono spesso dovuti all'incapacità di capire ciò che si intende attraverso ciò che viene detto. (Michael Thomas)
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Sulle orme di Peirce, potremmo affermare che la coscienza (in modo simile all’essere) è un concetto che gode di grande estensione ma di poca intensione. In parole più semplici, è un concetto vago. (Roberto Bottini)
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La competenza pragmatica, ampiamente definita come la capacità di usare la lingua in modo appropriato in un contesto sociale, è diventata oggetto di indagine in un'ampia gamma di discipline tra cui linguistica, linguistica applicata, antropologia, sociologia, psicologia, ricerca sulla comunicazione e studi interculturali. (Naoko Taguchi)
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Un contesto è una costruzione psicologica. (Dan Sperber, Deirdre Wilson)
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Il contesto può essere definito in generale come l’insieme di circostanze in cui si verifica un atto comunicativo. Tali circostanze possono essere linguistiche o extra-linguistiche. (Angela Ferrari)
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Mentre la pragmatica è stata costantemente definita come lo studio del linguaggio nel suo contesto socioculturale (Crystal, 1985,1997; Kasper 1997), non è chiaro ciò che un individuo ha bisogno di sapere per essere pragmaticamente competente e comunicare in modo appropriato ed efficace in un data situazione. (Veronika Timpe Laughlin, Jennifer Wain, Jonathan Schmidgall)
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Sebbene il linguaggio sia spesso considerato il mezzo attraverso il quale i nostri pensieri vengono resi consci, l'estensione del controllo cosciente del linguaggio può essere più un'illusione che la realtà. (Peter Gordon)
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La lingua può identificarsi con un ‘mezzo per raggiungere scopi’ (pragmalinguistica), indicare un ‘rapporto di ruolo sociale’ e l’‘appartenenza a un gruppo’ (sociolinguistica), essere ‘forma’ (nei diversi piani formali di fonologia, grafemica, morfologia, sintassi, lessico e testualità), definirsi ‘espressione di una cultura’ (etnolinguistica) e, infine, rappresentare uno ‘strumento del pensiero’ (nei termini di concettualizzazione) e uno ‘strumento di espressione’ a livello estetico. (Fabio Caon)
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L’insieme è, spesso, più della somma delle sue parti. Perché presenta, spesso, proprietà che non sono la semplice somma delle proprietà delle sue parti. Presenta proprietà emergenti. (Philip Warren Anderson)
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Domanda: La nostra mente è come un computer? Risposta di John Searle: «No. Il computer è una macchina puramente sintattica. Le menti hanno un contenuto mentale o semantico. I computer manipolano simboli complessi, di solito pensati come costituiti da codici di zero e uno. Ma le menti umane hanno molto di più di semplici simboli. Hanno il significato. Nel caso del computer, l'unico significato viene attribuito dall'esterno». (John Searle)
Per i sistemi di Intelligenza artificiale la comprensione linguistica resta ancora un miraggio
Il problema di applicare alla AI le regole che l'evoluzione ha inserito nell'intelligenza umana è che l'essere umano, oggi, non ha ben chiari molti dei meccanismi che governano le sue azioni e la sua intelligenza. Ad esempio, il matematico e filosofo Judea Pearl ha recentemente ipotizzato che la "causalità" sia il modello logico con cui funziona la mente umana e ha quindi indicato i criteri per applicare la modellazione causale alla AI, invitando i progettisti di applicazioni di machine learning a tenerne conto. Ma siamo solo all'inizio di un adeguamento che vede oggi molte carenze nelle applicazioni di Intelligenza artificiale nell'impiego del linguaggio, come scrive il linguista e filosofo Marcelo Dascal (vedi bibliografia 1992):

L'intelligenza artificiale, concepita come un tentativo di fornire modelli di cognizione umana o come lo sviluppo di programmi in grado di svolgere compiti "intelligenti", è principalmente interessata agli usi del linguaggio. Dovrebbe quindi riguardare la pragmatica. Ma la sua preoccupazione per la pragmatica non dovrebbe essere limitata alla concezione ristretta e tradizionale della pragmatica come teoria della comunicazione (o degli usi sociali del linguaggio).
Le applicazioni di intelligenza artificiale che usano il linguaggio come pappagalli artificiali
L'intelligenza artificiale ha creato dei programmi (chatbot) che possono intrattenere conversazioni linguistiche con gli utenti. Sono quei programmi che usano modelli computazionali del linguaggio e che gli studiosi definiscono "pappagalli artificiali" poichè parlano senza capire ciò che dicono.
Come scrive il linguista informatico Guido Vetere (vedi bibliografia 2020):

Oggi il combinato disposto delle architetture neurali, della potenza di calcolo e della disponibilità di dati incoraggia la tentazione di sbarazzarsi del segno linguistico. I progettisti di reti neurali che si accostano al linguaggio vedono questo come uno spazio combinatorio di stringhe alfabetiche. Tali elementi non sono simbolici (symbolon, che porta insieme), in quanto per le macchine essi non significano nulla più che numeri. L'unica cosa che conta sono le relazioni sintattiche (syntaksis, disposizione) che tali numeri esibiscono nelle sequenze in cui occorrono, cioè nei testi. L'insieme di queste combinazioni formano un immenso spazio algebrico. L'idea è che in questo spazio siano matematicamente riconoscibili le tracce dei significati, e circola anche l'ipotesi che tali impronte statistiche rendano conto del contenuto delle parole meglio di quanto possano fare i dizionari.

Non sembra una strada destinata al successo, perchè la vastità dei processi mentali aperti dal linguaggio nella mente umana, si avvicina di più agli usi che ne fa la "comunicazione interculturale" odierna, che è in crescita a causa della globalizzazione, delle migrazioni e, in generale, a causa dell'accelerazione del processo di ibridazione umana in corso nel mondo. I processi mentali necessari alla comunicazione interculturale, e soprattutto le sue conseguenze sulle competenze pragmatiche e sul "pensiero" umano, vengono descritti in questa pagina. Il linguaggio è per l'essere umano molto più di un mezzo di comunicazione, come invece esso è oggi per l'intelligenza artificiale.
Delle difficoltà incontrate dal rapporto tra linguaggio e mondo, nelle applicazioni IA, Guido Vetere scrive (vedi bibliografia 2019):

Abbiamo visto come l’IA attuale, caratterizzata dall’empirismo dei dati e dalla statistica distribuzionale, si ferma sulla soglia del valutare se due frasi sono semanticamente affini, schivando dunque lo scabroso problema del rapporto tra quelle frasi e il mondo. Ma una cosa come il test di Turing non si può superare con metodi sintattici o statistici: bisogna davvero capire cosa l’interlocutore sta dicendo, e questo, piaccia o no, significa avere un modello di ciò che intende significare. Insomma, bisogna spiegare perché una frase denota un certo stato di cose, e questo (lo spiega bene Judea Pearl) vuol dire parlare di cause, non di  correlazioni.
Il campo semantico per le macchine è ancora un obiettivo piuttosto distante. L'accesso alle informazioni sul mondo è ora facile e conveniente, e le macchine hanno accesso a un'immensità di contenuti all'interno dei quali selezionano le risposte alle richieste degli utenti. La semantica, tuttavia, continua ad essere un obiettivo difficile da raggiungere, e la causa deve essere trovata nella sua dimensione pragmatica
Valorizzare il potenziale di differenze rappresentato da culture e linguaggi diversi
Il semiologo Charles Morris nel 1938 definì la semiotica come costituita da tre componenti: sintassi, semantica, e pragmatica. La maggior parte degli utenti web attribuisce a quest'insieme di pratiche la caratteristica di sistema simbolico. Sulla relazione tra linguaggio e processi mentali, consci ed inconsci, lo psicologo Peter Gordon scrive (vedi bibliografia 2009):

Sebbene il linguaggio sia spesso considerato il mezzo attraverso il quale i nostri pensieri vengono resi consci, l'estensione del controllo cosciente del linguaggio può essere più un'illusione che la realtà. Pensando al ruolo dei processi consci e inconsci nel linguaggio, viene in mente la metafora di Freud della mente come iceberg: la coscienza è rappresentata come la superficie relativamente piccola dell'iceberg che è supportata da vaste strutture sotto la superficie che rappresenta la mente inconscia.

