Privacy Policy Cookie Policy
Brain
brain
europa
critic
Coloro cui sfugge completamente l'idea che è possibile aver torto non possono imparare nulla, tranne la tecnica. (Gregory Bateson)
Vai ai contenuti
Mitologia: il mito è un accorgimento razionale creato dall'uomo per resistere alle sollecitazioni più drammatiche della sua vita
TEORIE > METODI > APPARENZA E REALTA'
Scopo di questa pagina
Come mai il mito è ancora un argomento d'attualità? I miti dell'uomo contemporaneo hanno un'essenza molto diversa da quelli dell'uomo arcaico. Come aveva argomentato nel 1957 il semiologo Roland Barthes (Miti d'oggi - Einaudi), il mito, per l'uomo contemporaneo, non è che una 'parola', vale a dire solo un sistema di comunicazione. Scriveva Barthes: "Tutto dunque può essere mito? Sì, a mio avviso, perchè l'universo è infinitamente suggestivo. Ogni oggetto del mondo può passare da un'esistenza chiusa, muta, ad uno stato orale, aperto all'approvazione della società, perchè non c'è alcuna legge, naturale o no, a impedire che si parli delle cose." Ecco perchè in un'epoca dominata dalla scienza, dalla tecnologia, dall'economia e dalla finanza, 'parole' provenienti dal lessico di quelle discipline possono rivestirsi di un'aura mitica ed entrare a far parte del lessico quotidiano svuotate del loro significato specifico e utili solo a riempire le conversazioni nei nostri salotti o in quelli televisivi. L'esigenza che ha spinto l'uomo arcaico a creare il mito originario, vale a dire quella di dare un senso al proprio mondo, non è morta. Secondo il grecista Walter Friedrich Otto (Il Mito - Il Melangolo editore) il mito è l'esperienza originaria, la cui natura inconscia fa sì che sia ancora presente nell'uomo moderno. Scrive Otto: "Come mito vero e proprio, vale a dire non semplicemente celato nell'inconscio, esso non è altro che esperienza originaria rivelatasi, grazie alla quale è possibile anche il pensare razionale. Per questo il mito non è svanito completamente neppure per noi. Resta però del tutto inconscio, non emerge rivelandosi, è come se non fosse affatto. Le popolazioni primitive si distinguono da noi perchè il mito si rivela loro con tutta la sua verità originaria, ed esse ne attingono completamente la loro esistenza. Per questo non sono abili e accorte come noi, che abbiamo respinto il mito nell'inconscio con il pensiero razionale."  L'uomo, parlando, inconsciamente crea il suo mondo, e lo trasmette alle generazioni successive. Così Walter Otto intuisce che la finalità del linguaggio non è la comunicazione: "Nella sua originalità e purezza, il linguaggio non è affatto un 'mezzo' per comunicare qualcosa. Esso stesso è la verità del mito. Più esattamente: esso non è altro che la forma rivelata in parola della verità (mitica) (esso non interpreta il mito, né tenta di esprimerlo, ma è il mito). In questa frase di Otto c'è un'intuizione che verrà confermata più tardi da studi antropologici, linguistici e neuroscientifici, vale a dire l'intuizione che lo scopo del linguaggio non è quello di comunicare qualcosa, quanto quello di abilitare un pensiero simbolico utile alla sopravvivenza. Non tutto ciò che è arrivato fino a noi dal passato è mito: anche i popoli primitivi distinguevano tra i loro miti e le loro narrazioni. La differenza, secondo Walter F. Otto, è che ogni 'mito originario' è una potenza che si manifesta nei comportamenti umani, in passato in modo consapevole, oggi soprattutto inconscio. Il mito precede il culto, inteso come risposta fisica al mito. Il mito originario risponde a una pressante esigenza umana: quella di attribuire un senso alla propria esistenza col ricorso a narrazioni in grado di dar forma al caos. La 'richiesta di senso' nella società odierna fa sì che essa sia assediata da personaggi, fenomeni, eventi che vengono chiamati impropriamente mitici. Il grecista Diego Lanza scrive nella premessa al suo libro "Tempo senza tempo" (pp. 9-10): "Il racconto è dunque, in un certo senso, l'organizzazione del passato. Se, infatti, la memoria individuale consiste in un susseguirsi di visioni psichiche che si sovrappongono o si combinano secondo le urgenze e gli stati d'animo del presente, quella che definiamo memoria sociale o memoria collettiva, per essere comunicata, si oggettiva in una forma e questa forma è o una rappresentazione visiva o un racconto, un ordinamento temporale di immagini, nella loro collocaione in un seguito di prima e di dopo, se non addirittura di cause ed effetti. 