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Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
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Ottobre 2021
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Newsletter 22
pensierocritico.eu
Focus della newsletter 22

Il focus di questa newsletter è la semiotica, ossia la scienza dei "segni", che ancora pochi conoscono, ma che sta lentamente acquisendo l'importanza che merita per la capacità di spiegare i mutamenti culturali, sociali e conoscitivi che avvengono nei singoli individui e nella società in generale. Il filosofo Charles Sanders Peirce, era convinto che l'intero Universo fosse composto da "segni" che hanno un fondamento naturalistico e creano una semiotica globale. Per lui lo scopo della nostra vita consiste nell'attribuire un significato a tutto ciò che siamo in grado di percepire. Lo facciamo con la "creatività abduttiva", cioè formulando continuamente ipotesi sul mondo. La semiotica è legata alla conoscenza individuale, perchè il modo in cui l'essere umano acquisisce conoscenza è sempre stata una sfida alle sue capacità, ed è una sfida difficile perchè richiede una trasformazione psicofisica, come ogni altro sforzo. L'acquisizione di conoscenza avviene tramite il ragionamento "abduttivo", secondo Charles Sanders Peirce. In questo modo l'essere umano ha creato (e continua a creare) il proprio "futuro". L'abduzione è un'inferenza che pochi conoscono, a differenza di deduzione e induzione, ma che ha guidato, e guida ancora oggi qualunque processo mentale tendente a scoprire qualcosa di nuovo. Infatti l'abduzione viene definita come "l'inferenza quotidiana" perchè ognuno di noi la compie, in modo inconscio, continuamente.

I temi trattati in questo numero sono:
1. Semiotica: In quale modo acquisiamo conoscenza del nostro mondo? Forse non ce ne rendiamo conto, ma siamo immersi dalla nascita in un universo di segni che solo l'essere umano crea nella propria mente per dare un significato a ciò che è in grado di percepire. Questa visione del mondo è stata proposta dal filosofo Charles Sanders Peirce, secondo cui noi guidiamo il nostro pensiero, nel suo ritmo logico e inferenziale attingendo ai segni mentali. Peirce vedeva l'intero universo come composto da segni o processi di significazione che hanno un fondamento naturalistico entro un universo che ha un intrinseco carattere semiotico.
Universo, essere umano e cultura si uniscono, perchè la relazione segnica si basa su una forte ontologia (esplorazione di quel che «è»). Scrivono i semiologi Bent Sørensen et al.: "Il segno di Peirce è veramente generale ed ontologico e vede continuità ovunque guardi, e per lui  non c'è separazione assoluta tra i processi dell'universo, l'esistenza dell'uomo, e la cultura mediatrice tra i due". Se si adotta questa visione della conoscenza umana dobbiamo accettare l'ipotesi che il pensiero umano sia nato dal riconoscimento di segni e dalla creazione di relazioni tra essi. L'intero processo conoscitivo umano è, secondo Peirce, affidato ai segni, come spiega il filosofo Dario Antiseri nell'introdurre il libro "Come rendere chiare le nostre idee" di Charles Sanders Peirce. Antiseri scrive: "La conoscenza non è intuizione, non è accettazione acritica delle assunzioni del senso comune; non è sintesi a-priori. Per Peirce, la conoscenza è ricerca. Peirce ci viene a dire che il dubbio è uno stato di irritazione, che la credenza è uno stato di soddisfazione, che il processo conoscitivo è la ricerca che ci permette di passare dal dubbio alla credenza, che ogni credenza è una norma di azione, che avere una credenza implica il ritenerla vera, e, da ultimo, che la verità non significa nè incorregibilità nè utilità
".