Nel delineare il ruolo della pragmatica come componente essenziale della capacità di linguaggio comunicativo e, in particolare,  la relazione dei segni polisemici "coscienza" e "linguaggio", il semiologo Jordan Zlatev scrive (vedi bibliografia 2014):

[nel mio lavoro] Ho presentato argomenti basati sulla normatività e sulla natura semiotica del linguaggio per i quali la coscienza riflessiva è indispensabile per l'esistenza del linguaggio come una forma speciale di conoscenza comune, nonché per la nostra conoscenza individuale della lingua. Inoltre, ho sostenuto che la coscienza è essenziale per l'uso del linguaggio ordinario, sulla base dell'autocontrollo e delle molteplici scelte che abbiamo nel formulare le nostre espressioni, sulla base della consapevolezza dello stato di conoscenza dell'ascoltatore e del contesto.

Attualmente, presso le principali Università statunitensi, sono in corso ricerche per migliorare l'aspetto pragmatico nella comunicazione dei chatbot e altri dispositivi. Dei problemi rilevati in alcuni moderni software per la ricerca online, scrive l'informatico Fabrizio M.A. Lolli (vedi bibliografia 2013):

Abbiamo analizzato tutti i più recenti dispositivi elettronici e informatici, incluso il più recente Google Voice Search e Siri di Apple, molti dei quali sono pubblicizzati e offerti all'utente come con capacità semantiche. Da quello che abbiamo visto, tuttavia, il campo semantico per le macchine è ancora un obiettivo piuttosto distante. L'accesso alle informazioni sul mondo è ora facile e conveniente, e le macchine hanno accesso a un'immensità di contenuti all'interno dei quali selezionano le risposte alle richieste degli utenti. La semantica, tuttavia, continua ad essere un obiettivo difficile da raggiungere, e la causa deve essere trovata nella sua dimensione pragmatica.
Il linguaggio è per l'essere umano molto più di un mezzo di comunicazione, come invece esso è oggi per l'intelligenza artificiale. Per capire la vastità dei processi mentali aperti dal linguaggio, forse conviene avvicinarsi agli usi che ne fa la "comunicazione interculturale" odierna, che è in crescita a causa della globalizzazione, delle migrazioni e, più in generale, del processo di ibridazione umana in corso nel mondo
Influenza dell'inconscio nel linguaggio umano
Flusso d’informazione nel cervello di un parlante-ascoltatore (da Jackendoff 1988)
chomsky
La psicolinguista Luciana Brandi e la matematica Beatrice Salvadori, nel libro "Dal suono alla parola - Percezione e produzione del linguaggio tra neurolinguistica e psicolinguistica", presentano un quadro degli studi sulla costruzione del linguaggio nella mente umana. Da quel libro traiamo un riferimento alle idee del linguista Noam Chomsky, che considera "innato" e "inconscio" il linguaggio umano (p.3):

L’innatismo chomskyano assegna ad un organo mentale, sistema cognitivo per eccellenza, la facoltà che ogni essere umano ha di diventare parlante di una lingua naturale, facoltà a cui non può sottrarsi neppure se lo volesse. Come non decidiamo di imparare a respirare, ma lo facciamo perché siamo programmati per farlo, così non decidiamo di imparare a parlare, perché siamo ugualmente programmati dalla nostra natura biologica per farlo. Da uno stadio iniziale che coincide con le dotazioni proprie del LAD [Language Acquisition Device], per interazioni successive con i dati dell’esperienza, l’individuo elabora quel sistema di conoscenze che chiamiamo grammatica di una lingua e del quale non abbiamo consapevolezza alcuna essendo l’intero processo di natura inconscia.
Wittgenstein: qual è il senso della vita umana che la AI non può, oggi, capire
Rudezza e ambiguità non sono imperfezioni: sono ciò che fa girare il mondo. (Scena finale dell'omonimo film di Derek Jarman)
Wittgenstein, nelle fasi iniziali della sua riflessione sul rapporto tra linguaggio e mondo era ossessionato dalla struttura logica di un linguaggio che potesse descrivere il mondo sconvolto dalle guerre nel quale viveva.
A proposito delle riflessioni del giovane Wittgenstein sull'ordine che il linguaggio doveva imporre alla descrizione del mondo, scrive il filosofo Marco Trainito (vedi bibliografia 2000):

Che poi quest’ordine non sarebbe stato altro che l’ombra proiettata sul mondo dalla forma logica del linguaggio comune, non costituiva alcun problema: l’inevitabile circolarità era mascherata dalla possibilità di pervenire a una descrizione vera (benché inutile) dei fatti, di raggiungere la certezza consolatoria che può nascere dall’aver ingabbiato il mondo, tutto il mondo, nelle maglie d’acciaio di un linguaggio corretto. La realtà andava misurata, calcolata, inchiodata, in definitiva resa inoffensiva, secondo il tipico ‘imperativo categorico’ su cui si regge la volontà di sapere occidentale e che consiste, come ha osservato Nietzsche, nel «comprendere, o meglio rendere per noi formulabile, calcolabile, secondo uno schema di essere da noi posto, il mondo reale».
Come la neuroplasticità ha modificato l'intelligenza e il linguaggio umani
La neuroscienziata Marion Diamond è stata una pioniera degli studi sulla neuroplasticità del cervello umano. Dopo la sua morte, nel 2017, scrive il giornalista Simone Petralia (vedi bibliografia 2018):

Nel 1960 Marion Diamond inizia a collaborare con gli psicologi David Krech e Mark Rosenzweig e con il chimico Edward Bennett. Con loro porta avanti una ricerca sulla plasticità del cervello. In quegli anni l’opinione prevalente tra i neuroscienziati è che la natura del cervello sia fissa e immutabile, definita una volta per tutte dal patrimonio genetico. Il team di Diamond conduce una serie di esperimenti sui topi: alcuni animali vengono inseriti in un ambiente arricchito di stimoli, altri in un ambiente impoverito. Dalla ricerca emerge che la corteccia cerebrale dei primi diviene più spessa, mentre quella dei secondi si assottiglia. Viene dimostrato che il cervello è un organo plastico, in costante evoluzione e che a qualsiasi età – da quella prenatale alla vecchiaia – può essere profondamente modificato dall’ambiente. Come tutte le nuove scoperte, anche questa viene accolta inizialmente con scetticismo e diffidenza, ma per le neuroscienze è l’inizio di una nuova era.


Per approfondire la neuroplasticità andare alla pagina "Neuroplasticità".
Come il cervello umano si adatta al mondo
La neuroscienziata Marion Diamond iniziava le sue lezioni estraendo un cervello umano da una grande cappelliera decorata con motivi floreali. “È la più complessa massa di protoplasma esistente sulla Terra”, diceva tenendolo tra le mani, “pesa poco più di un chilo, ma ha la capacità di concepire un universo che si estende per miliardi di anni luce. Non è fenomenale?
Scopo del linguaggio umano ed evoluzione degli studi linguistici
Per mezzo del linguaggio possiamo, non soltanto comunicare ma, soprattutto, vivere in un mondo virtuale condiviso con altri. Infatti, la rappresentazione simbolica di oggetti, eventi, relazioni che il linguaggio permette, fornisce un efficace sistema di riferimento per generare nuove rappresentazioni, predire eventi futuri, pianificare azioni, organizzare ricordi: cioè quella che il filosofo Charles S. Peirce ha chiamato "semiosi illimitata" (un processo di significazione continuo di segni che producono altri segni) che è diventato il paradigma della comunicazione di massa e, oggi, del web (che viene impropriamente chiamato mondo virtuale ma che è solo una parte del mondo virtuale di ogni individuo). L'essere umano è il solo a poter vivere, non solo nel mondo reale, ma anche in molti "mondi possibili"
Quanti e quali scopi può avere il linguaggio per una persona (psicologicamente) sana
Secondo il linguista Uwe Porksen, autore di un libro nel quale ha descritto il degrado del linguaggio nelle società industrializzate della seconda metà del Novecento ("Parole di plastica"), il linguaggio ha due scopi principali, che sono: l'arricchimento del mondo personale di ogni individuo e la capacità di condividere la sofferenza e, in tal modo, di resistervi. Analogamente il filologo Victor Klemperer aveva descritto il degrado della lingua tedesca verificatosi durante il nazismo nella società del tempo ("LTI, La lingua del terzo Reich"). Le attuali applicazioni di AI assomigliano (linguisticamente) in modo inquietante agli automi umani di cui parlano questi due libri. Tali affermazioni vanno inserite nel contesto dell'evoluzione del cervello umano, infatti ricordiamo che l'antropologo Terrence Deacon ha ipotizzato (nel libro "La specie simbolica") che il linguaggio si sia evoluto non con lo scopo di favorire la comunicazione, quanto per abilitare un "pensiero simbolico" utile alla sopravvivenza.
Scopo del linguaggio
Mappa concettuale (parziale) del libro "Parole di plastica - La neolingua di una dittatura internazionale" di Uwe Pörksen - Textus Ed.
Porksen mette in evidenza lo scopo principale del linguaggio che è quello di "umanizzare" l'uomo consentendogli di condividere la sua sofferenza. La disumanizzazione inizia sempre da un degrado del linguaggio (documentato dalla storia dei Totalitarismi), che vuole trasformare l'uomo in un automa, incapace di fare (o farsi) domande e di pensare criticamente.
Evoluzione epistemologica degli studi linguistici: dalla Linguistica alla Glottodidattica
Negli studi linguistici, a partire dalla metà del '900, vi è stata una progressiva attenzione alla figura del soggetto interpretante nella creazione del senso. Oltre agli aspetti sintattici e semantici alcuni linguisti hanno iniziato a interessarsi agli aspetti pragmatici del discorso: è così nata la "Glottodidattica", una disciplina multidisciplinare che pone attenzione sia al "testo" che al "contesto" in cui si svolge il discorso, e quindi a valutare gli aspetti psicologici, antropologici, e sociali di coloro che dialogano, come scrive il linguista Paolo Balboni (vedi bibliografia 2012):