'Fabula' era la storia che passava di bocca in bocca, di orecchio in orecchio, che si trasmetteva con l'atto del parlare. Era ogni racconto ma finì col denotare il racconto privo di immediata rispondenza nella realtà, che viveva unicamente di sé. Fabulae erano dunque indifferentemente le storie fictae, inventate, che potevano avere protagonisti animali, eroi, divinità, figure allegoriche. [...Nel Settecento] A denotare le storie degli dei e degli eroi fu creato un neologismo latino, mythus, apparentemente chiaro perchè semplice trascrizione dal greco, in realtà di non facile decifrazione, perchè portatore di un significato di maggiore pregnanza. Il mito, il mito per antonomasia, il mito greco, fu così ben distinto dalla favola". Ma come si arriva al mito dei contemporanei? Diego Lanza lo descrive così (p. 185): "In che cosa consisterebbe il "pensiero mitico", evocato da molti studiosi a definire non solo la trasmissione del mito, ma un'intera epoca dell'evolvere umano verso la ragione?. Ma forse il "pensiero mitico" altro non è che l'inversione speculare di quello che si ritiene il pensiero razionale, regolato anch'esso, come spiegava Lévy- Bruhl, da una propria grammatica e che i popoli "primitivi" dimostrano debba essere appartenuto alle età più remote della specie umana. Ma è mai esistito un 'pensiero mitico'? Non di rado i tempi nei quali si sviluppano e si arricchiscono le narrazioni definite mitiche, sono anche tempi di innovazioni tecnologiche, intrinsecamente legate all'elaborazione di categorie interpretative della realtà, di concreti rapporti con l'esperienza. Forse si è un po' frettolosamente trascurato un altro aspetto del narrare, un aspetto proprio proprio di qualsiasi dialogo umano, di qualsiasi uso del discorso: la mutua soddisfazione provata nel raccontare e nell'ascoltare. Un piacere particolare, forse perchè le figure della narrazione spesso parlano anch'esse, sì che l'esercizio della parola si va dilatando e la narrazione si moltiplica, lasciando intendere che proprio il raccontare in quanto tale non è solo la registrazione verbale di eventi memorabili, ma si propone anche come la fonte di un'autonoma proliferazione di immagini e conoscenze". In conclusione possiamo dire che i miti sono stati creati dall'uomo come mezzo per sostenere le sollecitazioni più drammatiche della sua vita. I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti.
mitologia
Punto chiave di questa pagina
MITOLOGIA: I miti sono stati creati dall'uomo come mezzo per sostenere le sollecitazioni più drammatiche della sua vita. I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti.
Punti di riflessione
Noi stessi, che viviamo in una cultura che ha sviluppato certi settori della razionalità come la filosofia e come la scienza, viviamo altrettanto impregnati di miti, altrettanto impregnati di magia, ma di un altro tipo, di un altro genere. (Edgar Morin)
_
Il mito è il nulla che è tutto. (Fernando Pessoa)
_
Lo scopo principale del linguaggio, secondo Uwe Porksen, è quello di "umanizzare" l'uomo consentendogli di condividere la sua sofferenza. La disumanizzazione inizia sempre da un degrado del linguaggio, che vuole trasformare l'uomo in un automa, incapace di fare (o farsi) domande e di pensare criticamente.
_
Nella sua originalità e purezza, il linguaggio non è affatto un 'mezzo' per comunicare qualcosa. Esso stesso è la verità del mito. Più esattamente: esso non è altro che la forma rivelata in parola della verità (mitica) (esso non interpreta il mito, né tenta di esprimerlo, ma è il mito). (Walter Otto)
L'importanza dei miti per le narrazioni