2. Cos'è la conoscenza: Il modo in cui l'essere umano acquisisce conoscenza è sempre stata una sfida alle sue capacità, ed è una sfida difficile perchè richiede una trasformazione psicofisica come ogni altro sforzo. Lo scrittore e saggista George Steiner ha scritto nel libro "La lezione dei maestri": "La conoscenza è trasmissione. Nel progresso, nell'innovazione, per quanto siano incisivi, il passato è presente. I maestri salvaguardano e fanno valere la memoria, madre delle Muse. I discepoli accentuano, diffondono o tradiscono il vigore personale e sociale dell'identità". Dunque gli insegnanti esperti sono importanti per la trasmissione di conoscenza agli allievi, e questa consapevolezza è stata dimostrata anche dal pedagogista John Hattie che l'ha quantizzata nel 30% di ciò che influisce sull'apprendimento. Nella sintesi di circa 500.000 studi sull'apprendimento, svolta da Hattie negli anni '90, emergeva che i fattori che maggiormente influiscono sull'apprendimento si trovano nelle mani degli insegnanti (anzi, sottolineava Hattie, di quelli tra loro che "eccellono"). Imparare qualcosa di nuovo dalle esperienze nell'ambiente sembra dovuto, secondo recenti ricerche, prevalentemente a due fattori consequenziali: uno stimolo: (1) lo stress, cioè lo stimolo ad avviare quella sollecitazione ormonale che ci induce ad attivarci per superare la sfida che ci è posta, e (2) un fattore organizzante, cioè il "re-framing". L'essere umano, nel corso della sua vita, si trova a dover affrontare eventi, comportamenti e processi sociali in continuo cambiamento. Egli ha difficoltà a prevedere l'esito futuro delle conseguenze delle proprie azioni perchè la complessità del suo ambiente è diventata tale da rendere difficoltosa (e spesso impossibile) la previsione. Gli educatori Joy R. Rudland, Clinton Gordon e Tim J.Wilkinson hanno ipotizzato che lo stress (eustress) possa essere un fattore positivo e stimolante per l'apprendimento, sfatando il mito negativo dello stress (cioè del distress). Essi scrivono: "Rifiutiamo l'idea che lo stress debba essere sempre evitato e proponiamo un ipotetico percorso di apprendimento che posizioni lo stress come una parte necessaria dell'apprendimento: un "fattore di stress" stimola l'apprendimento; la moderazione dell'impatto dello stressor avviene con la realizzazione dello stress sperimentato dal discente e termina con il modo in cui lo stress viene “attualizzato” rispetto all'apprendimento che ha avuto luogo e all'effetto associato dell'apprendimento. Proponiamo una serie di strategie che gli educatori professionisti sanitari possono prendere in considerazione per migliorare questo percorso di apprendimento. [...] Lo stress è stato collegato a una maggiore motivazione, a comportamenti di ricerca di sostegno e a lavorare di più. È stato scoperto che lo stress migliora la funzione mentale, aumenta la memoria e accelera l'elaborazione cerebrale. È stato anche scoperto che un fattore di stress, dopo aver appreso "contenuti carichi di emozioni", può migliorare la memoria." Il secondo fattore per l'acquisizione di conoscenza è la capacità di "organizzare" nella mente i contenuti esperiti nel rapporto con il proprio ambiente. Il semiologo Paolo Braga, trattando il reframing che il cinema opera nella mente degli spettatori, scrive: "I "frame" sono gli schemi cognitivi in cui si aggregano le nostre conoscenze. Funzionano come criteri automatici per riconoscere e comprendere realtà, situazioni e discorsi. Attraverso un "frame" si riconduce il dato di esperienza ad una tipologia nota, collegata a competenze, a sistemi di valutazione, ad inclinazioni comportamentali e relazionali. Questo attraverso la selezione degli elementi rilevanti all'interno dell'esperienza, cioè escludendo dalla considerazione gli elementi non rientranti nel modello, nonchè "frame" alternativi ma non pertinenti. Seguendo Lakoff, identifichiamo le prerogative del "frame" nel suo essere involontario (scatta in virtù di un automatismo mentale); nel catalizzare l'attenzione sottraendola ad altri "frame" potenzialmente pertinenti nella stessa situazione; nell'essere collegato ad altri "frame", insieme con i quali articola un'area semantica; nell'avere potenzialità metaforica, cioè nell'essere associabile ad un dominio concettuale differente e più astratto, meno disponibile a livello di esperienza percettiva, che così acquista un'articolazione più definita; nell'essere associato a valori."