Con gli occhi di oggi non c’è nulla di rivoluzionario nel considerare la glottodidattica come parte delle scienze del linguaggio, sebbene caratterizzata da una forte interazione con le scienze psicologiche, antropologico-sociali, pedagogico-didattiche.
AI
La teoria degli atti linguistici: come fare cose con le parole
Nel Novecento Il filosofo John Austin, interrogandosi sul significato ambiguo di molti testi, con il libro "Come fare cose con le parole", [Austin] ha dato una svolta alla linguistica trasformando la visione del linguaggio da  "descrizione" in "azione". Egli ha scritto (pp. 7-8):

Per troppo tempo i filosofi hanno assunto che il compito di una "asserzione" possa essere solo quello di "descrivere" un certo stato di cose, o di "esporre un qualche fatto", cosa che deve fare in modo vero o falso. [...] Sia gli studiosi di grammatica che i filosofi erano consapevoli  del fatto che non è per niente facile distinguere le domande, gli ordini, e così via dalle asserzioni mediante le poche e misere indicazioni grammaticali disponibili, quali l'ordine delle parole, il modo del verbo, e così via. [...] Non tutte le asserzioni vere o false sono descrizioni, e per questa ragione preferisco usare la parola "constativo".

A tal proposito i semiologi Valentina Pisanty e Roberto Pellerey scrivono nel libro "Semiotica e interpretazione" (pp.131-132):

La nozione di atto linguistico è stata introdotta nel panorama della filosofia del linguaggio da John Austin che, nel saggio "How to do things with words", sosteneva la necessità di studiare i fenomeni linguistici dal punto di vista pragmatico, e di specificare i casi in cui "dire qualcosa equivale a fare qualcosa". All'origine della teoria degli atti linguistici, c'è la distinzione tra enunciati "performativi" e enunciati "constativi" proposta da Austin in un articolo del 1946 ("Other Minds") [...] Ciò che distingue gli enunciati performativi dagli enunciati constativi (le asserzioni come "la neve è bianca" e "un triangolo ha tre lati") è che, mentre questi ultimi sono suscettibili di una valutazione in termini di verità e falsità, i performativi non possono essere giudicati veri o falsi. [...] Gli atti performativi hanno bisogno di essere pronunciati in un determinato contesto e nell'osservanza di alcune convenzioni che li rendano operativi. Se tali condizioni non vengono soddisfatte, si dirà che l'enunciato è "infelice".

Nel libro "Come fare cose con le parole", Austin di fronte alla difficoltà di distinguere i performativi dai constativi ha evidenziato il fatto che ogni parlante, quando dice qualcosa, compie tre atti simultanei:

    • atto locutorio: consiste nell'emissione di determinati suoni (atto fonetico) e nell'organizzarli sintatticamente (atto fatico) e per riferirsi a particolari stati del mondo (atto rhetico). L'atto locutorio si definisce "felice" se le parole vengono promunciate correttamente, se sono collegate in modo conforme alle regole grammaticali, e se il loro senso è chiaro.

    • atto illocutorio: consiste nel modo in cui si sta usando l'enunciato, ad esempio: per fare una domanda, per dare un'informazione, per pronunciare una sentenza, per annunciare un'intenzione, e via dicendo. L'atto illocutorio viene detto "felice" se sussistono le condizioni per eseguirlo, e se il destinatario riconosce la forza illocutoria dell'atto, perchè, in caso contrario l'atto illocutorio non può entrare in vigore ed esercitare i suoi effetti. In quest'ultimo caso al destinatario viene attribuita la possibilità di rendere "infelice" l'atto illocutorio, attraverso la sua mancata risposta.

    • atto perlocutorio: consiste nel produrre certi effetti sul destinatario per mezzo delle parole usate, ad esempio: dissuadere, disturbare, compiacere, sedurre, intimidire, insinuare, sorprendere, ingannare, ecc.

Austin ammette che distinguere tra atti illocutori e perlocutori, a volte, può essere difficile e avverte che la principale differenza è che gli atti illocutori usano sempre le parole, mentre quelli perlocutori possono evitarle. A tal proposto egli scrive (p.88):

E' caratteristico degli atti perlocutori che la risposta ottenuta, o il seguito, possano essere ottenuti, in aggiunta o completamente, con mezzi non locutori: così l'intimidazione può essere ottenuta brandendo un bastone o puntando un fucile.
John Austin, interrogandosi sul significato ambiguo di molti testi, con il libro "Come fare cose con le parole", ha dato una svolta alla linguistica trasformando la visione del linguaggio da  "descrizione" in "azione"
La pragmatica come componente essenziale della capacità di linguaggio comunicativo
I pedagogisti Veronika Timpe Laughlin, Jennifer Wain, Jonathan Schmidgall, nel constatare l'oscurità di ciò che un essere umano deve sapere per essere pragmaticamente competente, hanno evidenziato la convinzione della maggior parte dei linguisti, secondo cui la competenza pragmatica consista di due sottocomponenti distinte: "pragmalinguistica" e "sociopragmatica", in cui la pragmalinguistica costituisce "il fine più linguistico della pragmatica", ovvero le strategie e le risorse linguistiche necessarie per codificare e decodificare una data illocuzione, e la sociopragmatica si occupa invece "delle regole e delle convenzioni dell'uso del linguaggio appropriato e accettabile dal punto di vista della situazione, culturale e sociale". Essi scrivono (vedi bibliografia 2015):

La Sociopragmatica, come "interfaccia sociologica della pragmatica" (Leech, 1983, p. 10), si occupa delle regole e delle convenzioni dell'uso del linguaggio appropriato e accettabile dal punto di vista della situazione, culturale e sociale. Ciò include la conoscenza dei "tabù, dei diritti reciproci, degli obblighi e dei corsi di azione convenzionali che si applicano in una data comunità linguistica" (Roever, 2006, p. 230). Così, un utente linguistico sociopragmaticamente competente - consapevole delle variabili socioculturali come la distanza sociale, il potere relativo e il grado di imposizione (Brown & Levinson, 1987) - sa quando, per esempio, un orientamento convenzionale può essere più appropriato della franchezza estrema.