Lo storico delle religioni Joseph Campbell ha studiato i miti di tutte le più importanti culture della terra alla luce delle teorie di Carl Gustav Jung, individuando in molti famosi miti finalità inconsce necessarie alla risoluzione di problemi della società. Ad esempio, secondo Campbell, i riti di passaggio (nascita, imposizione del nome, pubertà, matrimonio, sepoltura) servivano ad eliminare dalla mente dell'interessato gli affetti degli stadi precedenti (e al contempo influenzare il suo gruppo sociale), mentre la fase successiva serviva a presentare le forme della nuova condizione. Attraverso queste continue trasformazioni, che avvenivano sia nel conscio che nell'inconscio di ognuno, le società si rigeneravano. Secondo Campbell ogni mito è lo sfruttamento, inconscio e collettivo, della mente nella quale è annidato.

La psicologia di Jung ha evidenziato la persistenza dei miti arcaici nella mente dell'uomo contemporaneo mostrando quanto e in che modo tali miti agiscano ancora oggi sotto le spoglie moderne dei disturbi psicologici. I miti sono stati creati dall'uomo come mezzo per sostenere le sollecitazioni più drammatiche della sua vita.


Campbell sosteneva che la maggior parte dei miti si basava prevalentemente su un eroe e sul suo viaggio simbolico.


L'eroe è colui (o colei) che riesce a superare la natura individuale dei suoi problemi e pervenire alle forme (miti) valide per la rigenerazione dell'intera società. I miti, descrivendo la vita degli eroi, descrivevano i desideri inconsci, le paure e le tensioni che gli umani provavano e attuavano nei loro comportamenti. I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti.

Si può dire che i miti hanno reso l'uomo più resiliente modificandone l'interpretazione degli eventi.
Il Monomito o Mito dell'Eroe
Campbell
Il grecista Diego Lanza scrive: "forse il "pensiero mitico" altro non è che l'inversione speculare di quello che si ritiene il pensiero razionale, regolato anch'esso, come spiegava Lévy- Bruhl, da una propria grammatica e che i popoli "primitivi" dimostrano debba essere appartenuto alle età più remote della specie umana. Ma è mai esistito un 'pensiero mitico'? Non di rado i tempi nei quali si sviluppano e si arricchiscono le narrazioni definite mitiche, sono anche tempi di innovazioni tecnologiche, intrinsecamente legate all'elaborazione di categorie interpretative della realtà, di concreti rapporti con l'esperienza. Forse si è un po' frettolosamente trascurato un altro aspetto del narrare, un aspetto proprio proprio di qualsiasi dialogo umano, di qualsiasi uso del discorso: la mutua soddisfazione provata nel raccontare e nell'ascoltare"
Freud, archeologo della mente, alla ricerca delle origini dei Miti
L'Ottocento e il Novecento sono stati anni di grandi scoperte archeologiche, delle quali Freud era appassionato per affrontare la sua ricerca sull'origine dei Miti. La scoperta di Troia con il palazzo di Priamo, e quella di Micene con le tombe di Agamennone e Cassandra, oltre a Cnosso sede del labirinto dove Teseo uccise il Minotauro, riportarono all'attualità Miti e personaggi dell'antichità. L'inconscio poteva aiutare a immaginare come verosimile l'ipotesi che in origine, ad esempio, Zeus fosse un Toro, o l'importanza ancora attuale di molte tragedie greche delle quali si intuisce l'origine inconscia (Edipo Re, Antigone, Medea, ecc.). Frank Tallis parlando delle importanti, ma difficili da credere (a quel tempo), implicazioni sull'importanza dell'inconscio su tutta l'attività cognitiva umana, scrive (pp.126-128):