3. Abduzione: L'inferenza abduttiva è quel ragionamento che riguarda lo sviluppo e la scelta di ipotesi che spiegano meglio una situazione, cioè come vengono generate, valutate e testate le ipotesi esplicative. Gli psicologi spesso si riferiscono alla capacità di abduzione nelle persone (cioè la capacità di trarre spontaneamente e senza sforzo conclusioni dalle nostre conoscenze ed esperienze), come alla "inferenza quotidiana". Infatti nella vita quotidiana la logica dell'essere umano si limita all'abduzione, cioè non facciamo altro che spiegare (inconsciamente) i fatti che ci accadono inventando delle regole ipotetiche che ci portano a una conclusione. Spesso, però, non abbiamo il tempo o la motivazione per verificare che regola e conclusione siano corrette. Sebbene apparentemente senza sforzo, l'abduzione ci impone di impegnare una moltitudine di complesse funzioni cognitive, tra cui il ragionamento causale, la modellizzazione mentale, la categorizzazione, l'inferenza induttiva e l'elaborazione metacognitiva. Ogni abduzione ci mette in gioco, come scrive il semiotico Salvatore Zingale nel libro "Interpretazione e progetto": "Ogni interpretazione genera interpretazioni successive. Il nuovo è quindi qualcosa che viene sempre trovato, cioè inventato, mai propriamente “creato”. Il nuovo è lievitato dal vecchio. La semiosi illimitata regola così le azioni interpretative che stanno alla base tanto del nostro agire quotidiano quanto della nostra attività euristica; è il processo attraverso cui elaboriamo le nostre poetiche e i nostri progetti". L’abduzione è una “assunzione” di responsabilità: perché accetta l’onere della sfida e perché su ciò che assume in ipotesi proietta la propria azione futura. Ogni volta che facciamo un'ipotesi, essa scaturisce da un ragionamento abduttivo. Salvatore Zingale scrive: "Sentire e vedere qualcosa e pensare qualcos’altro: questo è un atto abduttivo della mente. Ciò vuol dire che lo sguardo abduttivo coglie in ogni fatto il suo possibile carattere sorprendente, il passaggio che permette allo sguardo di intravedere il possibile salto verso una conoscenza inedita".

4. Falsi miti didattici: Oggi parliamo fin troppo di insegnamento, educazione e formazione, ma molto poco di "maestri". Certo, la figura del maestro è avvolta da un'aura retorica che può intimidire, e porta con sé l'asimmetria del rapporto con il discepolo e quella tensione che li lega. Nel 2019 i pedagogisti e formatori Antonio Calvani e Roberto Trinchero, nel tentativo di sollecitare gli insegnanti a riflettere sulle proprie idee riguardo alla didattica e sulle regole da seguire per migliorare la qualità dell'apprendimento dei propri allievi, scrissero un libro (Dieci falsi miti e dieci regole per insegnare bene - Carocci Faber) che persegue due intenti paralleli: (1) sfatare i più diffusi miti (o credenze) didattici correnti, (2) mettere in risalto le regole (o raccomandazioni) principali che, alla luce delle evidenze acquisite dalla ricerca, dovrebbero essere al centro dell’attenzione degli insegnanti. Questa pagina descrive i dieci miti da sfatare e le dieci regole da applicare per insegnare meglio, oltre a evidenziare la metodologia Evidence Based Education (EBE) lanciata dal pedagogista John Hattie.