L'obiettivo al quale tende l'insegnamento della pragmatica in un contesto interculturale è quello di agire, nella mente del discente, sia grammaticamente e sintatticamente che socio-culturalmente, come fanno notare Veronika Timpe Laughlin e gli altri pedagogisti, scrivendo:

La struttura binaria e psicolinguistica della pragmalinguistica e sociopragmatica posiziona la competenza pragmatica su un continuum con la grammatica da un lato e la sociologia dall'altro, il che rende la competenza pragmatica un processo adattivo mediato dalle risorse linguistiche di un individuo così come dalle modalità, vincoli e convenzioni socioculturali di una data situazione di utilizzo della lingua.
La competenza pragmatica è un processo "adattivo" mediato sia dalle risorse linguistiche di un individuo sia  dalle modalità, i vincoli e le convenzioni socioculturali di una data situazione sociale
Competenza socio-pragmatica
La pragmatica come componente essenziale della capacità di linguaggio comunicativo
I pedagogisti Veronika Timpe Laughlin, Jennifer Wain, Jonathan Schmidgall, nell'ottica di favorire l'insegnamento delle competenze sia pragmalinguistiche che sociopragmatiche a coloro che devono impiegarle in un nuovo posto di lavoro, sottolineano  (vedi bibliografia 2015):

Alcuni datori di lavoro sono consapevoli dell'importanza della competenza sociolinguistica e pragmatica, sebbene non li identifichino come tali. Commentano che i lavoratori hanno tutte le competenze necessarie per svolgere il lavoro, ma che sembrano poco amichevoli o a disagio al lavoro; non sembrano adattarsi perfettamente. (Holmes, 2000)

Si tratta infatti di un adattamento sul quale occorre lavorare, che Veronika Timpe Laughlin (e gli altri pedagogisti), evidenziano:

I compiti per l'istruzione o la valutazione pragmatica devono fornire un'elevata quantità di informazioni contestuali come punto di riferimento. Sebbene il contesto sia fondamentale per la valutazione di un comportamento pragmatico appropriato, rimangono due domande chiave: (a) come si può insegnare un comportamento pragmalinguistico e sociopragmatico appropriato se l'appropriatezza di un'espressione varia da una situazione di utilizzo della lingua all'altra, e (b) data la dipendenza dal contesto e, di conseguenza, dall'interlocutore, come trarre inferenze e generalizzare sulla base di compiti pragmatici di valutazione.
E' stato dimostrato che le chiacchiere sul posto di lavoro (anche quelle al bar o alla macchinetta del caffè) sono uno strumento efficace per raggiungere gli obiettivi richiesti dal proprio ruolo professionale
Esempi di ignoranza pragmatica
Alcuni esempi di conversazione mal riuscita nei quali manca la competenza pragmatica sono riportati dal linguista Luciano Mariani (vedi bibliografia 2015):

Esempio 1
Anne, americana, e Juanita, messicana, sono colleghe.
Juanita: Anne, faccio una festicciola domenica. Ci vieni?
Anne: Ehm … no, mi spiace, ho un altro impegno.
Juanita: Oh … (sembra molto sorpresa e delusa)

Cosa non va? La sorpresa e la delusione di Juanita potrebbero spiegarsi non soltanto con il rapporto che intercorre tra le due persone, ma anche con il rifiuto netto e immediato dell’invito da parte di Anne. Nella cultura messicana, infatti, ci si aspetta che l’invito venga in prima istanza accettato (sia pure con riluttanza e senza una vera intenzione di aderirvi).

Esempio2
Un insegnante inglese in Cina è particolarmente soddisfatto
del lavoro di uno studente, e gli fa molti complimenti in classe.
Sia lo studente che i suoi compagni sembrano a disagio.

Cosa non va? Gli studenti del secondo esempio testimoniano il forte senso di gruppo e di comunità che esiste in diverse culture orientali, tra cui quella cinese. La lode pubblica ad un singolo individuo causa tensione ed imbarazzo.

Esempio3
Simon, israeliano, e Jim, americano, lavorano nella stessa azienda.
Simon: E così hai trovato un nuovo lavoro. Quanto ti danno al mese?
Jim: Ehm … mah … più o meno come qui … (sembra sconcertato e imbarazzato)
Cosa non va? Simon presume che, come nella sua cultura, anche in quella americana sia legittimo ed accettabile chiedere quanto guadagna una persona – ma lo sconcerto di Jim prova il contrario.

Come Luciano Mariani scrive (vedi bibliografia 2015):

In teoria, siamo liberi di parlare o di stare in silenzio, di scegliere gli argomenti di conversazione, di fare richieste, inviti e complimenti, di accettare o rifiutare … ma in realtà la cultura condiziona fortemente questa nostra apparente libertà. Le interazioni sociali, verbali e non verbali, sono sempre regolate da norme, per lo più implicite, la cui forza appare particolarmente evidente quando vengono, sia pure inconsapevolmente, violate. La competenza pragmatica interculturale studia appunto queste norme e come esse condizionano i comportamenti comunicativi.
Siamo liberi di parlare o di stare in silenzio, di scegliere gli argomenti di conversazione, di fare richieste, inviti e complimenti, di accettare o rifiutare … ma in realtà la cultura condiziona fortemente questa nostra apparente libertà. Le interazioni sociali, verbali e non verbali, sono sempre regolate da norme, per lo più implicite, la cui forza appare particolarmente evidente quando esse vengono, sia pure inconsapevolmente, violate
Le chiacchiere sul posto di lavoro favoriscono la competenza pragmatica
Così come è stato ipotizzato dall'antropologo Robin Dunbar che il pettegolezzo (Gossip) sia utile a informarci sul potere degli altri, la linguista Janet Holmes ha dimostrato (vedi bibliografia 2000) che le chiacchiere sono una componente importante dell'interazione sul posto di lavoro, e che usare le chiacchiere in modo appropriato, ottenere dei contenuti, la collocazione, la quantità e il tono 'giusti' può essere un aspetto cruciale e complesso del raggiungimento degli obiettivi sul posto di lavoro. Inoltre la Holmes ha scoperto che le chiacchiere sono potenzialmente problematiche per coloro che non condividono le stesse regole sociolinguistiche e pragmatiche riguardo agli argomenti, alla distribuzione e alle funzioni appropriate delle chiacchiere al lavoro. Ha identificato i seguenti argomenti non controversi come appropriati per le chiacchiere nei luoghi di lavoro inglesi: il tempo (Esempio: Bella giornata; Oggi si gela), richieste ritualizzate sulla salute (Esempio: Come va?; Come stai?), Sport (Esempio: Quella di sabato è stata un grande partita), famiglia (Esempio: i miei figli hanno fatto una partita di calcio ieri sera), commenti positivi sull'aspetto (Esempio: Tivedo bene!; Stai benissimo!), attività sociali fuori dal lavoro (Esempio: Siamo andati alla lezione di yoga la scorsa serata) e lamentele sulla mole di lavoro.
La Pragmalinguistica costituisce "il fine più linguistico della pragmatica", ovvero le strategie e le risorse linguistiche necessarie per codificare e decodificare una data illocuzione. La Sociopragmatica, si occupa invece delle regole e delle convenzioni dell'uso del linguaggio appropriato e accettabile dal punto di vista della situazione, culturale e sociale. Ciò include la conoscenza dei “tabù, dei diritti reciproci, degli obblighi e dei corsi di azione convenzionali che si applicano in una data comunità linguistica.
La Sociopragmatica si occupa delle regole e delle convenzioni dell'uso del linguaggio appropriato e accettabile dal punto di vista della situazione, culturale e sociale. Ciò include la conoscenza dei tabù, dei diritti reciproci, degli obblighi e dei corsi di azione convenzionali che si applicano in una data "comunità linguistica". Invece, la Pragmalinguistica rende consapevoli di variabili socioculturali quali la distanza sociale, il potere relativo e il grado di imposizione, e quindi riesce a decidere quando, per esempio, nel parlare all'altro, un cauto orientamento convenzionale è più appropriato della franchezza estrema
Cosa significa "sapere una lingua": le competenze comunicative umane necessarie alla comunicazione interculturale
Il linguista Fabio Caon, nell'analizzare le competenze necessarie alla comunicazione interculturale "umana" elenca e descrive una serie di esigenze fondamentali per gli umani: saper relativizzare, saper sospendere il giudizio, saper comprendere emotivamente (empatizzare ed exotopizzare), saper ascoltare attivamente, saper negoziare i significati. Per approfondire vedi (bibliografia 2016).
Riguardo al saper negoziare i significati egli scrive:

La disponibilità ad ‘esporsi’, propria della sfera emotiva, unita alla consapevolezza razionale della propria ‘relatività’ possono favorire quel processo di spiazzamento che viene definito ‘transitività cognitiva’. La transitività cognitiva crea una sorta di ‘permeabilità’ relazionale e comunicativa, una disponibilità ad accogliere l’altro e a valutare se quel che egli ‘propone’ possa essere accolto e integrato nel nostro sistema cognitivo o se, invece, sia da accettare parzialmente o da rifiutare.