Non potendo prender parte a un vero e proprio scavo archeologico [Freud] cominciò a considerare la possibilità di intraprendere l'equivalente psicologico. Alcuni accenni dell'intenzione di Freud si ritrovano nelle prime lettere al suo amico e collega Wilhelm Fliess. Nel 1897 Freud utilizzava espressioni come "mito endopsichico" e "psicomitologia". E in una lettera datata 4 luglio 1901 scriveva: "Hai letto che gli inglesi hanno scavato un vecchio palazzo a Creta (Cnosso), che dichiarano essere il vero labirinto di Minosse? Sembra che Zeus fosse originariamente un toro. Anche il nostro vecchio Dio fu venerato presumibilmente come toro, prima della sublimazione istigata dai persiani. Mi vengono i pensieri più disparati, che per ora non possono essere messi per iscritto". Restiamo con l'impressione di un uomo comune [Freud] che, imbattutosi in alcune difficili verità sulla condizione umana, abbia accettato suo malgrado il peso di portare queste realtà a un mondo ostile e poco ricettivo. Siamo spinti a provare compassione per lui e ad ammirarlo per il suo coraggio. In nessuno dei suoi scritti ciò si rende tanto evidente come nella diciottesima lezione dell'Introduzione alla psicoanalisi (1916-1917). Nel paragrafo conclusivo di quest'opera, Freud afferma di aver inferto, sottolineando l'importanza dell'inconscio nella vita mentale "la terza mortificazione", dopo Copernico e Darwin, al narcisismo umano.

Riguardo alla formazione dei simboli della madre e del toro e al loro uso religioso, lo storico delle religioni Julien Ries , in uno studio sulle origini della coscienza (vedi bibliografia) , scrive:

Si tratta di due simboli chiave che danno adito all’interpretazione dell’arte neolitica che troviamo molto diffusa in Anatolia, in Siria e in Palestina nel VIII millennio e di cui la documentazione più importante è la città di Çatal Hüyük che fu occupata dal 6.200 al 5.500 a.C. In questa città gli archeologi hanno trovato una grande quantità di santuari domestici, di affreschi dipinti, di alto-rilievi, di statue. I due simboli, la dea madre e il toro, occupano un posto di rilievo. Si tratta di due divinità in presenza delle quali si ergono esseri umani, con le braccia alzate verso di esse in un gesto di implorazione o per lo meno di relazione. Con la civiltà natufiana, all’alba del Neolitico, siamo in presenza di una nuova documentazione che gli archeologi sono sul punto di mettere a nostra disposizione. Questa documentazione ci fa percepire quattro tappe nella crescita dell’uomo a partire dal X millennio.

1. La sedentarizzazione, un fatto culturale che sfocia nella creazione di comunità di villaggio.
2. La creazione di un’arte nuova nella quale emergono due simboli: la donna feconda e il toro.
3. L’invenzione dell’agricoltura, del lavoro dei campi e della ceramica segnano l’inizio del Neolitico
4. La creazione di santuari, la moltiplicazione delle statue della dea madre e del toro, i primi oranti con le mani levate verso le divinità e la diffusione di questa religione in tutto il Vicino-Oriente dal VI millennio, quindi nel mondo mediterraneo.