    5. Stili di apprendimento: Ognuno di noi apprende in modo unico e diverso dagli altri? Immagini, Suoni, Odori, Movimenti arrivano dai nostri canali sensoriali allo stesso modo ma vengono poi interpretati, acuiti o inibiti dal cervello in modo diverso? Come molte idee sbagliate sull'apprendimento e sul cervello, la credenza negli stili di apprendimento deriva da un'interpretazione errata dei risultati della ricerca validi e dei fatti scientificamente stabiliti. Ad esempio, è vero che diversi tipi di informazioni vengono elaborati in diverse parti del cervello. È anche vero che gli individui hanno differenze nelle abilità e nelle preferenze. Dagli anni '70, tuttavia, le revisioni sistematiche della ricerca e le meta-analisi che esaminano la validità degli stili di apprendimento e la loro applicazione all'istruzione sono giunte alla stessa conclusione: nonostante l'attrattiva intuitiva, c'è poca o nessuna prova empirica che gli stili di apprendimento siano reali. Gli psicologi Harold Parsley, Mark McDaniel e Doug Rohrer, che hanno svolto uno studio per valutare l'efficacia degli stili nell'insegnamento, attribuiscono il loro successo alla spinta dei fornitori di test e scrivono: "Il termine "stili di apprendimento" si riferisce alla visione che persone diverse apprendono le informazioni in modi diversi. Negli ultimi decenni, il concetto di stili di apprendimento ha guadagnato costantemente influenza. [...] Il concetto di stili di apprendimento sembra avere un'ampia accettazione non solo tra gli educatori, ma anche tra i genitori e il pubblico in generale. Questa accettazione forse non è sorprendente perché l'idea degli stili di apprendimento è attivamente promossa dai fornitori che offrono molti test diversi, dispositivi di valutazione e tecnologie online per aiutare gli educatori a identificare gli stili di apprendimento dei loro studenti e ad adattare di conseguenza i loro approcci didattici [...] La visione degli stili di apprendimento ha acquisito una grande influenza nel campo dell'istruzione e si incontra frequentemente a livelli che vanno dalla scuola materna alla scuola di specializzazione. Esiste una fiorente industria dedicata alla pubblicazione di test sugli stili di apprendimento e guide per gli insegnanti e molte organizzazioni offrono workshop di sviluppo professionale per insegnanti ed educatori costruiti attorno al concetto di stili di apprendimento. Lo psicologo William Furey li considera un "neuromito" e sconfessa la pratica di abbinare l'istruzione agli stili di apprendimento preferiti dagli individui per promuovere l'apprendimento. Gli psicologi Daniel Willingham, Elizabeth Hughes e David Dobolyi sostengono che gli stili di apprendimento sono diventati di moda a causa del Confirmation Bias. Insomma, pare che la maggior parte delle opinioni dei pedagogisti consideri gli stili di apprendimento un mito creato dai fornitori di servizi didattici e rafforzato dal bias di conferma di insegnanti e genitori.

    6. Tatto, Contatto e scambio sociale: La nostra pelle è il più grande organo sensoriale che possediamo. Scrivono i neurobiologi Victoria Abraira e David Ginty: "[la nostra pelle] con una stima di 17.000 meccanocettori, la mano umana, ad esempio, rivaleggia con l'occhio in termini di sensibilità. In effetti, molti degli stessi principi che sono alla base dell'elaborazione visiva nella retina possono anche essere in gioco nell'elaborazione delle informazioni tattili. Infatti, proprio come i fotorecettori della retina sono sintonizzati in modo univoco su particolari lunghezze d'onda della luce, le terminazioni LTMR nella pelle sono sintonizzate in modo ottimale e distintamente su particolari qualità di stimoli tattili complessi." La stimolazione tattile della pelle influisce su varie funzioni corporee, tra cui il miglioramento della respirazione e della risposta immunitaria, la riduzione della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. Inoltre la stimolazione tattile produce anche effetti psicologici come il rilassamento, l'attenuazione dell'ansia e della depressione. Ecco perchè il massaggio è così apprezzato in tutte le culture. Il dermatologo David M. Owens scrive: "Stiamo assistendo a un periodo di rapidi progressi nel campo della neurobiologia cutanea. La combinazione della moderna genetica dei topi, della neurofisiologia, dello sviluppo e della biologia delle cellule staminali ha gettato nuova luce sulle complesse interazioni tra il sistema nervoso e le cellule della pelle, nonché sugli intricati processi neuronali che sono alla base delle nostre ricche esperienze sensoriali". Il tatto ci permette di parlare anche del contatto con altre persone, che varia molto da cultura a cultura e che l'antropologo Edward Hall ha classificato in due categorie principali: le culture di contatto e le culture senza contatto. Semplificando, le culture di contatto sono quelle latine, quelle senza contatto sono quelle dell'estremo Oriente e quelle in una posizione intermedia sono quelle nordeuropee e nordamericane.