Quando ci si trova in una situazione relazionale "interculturale" occorre sopportare il disagio dell'incertezza che nasce dall'urgenza classificatoria che può portare verso credenze pregiudiziali. A tal proposito Fabio Caon scrive (vedi bibliografia 2016):

Nella vita quotidiana abbiamo bisogno di una rapidità nel categorizzare le cose e le persone per essere ‘pronti’ agli imprevisti che possiamo incontrare continuamente e che, minando il nostro ‘equilibrio’, ci possono turbare. Marianella Sclavi (2003, 47) parla, a tal riguardo, di «urgenza classificatoria» e di come essa orienti «verso credenze pregiudiziali piuttosto che verso meticolose analisi dell’esperienza»: ecco allora che, in prospettiva interculturale, occorre invece «sviluppare la capacità di convivere col disagio dell’incertezza, di sopportare l’esplorazione prolungata e paziente».

Riguardo alla capacità di decentrarsi emotivamente attraverso due concetti: l’empatia e l’exotopia, Fabio Caon scrive (vedi bibliografia 2016):

 L’empatia è la capacità di partecipare attivamente allo stato emozionale dell’interlocutore riconoscendo la ‘qualità’ del suo vissuto emotivo. Anche grazie agli studi sui neuroni specchio, l’idea che sta alla base dell’empatia è la nostra possibilità di ‘riconoscere’ emotivamente il vissuto degli altri, trovando connessioni indirette con la nostra storia e l’elaborazione emozionale del nostro vissuto. Tale capacità di ‘immedesimazione’ nell’altro – seppur con una intensità diversa, in quanto l’esperienza a cui si fa riferimento per empatizzare è differente – può favorire un contatto emotivo con l’altro, come se noi lo sentissimo, oltre che capirlo.
L’exotopia è invece la capacità di riconoscersi diversi dagli altri e di riconoscere la loro diversità. Sclavi (2003: 172), aprendo una sorta di gerarchia valoriale tra i due concetti, la definisce con queste parole: «una tensione dialogica in cui l’empatia gioca un ruolo transitorio e minore, dominata invece dal continuo ricostituire l’altro come portatore di una prospettiva autonoma, altrettanto sensata della nostra e non riducibile alla nostra» e continua:  nell’empatia il ricercatore isola e decontestualizza alcuni tratti della esperienza dell’altro per comprenderla in base alla propria esperienza, quindi mantenendo valido il proprio contesto. Finge di mettersi nelle scarpe dell’altro, ma in realtà, all’ultimo momento, mette l’altro nelle proprie scarpe. Nell’exotopia invece la ricerca inizia quando il ricercatore, avendo cercato di mettersi nelle scarpe dell’altro, si accorge che non gli vanno bene. Ma per accorgersi bisogna ‘esporsi’ (...).  L’exotopia può rappresentare, a nostro avviso, una tappa preliminare per un’empatia più consapevole.

Nel descrivere il modello (vedi figura), Fabio Caon scrive:

Presentando una sintetica descrizione del modello, diremo che nella mente umana si possono sviluppare tre tipi di competenze che definiscono il ‘sapere la lingua’:

a. la competenza linguistica, basata sull’apprendimento e il potenziamento delle grammatiche fonologica, grafemica, morfosintattica, lessicale e testuale che regolano la lingua;

b. la competenza extralinguistica, fondata sulla consapevolezza e la conoscenza dei linguaggi non verbali delle dimensioni cinesica, prossemica, vestemica e oggettemica;

c. la competenza socio-pragmatica e (inter) culturale, incentrata sull’apprendimento della lingua in uso e sulla capacità di esercitare le diverse funzioni linguistiche nei relativi generi e atti comunicativi, espressioni e registri linguistici. Come ricorda Balboni (2015, 2): Quest’ultima ha tre dimensioni:
sociolinguistica, che in questo caso focalizza principalmente i registri: gli errori di registro prevalgono sulla correttezza formale e quindi impediscono l’efficacia pragmatica;
cultura quotidiana, materiale, way of life: dall’organizzazione urbana a quella della scuola, dall’articolazione dei pasti ai loro componenti ecc., sono necessarie conoscenze specifiche per poter interagire in un dato Paese;
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civiltà, cioè valori di riferimento, way of thinking, cioè l’idea di uomo, di giustizia, di relazioni umane e sociali, e così via, di un popolo: sono gli elementi che definiscono l’identità di quel popolo, i cui membri vi si riconoscono perché condividono questi modelli di catalogazione e valutazione della realtà.
Nella mente umana si possono sviluppare tre tipi di competenze che definiscono il ‘sapere la lingua’:

a. la competenza linguistica, basata sull’apprendimento e il potenziamento delle grammatiche fonologica, grafemica, morfosintattica, lessicale e testuale che regolano la lingua;

b. la competenza extralinguistica, fondata sulla consapevolezza e la conoscenza dei linguaggi non verbali delle dimensioni cinesica, prossemica, vestemica e oggettemica;

c. la competenza socio-pragmatica e (inter)culturale, incentrata sull’apprendimento della lingua in uso e sulla capacità di esercitare le diverse funzioni linguistiche nei relativi generi e atti comunicativi, espressioni e registri linguistici
Un modello di analisi della comunicazione interculturale
Secondo Fabio Caon (vedi bibliografia 2016), nel modello di competenza comunicativa interculturale, tra la realtà mentale e quella sociale, c’è un fascio di abilità (di comprensione, produzione, interazione, manipolazione di testi) che si traducono in azione.

Tra mente e mondo troviamo il ponte costituito sia dalle abilità linguistiche proprie del modello di competenza comunicativa, sia dalle abilità relazionali. Quest'ultime vanno sviluppate modificando la propria forma mentis in ordine alla nostra reazione ‘emozionale’ di fronte ad azioni o parole di interlocutori di altre culture. Infatti, spesso, ciò che proviene da culture diverse dalla nostra lo riteniamo incomprensibile, poco appropriato o spiacevole e a volte percepiamo quelle parole come offese, mancanze di attenzione, segnali di ‘maleducazione’ e così via.
Questo elemento dello schema ha uno scopo ‘processuale’, ovvero di intervenire sul modo di gestire i propri pensieri, il proprio stato emotivo e l’interazione con l’interlocutore.
La grande possibilità che ci offre la comunicazione interculturale è quella di guardare meglio gli altri grazie ad uno sguardo più attento ma, prima ancora, di guardare meglio noi stessi attraverso gli altri, potendo disporre di angolazioni plurali e inaspettate
Diagramma sulla competenza comunicativa interculturale
Figura tratta da "Lingue e culture in contatto - Una prospettiva interculturale" di Fabio Caon (vedi bibliografia 2016)
Dimensioni culturali in un mondo interculturale
L'antropologo Geerte Hofstede ha sviluppato (vedi bibliografia 2001) uno dei primi e più popolari framework per misurare le dimensioni culturali in una prospettiva globale.
Nel suo lavoro ha descritto le "culture nazionali" lungo sei dimensioni: distanza dal potere, individualismo, evitamento dell'incertezza, mascolinità, orientamento a lungo termine e indulgenza contro moderazione.

Il lavoro di Hofstede esplora le differenze nel pensiero e nell'azione sociale che esistono tra i membri di oltre 50 nazioni moderne.

Hofstede ha sostenuto che le persone portano avanti "programmi mentali" che sono sviluppati in famiglia nella prima infanzia e rafforzati a scuola e nelle organizzazioni, e che questi programmi mentali contengono una componente della cultura nazionale.

Modello d'interazione linguistica tra due persone
Cliccare per approfondire
Le conoscenze che creano la competenza pragmatica nei parlanti
Secondo il modello dei pedagogisti Veronika Timpe Laughlin, Jennifer Wain e Jonathan Schmidgall (vedi bibliografia 2015) la competenza pragmatica di ciascun interlocutore comprende cinque dimensioni distinte ma correlate della conoscenza: conoscenza socioculturale, conoscenza pragmatico-funzionale, conoscenza grammaticale, conoscenza del discorso e conoscenza strategica che, partendo dal basso, sono così descritte:

1. La Conoscenza socioculturale (età, genere potere, ruolo, ambientazione, norme, argomenti) è intesa come direttamente correlata al contesto situazionale di un incontro comunicativo.