L’uomo, secondo l'archeologo Jacques Cauvin, ha creato ormai una vera religione. Ha preso coscienza del divino, e la esprime attraverso simboli e rappresentazioni, per mezzo di significanti come le statue e gli affreschi. Per la prima volta nella storia dell’umanità si manifesta la coscienza della necessità di relazioni dell’uomo con la divinità.
I miti sono stati creati dall'uomo come mezzo per sostenere le sollecitazioni più drammatiche della sua vita. I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti
Conclusioni (provvisorie): I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti
Come mai il mito è ancora un argomento d'attualità? I miti dell'uomo contemporaneo hanno un'essenza molto diversa da quelli dell'uomo arcaico. Come aveva argomentato nel 1957 il semiologo Roland Barthes (Miti d'oggi - Einaudi), il mito, per l'uomo contemporaneo, non è che una 'parola', vale a dire solo un sistema di comunicazione. Scriveva Barthes: "Tutto dunque può essere mito? Sì, a mio avviso, perchè l'universo è infinitamente suggestivo. Ogni oggetto del mondo può passare da un'esistenza chiusa, muta, ad uno stato orale, aperto all'approvazione della società, perchè non c'è alcuna legge, naturale o no, a impedire che si parli delle cose." Ecco perchè in un'epoca dominata dalla scienza, dalla tecnologia, dall'economia e dalla finanza, 'parole' provenienti dal lessico di quelle discipline possono rivestirsi di un'aura mitica ed entrare a far parte del lessico quotidiano svuotate del loro significato specifico e utili solo a riempire le conversazioni nei nostri salotti o in quelli televisivi. L'esigenza che ha spinto l'uomo arcaico a creare il mito originario, vale a dire quella di dare un senso al proprio mondo, non è morta. Secondo il grecista Walter Friedrich Otto (Il Mito - Il Melangolo editore) il mito è l'esperienza originaria, la cui natura inconscia fa sì che sia ancora presente nell'uomo moderno. Scrive Otto: "Come mito vero e proprio, vale a dire non semplicemente celato nell'inconscio, esso non è altro che esperienza originaria rivelatasi, grazie alla quale è possibile anche il pensare razionale. Per questo il mito non è svanito completamente neppure per noi. Resta però del tutto inconscio, non emerge rivelandosi, è come se non fosse affatto. Le popolazioni primitive si distinguono da noi perchè il mito si rivela loro con tutta la sua verità originaria, ed esse ne attingono completamente la loro esistenza. Per questo non sono abili e accorte come noi, che abbiamo respinto il mito nell'inconscio con il pensiero razionale."  L'uomo, parlando, inconsciamente crea il suo mondo, e lo trasmette alle generazioni successive. Così Walter Otto intuisce che la finalità del linguaggio non è la comunicazione: "Nella sua originalità e purezza, il linguaggio non è affatto un 'mezzo' per comunicare qualcosa. Esso stesso è la verità del mito. Più esattamente: esso non è altro che la forma rivelata in parola della verità (mitica) (esso non interpreta il mito, né tenta di esprimerlo, ma è il mito). In questa frase di Otto c'è un'intuizione che verrà confermata più tardi da studi antropologici, linguistici e neuroscientifici, vale a dire l'intuizione che lo scopo del linguaggio non è quello di comunicare qualcosa, quanto quello di abilitare un pensiero simbolico utile alla sopravvivenza. Non tutto ciò che è arrivato fino a noi dal passato è mito: anche i popoli primitivi distinguevano tra i loro miti e le loro narrazioni. La differenza, secondo Walter F. Otto, è che ogni 'mito originario' è una potenza che si manifesta nei comportamenti umani, in passato in modo consapevole, oggi soprattutto inconscio. Il mito precede il culto, inteso come risposta fisica al mito. Il mito originario risponde a una pressante esigenza umana: quella di attribuire un senso alla propria esistenza col ricorso a narrazioni in grado di dar forma al caos. La 'richiesta di senso' nella società odierna fa sì che essa sia assediata da personaggi, fenomeni, eventi che vengono chiamati