    7. A cosa servono i mitocondri: dei mitocondri la gente comune conosce poco, ma nell'ultimo decennio la loro importanza è stata riconosciuta dalla ricerca genetica per i suoi effetti sull'invecchiamento, sull'apoptosi (cioè morte cellulare programmata), sul metabolismo e su molte malattie. L'immunologa naturopata Erica Peirson scrive: "Dire che i mitocondri sono importanti per la salute umana significa sottovalutare grossolanamente il loro ruolo nella nostra sopravvivenza. Non saremmo letteralmente vivi senza di loro. Sono affascinanti organelli che convertono il nostro cibo in energia in modo che ogni altra funzione del nostro corpo possa svolgersi." L'origine dei mitocondri nelle cellule umane è molto antica e occorre risalire molto indietro nel tempo per individuarne le tracce. Scrive il biologo James Cummins: "C'è attualmente un consenso [scientifico] sul fatto che i mitocondri sono nati dalla relazione endosimbiotica tra gli antenati delle cellule eucariote e gli alfa-proteobatteri. In questo processo endosimbiotico, i proto eucarioti acquisirono la capacità di usare l'ossigeno per la produzione di energia mediante la fosforilazione ossidativa (OXPHOS)." Dunque i mitocondri sono nati per sfruttare, in modo aerobico, l'energia dell'ossigeno presente nell'atmosfera terrestre da un certo periodo in poi. Essi sono la “fabbrica di energia” del nostro corpo. Diverse migliaia di mitocondri sono presenti in quasi tutte le cellule del corpo. I mitocondri producono il 90% dell'energia di cui il nostro corpo ha bisogno per funzionare. Quando non funzionano bene l'organismo ha dei gravi problemi che la ricerca medica sta iniziando ad affrontare. Ad esempio, in Italia, l'immunologa Antonella Viola nel 2020 ha vinto un contributo per la sua ricerca scientifica di frontiera da parte dell’ERC (European Research Council). Ciò le ha permesso di progettare la realizzazione a Padova di un centro mondiale per la ricerca sui mitocondri. In particolare la Viola ha individuato un enzima mitocondriale quale regolatore del processo infiammatorio che provoca malattie infiammatorie e autoimmuni, tra cui gotta, artropatie metaboliche, sclerosi multipla e artrite reumatoide. Ma oltre alla risoluzione di gravi malattie, è stato dimostrato che i mitocondri posseggono il coenzima Q10 che è quindi presente in ogni cellula dell’organismo. Non a caso, il termine scientifico con cui viene indicato è ubiquinone o ubichinone, dal latino ubi, ovunque. Viene indicato anche come vitamina Q ma, dato che viene sintetizzato dall’organismo, non può essere considerato una vera e propria vitamina. Con l'avanzare dell’età la concentrazione di ubichinone diminuisce, determinando un calo dell’efficienza energetica e dell’azione antiossidante. Livelli più bassi di questo enzima si riscontrano anche in presenza di malattie cardiache, diabete, cancro e di alcune patologie neurodegenerative, come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson e la SLA. Valori inferiori di Q10 sono stati rilevati anche in atleti che si dedicano a sport di resistenza.

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    Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
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