2. La Conoscenza pragmatico-funzionale è intesa come conoscenza relativa alle associazioni tra forma e significato. La conoscenza pragmatico-funzionale è concettualizzata come composta da due sottocomponenti: conoscenza illocutoria (cioè, atti linguistici e funzioni) e conoscenza sociolinguistica (cioè, registro, naturalezza, dialetto/varietà, genere, espressioni formulate, riferimenti culturali e figure retoriche). Ascoltando Leech's (1983) nella distinzione tra pragmalinguistica e sociopragmatica, la conoscenza pragmatico-funzionale con i suoi due sottocomponenti è stata deliberatamente situata tra conoscenza grammaticale e socioculturale nel modello qui proposto, enfatizzando così la natura socioculturale di elementi come registro, dialetto/varietà o genere in contrasto con il orientamento più linguistico degli atti e delle funzioni linguistiche.

3. La Conoscenza grammaticale è intesa come conoscenza del lessico e delle regole relative a morfologia, sintassi, semantica, fonologia e grafologia.

4. La Conoscenza del discorso è intesa come conoscenza riguardante la coesione e la coerenza. Sebbene la conoscenza del discorso costituisca una componente della conoscenza individuale, è rappresentata visivamente nel modello sopra la conoscenza socioculturale, pragmatico-funzionale e grammaticale, indicando che queste tre componenti della conoscenza vengono realizzate nel discorso.
Carenze dell'Intelligenza Artificiale
Cosa pensa John Searle dell'intelligenza artificiale
Nel 2015 il filosofo John Searle, presentando il libro "Il mistero della realtà" ha risposto ad alcune domande in cui ha chiarito la sua opinione sull'intelligenza artificiale oltre che alla seguente domanda fondamentale: «Come è possibile conciliare ciò che pensiamo della realtà umana con la realtà più elementare descritta dalle scienze dure?» (vedi bibliografia 2019 Barbieri):

Professor Searle, perché è questa la domanda fondamentale?
«Stiamo attraversando una specie di crisi intellettuale, perché la realtà umana e quella di base sembrano inconciliabili».
Qual è la differenza fra le due?
«La realtà di base è la realtà descritta dalla fisica e dalla chimica e dalle altre scienze dure. La realtà umana è la realtà della vita, della società e della coscienza umane. È costruita sulle fondamenta della realtà elementare. Il compito è proprio quello di descrivere come esse siano conciliabili, e come la realtà umana sia uno sviluppo della realtà di base».
E il problema mente-corpo?
«La soluzione al problema mente-corpo risiede nel capire che tutti i processi mentali sono una conseguenza della nostra natura biologica. La mente è, soprattutto, un fenomeno biologico».
La nostra mente è come un computer?
«No. Il computer è una macchina puramente sintattica. Le menti hanno un contenuto mentale o semantico. I computer manipolano simboli complessi, di solito pensati come costituiti da codici di zero e uno. Ma le menti umane hanno molto di più di semplici simboli. Hanno il significato. Nel caso del computer, l'unico significato viene attribuito dall'esterno».
Qual è la differenza fra umani e robot?
«Nessuno dei robot attuali è cosciente».
Lei contesta la teoria dell'Intelligenza artificiale forte. Lo fa grazie al ruolo della coscienza?
«L'Intelligenza artificiale forte è la teoria secondo la quale un computer digitale, adeguatamente programmato, non simula semplicemente una mente bensì, letteralmente, ha una mente. Nel mio argomento originario contro di essa, quello della stanza cinese, non ho mai fatto ricorso al concetto di coscienza. Ma una volta che ti rendi conto che la coscienza è essenziale, allora hai automaticamente confutato l'Intelligenza artificiale forte, perché i computer non sono coscienti».
Dice che la confusione fra processi computazionali e processi mentali dipende dal cartesianesimo. Non è paradossale che una teoria che descrive le nostre menti come «superiori» al corpo porti a considerarle inferiori a un computer?
«Sì, è paradossale. Ma il paradosso svanisce quando si comprende che il cartesianesimo non è riuscito a vedere l'aspetto biologico della mente».
Crede che, in futuro, un'Intelligenza artificiale potrà distruggerci?
«No. Nella fantascienza è possibile immaginare che i robot si ribelleranno e cacceranno gli umani. Ma è un'idea sciocca: i robot non hanno coscienza e, quindi, non hanno autonomia. Non hanno né pensieri né intenzioni».
Ma si può parlare dell'Intelligenza artificiale come di una vera intelligenza, alla fine?
«L'Intelligenza artificiale non è una vera intelligenza, perché non ha coscienza. Senza il pensiero è impossibile avere una vera intelligenza: lo smart phone è smart soltanto in senso metaforico».
L'Intelligenza artificiale non è una vera intelligenza, perché non ha coscienza. Senza il pensiero è impossibile avere una vera intelligenza: lo smartphone è "smart" soltanto in senso metaforico
Esperimento della stanza cinese; sulla differenza tra semantica e sintattica o tra uomo e computer o tra sistemi complessi e sistemi complicati
Il medico Sara Diani descrive l'esperimento della scatola cinese con il quale il filosofo Searle ha chiarito la differenza tra uomo e computer, cioè tra conoscenza semantica e conoscenza sintattica, oppure tra sistemi complicati e sistemi complessi
Comportamento emergente in sistemi complessi
Scrive l'ingegnere Alvise Bianchi nella sua tesi di laurea (vedi bibliografia 2012 pag.11):

L'emergenza è una caratteristica di un sistema complesso dinamico. [...] Questi sistemi riescono a rimanere in stati lontani dall’equilibrio poiché scambiano energia e materia con l’ambiente circostante. Questa caratteristica permette lo svilupparsi di nuovi schemi comportamentali, attraverso i feedback ciclici. Questo comportamento sta alla base del come, ad esempio, gli organismi viventi si adattino per vivere in diverse condizioni climatiche rispetto a quelle in cui si sono evoluti. In questo modo, emergono caratteristiche e schemi di comportamento che sono diversi rispetto alle parti costituenti del sistema originario. Sono queste proprietà emergenti dei sistemi viventi che permettono lo sviluppo della novità e dell’innovazione e forniscono una base credibile del come l’incremento della diversità e della varietà siano propedeutiche all’evoluzione.
Le proprietà emergenti dei sistemi viventi permettono lo sviluppo della novità e dell’innovazione e forniscono una base credibile di come l’incremento della diversità e della varietà siano propedeutiche all’evoluzione. Le macchine non hanno proprietà emergenti, nè possono capire i significati: funzionano ma non capiscono!
Il cervello umano che pensa
Lo studio dei comportamenti collettivi emergenti in sistemi composti da un gran numero (migliaia, milioni o miliardi) di componenti, omogenei o eterogenei, interagenti tra loro, è di notevole interesse, specialmente quando il comportamento collettivo del sistema è qualitativamente differente da quello di ciascun singolo componente. Questo è uno dei problemi più importanti della biologia: per es., il comportamento dei singoli neuroni è probabilmente ben compreso, ma non è affatto chiaro perché 10 miliardi di neuroni, collegati da centomila miliardi di sinapsi, formino un cervello che pensa.
In che modo la coscienza influenza il linguaggio umano e perchè una macchina  può parlare ma non può pensare
Fig. 1 Dipendenza del linguaggio dalla coscienza
Secondo il semiologo Jordan Zlatev "La coscienza è sempre diretta verso qualcosa, cioè intenzionale. Sia le espressioni (utterances) che le intuizioni sono invece prodotte da strutture e processi dell'inconscio profondo. L'oggetto di queste intuizioni rimane misterioso. Secondo Zlatev la coscienza percepisce e analizza (quando necessario) il discorso degli altri, “afferra” le loro intenzioni, “confronta” con le norme di corretto utilizzo, richiama e “immagazzina” nella memoria istanze specifiche e generalizzazioni. I processi inconsci supportano questi processi, li scaricano, ecc., Ma non li esauriscono."
A causa della natura inconscia e inaccessibile delle strutture e dei processi linguistici, i tentativi di riflessione cosciente del linguaggio sono spesso irti di possibilità di errore
Il semiologo Jordan Zlatev ha rappresentato la coscienza umana come nella figura 1 (vedi bibliografia 2014). Zlatev parla della relazione tra coscienza e linguaggio nell'articolo "The Dependence of Language on Consciousness":

La coscienza è sempre diretta verso qualcosa, cioè intenzionale. Sia le espressioni (utterances) che le intuizioni sono invece prodotte da strutture e processi dell'inconscio profondo. L'oggetto di queste intuizioni rimane misterioso. La coscienza percepisce e analizza (quando necessario) il discorso degli altri, “afferra” le loro intenzioni, “confronta” con le norme di corretto utilizzo, richiama e “immagazzina” nella memoria istanze specifiche e generalizzazioni. I processi inconsci supportano questi processi, li scaricano, ecc., Ma non li esauriscono.