impropriamente mitici. Il grecista Diego Lanza scrive nella premessa al suo libro "Tempo senza tempo" (pp. 9-10): "Il racconto è dunque, in un certo senso, l'organizzazione del passato. Se, infatti, la memoria individuale consiste in un susseguirsi di visioni psichiche che si sovrappongono o si combinano secondo le urgenze e gli stati d'animo del presente, quella che definiamo memoria sociale o memoria collettiva, per essere comunicata, si oggettiva in una forma e questa forma è o una rappresentazione visiva o un racconto, un ordinamento temporale di immagini, nella loro collocaione in un seguito di prima e di dopo, se non addirittura di cause ed effetti. 'Fabula' era la storia che passava di bocca in bocca, di orecchio in orecchio, che si trasmetteva con l'atto del parlare. Era ogni racconto ma finì col denotare il racconto privo di immediata rispondenza nella realtà, che viveva unicamente di sé. Fabulae erano dunque indifferentemente le storie fictae, inventate, che potevano avere protagonisti animali, eroi, divinità, figure allegoriche. [...Nel Settecento] A denotare le storie degli dei e degli eroi fu creato un neologismo latino, mythus, apparentemente chiaro perchè semplice trascrizione dal greco, in realtà di non facile decifrazione, perchè portatore di un significato di maggiore pregnanza. Il mito, il mito per antonomasia, il mito greco, fu così ben distinto dalla favola". Ma come si arriva al mito dei contemporanei? Diego Lanza lo descrive così (p. 185): "In che cosa consisterebbe il "pensiero mitico", evocato da molti studiosi a definire non solo la trasmissione del mito, ma un'intera epoca dell'evolvere umano verso la ragione?. Ma forse il "pensiero mitico" altro non è che l'inversione speculare di quello che si ritiene il pensiero razionale, regolato anch'esso, come spiegava Lévy- Bruhl, da una propria grammatica e che i popoli "primitivi" dimostrano debba essere appartenuto alle età più remote della specie umana. Ma è mai esistito un 'pensiero mitico'? Non di rado i tempi nei quali si sviluppano e si arricchiscono le narrazioni definite mitiche, sono anche tempi di innovazioni tecnologiche, intrinsecamente legate all'elaborazione di categorie interpretative della realtà, di concreti rapporti con l'esperienza. Forse si è un po' frettolosamente trascurato un altro aspetto del narrare, un aspetto proprio proprio di qualsiasi dialogo umano, di qualsiasi uso del discorso: la mutua soddisfazione provata nel raccontare e nell'ascoltare. Un piacere particolare, forse perchè le figure della narrazione spesso parlano anch'esse, sì che l'esercizio della parola si va dilatando e la narrazione si moltiplica, lasciando intendere che proprio il raccontare in quanto tale non è solo la registrazione verbale di eventi memorabili, ma si propone anche come la fonte di un'autonoma proliferazione di immagini e conoscenze". In conclusione possiamo dire che i miti sono stati creati dall'uomo come mezzo per sostenere le sollecitazioni più drammatiche della sua vita. I miti non trasformano il mondo reale, essi trasformano la visione del mondo nella mente degli umani, modificandone infine i comportamenti.
per scaricare le conclusioni (in pdf):
La razionalità richiede impegno personale!
Iscriviti alla Newsletter di pensierocritico.eu per ricevere in anteprima nuovi contenuti e aggiornamenti:
Scrivi, se non sei d'accordo
Se ritenete che le tesi del "punto chiave" non vengano sufficientemente supportate dagli argomenti presenti in questa pagina potete esprimere il vostro parere (motivandolo).
Inviate una email con il FORM. Riceverete una risposta. Grazie della collaborazione.
Bibliografia (chi fa delle buone letture è meno manipolabile)



Libri consigliati
a chi non vuole capire le proprietà dei miti

Spesa annua pro capite in Italia per gioco d'azzardo 1.583 euro, per l'acquisto di libri 58,8 euro (fonte: l'Espresso 5/2/17)

Pagina aggiornata il 7 febbraio 2023

creative commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5 Generico
Torna ai contenuti