Lo psicologo Peter Gordon ha scritto (vedi bibliografia 2009):

Per esplorare le relazioni tra linguaggio e coscienza, dobbiamo prima capire quali tipi di categorie di esperienza cosciente sono linguisticamente innaturali, quali esperienze sono rese disponibili o evidenziate dal linguaggio e quali sono lasciate sotto le acque della mente inconscia. [...] I processi linguistici che incidono sulla nostra esperienza cosciente richiedono un mezzo attraverso il quale si possano sperimentare i fenomeni o i qualia della coscienza. Tali mezzi includono le modalità familiari di parola, udito, lettura e scrittura. [...] Al di sotto del livello di comunicazione nel quale vengono elaborati i segnali consci, ci sono più livelli di elaborazione inconscia di input e output linguistici. Questi includono livelli di fonologia (struttura del suono), morfologia (struttura di parole), sintassi (struttura di frasi / espressioni), semantica (significato) e pragmatica (uso sociale appropriato e convenzionale del linguaggio). Quando si tenta di portare questi livelli di elaborazione del linguaggio all'introspezione cosciente, ci riferiamo a questo come conoscenza metalinguistica (conoscenza della nostra conoscenza implicita del linguaggio). A causa della natura inconscia e inaccessibile delle strutture e dei processi linguistici, i tentativi di riflessione cosciente del linguaggio sono spesso irti di possibilità di errore. [...] Quando Chomsky iniziò a caratterizzare la natura estremamente complessa della computazione grammaticale, notò la natura inconscia della conoscenza sottostante alla grammatica e la paragonò all'idea di "conoscenza tacita" esplorata dal filosofo Michael Polanyi. Nei suoi scritti, Polanyi ha esplorato i modi in cui la conoscenza può guidare il nostro comportamento in un modo che non è aperto all'introspezione cosciente. È così che l'iceberg freudiano è appropriato per descrivere il computo inconscio che va a produrre l'esperienza cosciente del linguaggio che è abbastanza marginale in molti modi.
La costruzione della realtà "conscia" dipende dall'uso del linguaggio?
Sembra comunque che sia fondamentale il ruolo del linguaggio nel determinare la costruzione conscia della realtà. Nelle conclusioni del suo studio (vedi bibliografia 2009),  lo psicologo Peter Gordon ha scritto:

Il linguaggio emerge alla coscienza principalmente attraverso i mezzi con il quale viene trasmesso. Tali mezzi sono riccamente vari e riflettono l'ingegnosità della mente umana nello sviluppare canali di comunicazione. La struttura del sistema di comunicazione al quale ci riferiamo come linguaggio naturale richiede una vasta struttura di supporto costituita da strutture simboliche, regole e principi che ci permettano di comunicare in modi convenzionali. La maggior parte di questa struttura è inconscia per natura. Un modo per capire l'interfaccia tra processi linguistici consci e inconsci è all'interno della struttura di modularità, che suggerisce che il processore linguistico agisce principalmente in modo inconscio di manipolazione simbolica più che come il lavorio interno di un computer digitale. Dove il linguaggio gioca un ruolo nel governare le esperienze consce è nel focalizzare l'attenzione sugli aspetti fonetici, nelle strutture e nel significato. Esperimenti che hanno confrontato linguaggi che differivano per il modo in cui essi usavano i suoni disponibili, e nel modo in cui strutturavano diversamente gli elementi del linguaggio, e nel modo in cui denotavano gli spazi concettuali di colori, numeri e altri domini suggeriscono che avere un linguaggio può avere un profondo effetto su come i parlanti consciamente percepiscano segni, suoni e concetti nella loro costruzione della realtà conscia.
Di cosa siamo coscienti quando parliamo e di cosa no?
brain hallucination
La coscienza è una proprietà emergente?
Il giornalista Pietro Greco scrive (vedi bibliografia 2013):
Gerald Edelman, grande esperto di immunologia e autore di una sua teoria della mente, e i suoi allievi – tra cui l’italiano Giulio Tononi –  ritengono che la coscienza dell'uomo sia davvero una proprietà emergente. Perchè non può essere dedotta, nemmeno in linea di principio, dalla completa conoscenza dei neuroni e delle loro parziali combinazioni.
La mente subconscia è milioni di volte più potente della mente cosciente, quindi, se usi affermazioni positive con la mente cosciente ed è in conflitto con i programmi della mente subconscia, quale delle menti pensi vincerà? (Cliccare per approfondire)
Livelli di coscienza nella mente umana
La coscienza che manca all'intelligenza artificiale
Ma oltre a quanto scritto per il linguaggio, vi sono moltissimi aspetti ancora poco chiari nella psicologia umana. Questa evidenza fa immaginare che la relazione tra intelligenza e "coscienza" potrebbe diventare il punto chiave dei futuri sviluppi dell'intelligenza artificiale.
Le scienze relative all'essere umano, tra le quali psicologia, filosofia, fisica, linguistica, neuroscienze, ecc sorgono dallo sviluppo dell'autoconsapevolezza umana, cioè dalla "coscienza". Nelle scienze cognitive c'è una visione funzionalista dell'intelligenza per cui, se un agente ha un obiettivo agisce per raggiungerlo. In filosofia questa proprietà è denominata "intenzionalità" che, per il filosofo Franz Brentano è la caratteristica che separa i fenomeni mentali da quelli fisici.  Dal punto di vista funzionale, anche senza coscienza, si possono ottenere livelli di intelligenza elevati. Di questo parla lo psicologo Donald Hoffman, nel descrivere cosa manca all'intelligenza artificiale per andare oltre l'immaginazione umana; egli scrive (vedi bibliografia 2020):

Anche senza coscienza, da un punto di vista funzionale, puoi ottenere livelli di intelligenza davvero elevati. La mia preoccupazione per gli agenti coscienti non è tanto in relazione all'intelligenza. Sto esaminando questioni semplici come la nostra esperienza consapevole dell'odore del cioccolato o il sapore dell'aglio. Come possiamo, in quanto scienziati, sviluppare un sistema basato su agenti che rappresenti effettivamente semplici esperienze consapevoli che persino un topo potrebbe avere? Non sto parlando dell'intelligenza umana avanzata o dell'autocoscienza. Mi occupo solo dell'esperienza sensoriale di livello molto basso. I modelli basati su agenti inconsci possono creare un'intelligenza illimitata, ma finora non sono riusciti a spiegare la genesi di qualcosa di così semplice come l'esperienza cosciente del gusto del cioccolato. Questo è un grosso problema. [...] Potremmo aver bisogno di un'intelligenza artificiale sofisticata per aiutarci ad andare dove la nostra immaginazione potrebbe altrimenti non andare. Possono persino sviluppare concetti che non possiamo capire. Una buona teoria della coscienza che definisce esattamente cosa intendiamo per agenti coscienti ci dirà quando emergeranno nuovi agenti coscienti. Ad esempio, un sistema dinamico di agenti coscienti che soddisfa la definizione di agente cosciente costituirebbe un nuovo agente cosciente. [domanda: In che modo pensi che l'attuale ricerca sull'IA progredirà?]
Judea Pearl ha una buona diagnosi del problema attuale con AI. Gli attuali sistemi di intelligenza artificiale possono solo imparare le correlazioni. Non costruiscono modelli causali del mondo. Anche se gli umani sono modellisti causali, non abbiamo avuto una scienza della modellistica causale fino agli ultimi vent'anni. Ora che abbiamo una teoria matematicamente precisa della modellazione causale e dell'inferenza causale, la prossima generazione di IA, forse, entro i prossimi dieci o quindici anni incorporerà anche la modellazione causale. Se ciò accade, le IA non saranno più fragili: saranno macchine intelligenti flessibili.

Il caso della modellazione causale di Judea Pearl è emblematico di quanta conoscenza su se stesso manchi ancora all'essere umano per poterla matematizzare e trasferirla all'intelligenza artificiale delle macchine. Tutta la conoscenza psicologica dell'essere umano è ancora sconosciuta, incompleta e dunque, non matematizzabile. Infatti, come scrive la filosofa Eddy Carli (vedi bibliografia):

Le scelte degli esseri umani hanno a che fare più con le sfumature del grigio che con il bianco o il nero, spesso sono costituite da mutamenti appena percettibili, che coinvolgono stati emotivi, come i desideri, il dolore, il piacere, le credenze e che, inevitabilmente influenzano l'orientamento delle scelte razionali.

Ma c'è chi sulla coscienza la pensa diversamente, come emerge dall'intervista a Elon Musk del 2019 qui trascritta: Lex Fridman intervista Elon Musk (dal minuto 2:30).
La provocatoria ipotesi di Julian Jaynes sull'origine della coscienza, sulla mente bicamerale e sull'attività allucinatoria nella mente degli uomini esistiti nella preistoria (nel periodo assiale), viene descritta nella pagina "Archeologia della mente".
Conclusioni (provvisorie): La pragmatica è sempre più una componente essenziale della capacità di linguaggio comunicativo interculturale per gli umani
  
Il problema di applicare all'intelligenza artidiciale (AI) le regole che l'evoluzione ha inserito nell'intelligenza umana è che l'essere umano, oggi, non ha ben chiari molti dei meccanismi che governano le sue azioni, il suo linguaggio e la sua intelligenza. Siamo solo all'inizio di un adeguamento che vede oggi molte carenze nelle applicazioni di Intelligenza artificiale nell'impiego del linguaggio. Ad esempio l'intelligenza artificiale ha creato dei programmi (chatbot) che possono intrattenere conversazioni linguistiche con gli utenti. Sono quei programmi che usano modelli computazionali del linguaggio e che gli studiosi definiscono "pappagalli artificiali". Sono pappagalli perchè ripetono le frasi (ricombinate in modo computazionale) imparate dall'uomo, ma senza capire il loro significato reale. Questa conseguenza deriva dal fatto che il linguaggio si fonda prevalentemente su processi inconsci e quindi, come sostiene lo psicologo Peter Gordon "l'estensione del controllo cosciente del linguaggio può essere più un'illusione che la realtà." La vastità dei processi mentali aperti dal linguaggio nella mente umana, si avvicina di più agli usi che ne fa la "comunicazione interculturale" odierna,  e soprattutto alle sue conseguenze sulle competenze pragmatiche e sul "pensiero" umano. Infatti il linguaggio è per l'essere umano molto più di un mezzo di comunicazione, come invece esso è oggi per l'intelligenza artificiale. Secondo il linguista Noam Chomsky il linguaggio umano è prevalentemente inconscio, come scrive: "Da uno stadio iniziale che coincide con le dotazioni proprie del LAD [Language Acquisition Device], per interazioni successive con i dati dell’esperienza, l’individuo elabora quel sistema di conoscenze che chiamiamo grammatica di una lingua e del quale non abbiamo consapevolezza alcuna essendo l’intero processo di natura inconscia. Per mezzo del linguaggio l'essere umano può, non soltanto comunicare ma, soprattutto, vivere in un mondo virtuale condiviso con altri. Infatti, la rappresentazione simbolica di oggetti, eventi, relazioni che il linguaggio permette, fornisce un efficace sistema di riferimento per generare nuove rappresentazioni, predire eventi futuri, pianificare azioni, organizzare ricordi: cioè quella che il filosofo Charles S. Peirce ha chiamato "semiosi illimitata" (un processo di significazione continuo di segni che producono altri segni). Le macchine potranno mai avere una semiosi illimitata? L'antropologo Terrence Deacon ha ipotizzato che il linguaggio si sia evoluto non con lo scopo di favorire la comunicazione, quanto per abilitare un "pensiero simbolico" utile alla sopravvivenza. Tra i vari scopi attribuiti al linguaggio ritengo particolarmente importante quello del linguista Uwe Porksen, autore di un libro ("Parole di plastica") nel quale ha descritto il degrado del linguaggio nelle società industrializzate della seconda metà del Novecento, secondo cui il linguaggio ha due scopi principali, che sono: l'arricchimento del mondo personale di ogni individuo e la capacità di condividere la sofferenza e, in tal modo, di resistervi. La competenza pragmatica è un processo "adattivo" mediato sia dalle risorse linguistiche di un individuo sia dalle modalità, i vincoli e le convenzioni socioculturali di una data situazione sociale. Nella mente umana si possono sviluppare tre tipi di competenze che definiscono il ‘sapere la lingua’: a. la competenza linguistica, basata sull’apprendimento e il potenziamento delle grammatiche fonologica, grafemica, morfosintattica, lessicale e testuale che regolano la lingua; b. la competenza extralinguistica, fondata sulla consapevolezza e la conoscenza dei linguaggi non verbali delle dimensioni cinesica, prossemica, vestemica e oggettemica; c. la competenza socio-pragmatica e (inter)culturale, incentrata sull’apprendimento della lingua in uso e sulla capacità di esercitare le diverse funzioni linguistiche nei relativi generi e atti comunicativi, espressioni e registri linguistici. Il linguista Fabio Caon, nell'analizzare le competenze necessarie alla comunicazione interculturale "umana" elenca e descrive una serie di esigenze fondamentali per gli umani: saper relativizzare, saper sospendere il giudizio, saper comprendere emotivamente (empatizzare ed exotopizzare), saper ascoltare attivamente, saper negoziare i significati. Egli scrive: "La disponibilità ad ‘esporsi’, propria della sfera emotiva, unita alla consapevolezza razionale della propria ‘relatività’ possono favorire quel processo di spiazzamento che viene definito ‘transitività cognitiva’. La transitività cognitiva crea una sorta di ‘permeabilità’ relazionale e comunicativa, una disponibilità ad accogliere l’altro e a valutare se quel che egli ‘propone’ possa essere accolto e integrato nel nostro sistema cognitivo o se, invece, sia da accettare parzialmente o da rifiutare."
La grande possibilità che ci offre la comunicazione interculturale è quella di guardare meglio gli altri grazie ad uno sguardo più attento ma, prima ancora, di guardare meglio noi stessi attraverso gli altri, potendo disporre di angolazioni plurali e inaspettate.
Perchè, oggi, le macchine parlano ma non capiscono ciò che dicono? Perchè non sono intelligenti! Infatti, come ha scritto il filosofo John Searle, la ragione risiede nella loro mancanza di proprietà emergenti. Le proprietà emergenti dei sistemi viventi permettono lo sviluppo della novità e dell’innovazione e forniscono una base credibile di come l’incremento della diversità e della varietà siano propedeutiche all’evoluzione. Le macchine non hanno proprietà emergenti, nè possono capire i significati: funzionano ma non capiscono!
Sembra inoltre che il linguaggio umano sia prevalentemente inconscio, come scrive lo psicologo Peter Gordon: "A causa della natura inconscia e inaccessibile delle strutture e dei processi linguistici, i tentativi di riflessione cosciente del linguaggio sono spesso irti di possibilità di errore. [...] Quando Chomsky iniziò a caratterizzare la natura estremamente complessa della computazione grammaticale, notò la natura inconscia della conoscenza sottostante alla grammatica e la paragonò all'idea di "conoscenza tacita" esplorata dal filosofo Michael Polanyi. Nei suoi scritti, Polanyi ha esplorato i modi in cui la conoscenza può guidare il nostro comportamento in un modo che non è aperto all'introspezione cosciente. È così che l'iceberg freudiano è appropriato per descrivere il computo inconscio che va a produrre l'esperienza cosciente del linguaggio che è abbastanza marginale in molti modi."
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              Pagina aggiornata il 2 luglio 2023

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